LA TRASFORMAZIONE DELLO STATO ALFREDO ROCCO Ministro Guardasigilli LA TRASFORMAZIONE BELLO STATO Dallo Stato Liberale allo Stato Fascista # COLL ■ . . ■ ---—- BID I R. UNIVERSITÀ ORO. PO 901 jp INV. P0L09P12-fì^-2.^9S)o iìlpÌ;\ NOTE (jt PfW' tjto UBSLlC - “ La Voce „ Anonima Editrice Roma 1927 ERO PRI ET À LET TEE A EIA Officina della. Stampa. - Maalli e Stianti - Fireasa INTKOmjZlONE Si parla oggi correntemente della Rivoluzione Fa¬ scista. La frase, clic suscitava ancora poco tempo fa, periino nel campo fascista, qualche ripugnanza e qualche dissenso, è oramai universalmente accettata per designare quel complesso fenomeno, che si iniziò nel 1919 con la formazione dei Fasci di Combatti¬ mento. sì affermò con la marcia su Roma il 28 ot- lobre 1922, e che gradualmente, ma incessàntemente, negli ultimi quattro anni, ha trasformalo lo spirito delle masse e la struttura stessa dello Stato. Rivoluzione dunque, senza dubbio. Ma rivoluzione, non Ionio perchè movimento violento di popolo, cul¬ minato con la conquista del potere, in virtù di un allo di forza, ina sopratutto perchè ha cambiato ra¬ dicalmente gli ordinamenti, e la nozione stessa dello Stato, ha sostituito alla vecchia classe dirigente una nuova, formatasi durante il duro travaglio della guerra c del dopoguerra, ed ha operato profondamente sulla psicologia delle masse, trasformandone rorìentamento spirituale. Rome si vede, io pongo sopratutto nel nuovo as¬ solto giuridico e morale creato dal Fascismo la sua — 6 — intima virtù rivoluzionaria. Una rivoluzione, in realtà, non merita tal nome, se non mette capo ad un nuovo sistema di diritto pubblico e ad un nuovo spirito del popolo. Credere, come avviene talvolta, che la rivo¬ luzione possa esaurirsi nei moti di piazza, nelle vio¬ lenze, nelle esecuzioni capitali e nelle stragi popo¬ lari è confondere la forma con la sostanza, 1 episodio col fatto storico. Certamente ogni rivoluzione ha i suoi episodi tremendi e tragici, ma tuttociò non è an¬ cora la rivoluzione. Se fosse, meriterebbero il nome di rivoluzione le « jacqueries », le rivolte dei conta¬ dini o degli schiavi, le esplosioni di ira della folla malcontenta o eccitata; sarebbe stata rivoluzione l’a¬ narchia bolscevica, che imperversò in Italia nel 1919 e nel 1920. La rivoluzione, lo stesso nome lo dice, è sopratutto un rivolgimento politico o sociale, ovvero politico e sociale insieme, quindi un processo storico, che mette capo a un nuovo ordinamento dello Stato o della Società o di ambedue. In altri termini la rivo¬ luzione non può essere fine a se stessa, è necessaria¬ mente mezzo per la formazione di un ordine nuovo. Il travaglio per questa formazione è di regola molto lungo e molto duro. La rivoluzione francese non mise capo ad un ordine nuovo che dopo più di dieci anni, e divenne vero regime solo con le riforme na¬ poleoniche. Ma, indubbiamente, la mèta di ogni in¬ voluzione è quella di creare dopo aver distrutto. Pari all’ape che muore generando, la rivoluzione come tale si estingue, quando l’ordine nuovo è creato. In questo momento la rivoluzione diventa, mi si passi l’antitesi, conservatrice; conservatrice del nuovo si¬ stema che è nato da essa. Può darsi che un vasto movimento di rinnova¬ zione sorto da una ideologia politica e sociale, non riesca al fine che lo determinò, ma ne consegua un ■ altro diverso. Vale a dire, non sempre l’idea che mosse la rivoluzione trionfa nella rivoluzione: è il caso del bolscevismo russo, il quale, dopo aver fatto la rivoluzione per attuare il comuniSmo marxista, si avvia decisamente verso un assetto, che non è nò comunista nè marxista, ma che è certo profondamente diverso da quello della Russia del 1914. Il Fascismo invece appartiene al novero di quelle rivoluzioni, le quali, sia pure con gli inevitabili adat¬ tamenti, imposti dalle necessità storiche, realizza la sua ideologia. La realizza nel campo spirituale, sve¬ gliando nella massa il sentimento del dovere, l’abi- tudine della disciplina, l’idea della subordinazione dell’ individuo alla Nazione. La realizza nel campo giuridico, creando sulle rovine dello Stato liberale e democratico, lo Stato Fascista. Questo processo di trasformazione è in atto. Esso è lungi dall’essere compiuto, è anzi appena all’inizio. Ma già le grandi linee del nuovo edificio cominciano ad apparir chiare, attraverso le manifestazioni del regime. Dal punto di vista giuridico non vi è dub¬ bio che gli anni 1925 e 1926 segnano una tappa decisiva verso la trasformazione dello Stato. E, poiché come Guardasigilli del Governo Fascista in questo periodo fortunoso, ho avuto la ventura di collabo¬ rare, alla maggior parte delle riforme legislative, in virtù delle quali sulle rovine dello Stato liberale agno¬ stico ed abulico, dello Stato democratico dominato da¬ gli egoismi particolaristici, sta sorgendo lo Stato Fa¬ scista, credo non inutile riunire in volume i discorsi e le relazioni, con cui, per incarico del Capo del Go¬ verno Benito Mussolini, ho avuto l’onore di illu¬ strare davanti al Parlamento la nuova legislazione del regime. Questo significa che non tutta la legislazione fa- scista si trova riprodotta e commentala in questo vo¬ lume. ma solo quella, alla cui elaborazione ho dato la mia opera personale. Altre leggi fondamentali, che pure hanno contribuito potentemente a dar ti- so nomi a al nuovo assetto dello Stalo, rimangono lucri dal quadro di questo volume, come la riforma delta scuola, e la riforma dei Comuni. Queste leggi ed altre ancora che rìncvitalhie sviluppo della trasformazione fascista renderanno necessarie, saranno sistematica- mente illustrate a suo tempo, quando il ciclo rinnova¬ tore della rivoluzione sarà compiuto. L’intento di questa raccolta non può essere sì vasto: il presente momento dell’evoluzione fascista non Io consenti¬ rebbe, Mi limito, pertanto, oggi a presentare* rumili in volume, i documenti della trasformazione giuridica operata dal fascismo dopo il 3 gennaio 1925 nel campo più generale della organizzazione dello Stalo, in quello cioè che rientra più speci fica niente nella competenza del Ministro Guardasigilli. Indubbiamente, anche in questo campo, il 3 gen¬ naio segna una data decisiva. Dal 28 ottobre 1922 al 3 gennaio 1925 il fascismo non governò da solo \ Ita¬ lia: la governò in collaborazione con altri partiti. Tale collaborazione, molto larga nei primo momento, era andata gradualmente restringendosi, ma, in so¬ stanza, solo col 3 gennaio ogni residuo del Governo di coalizione fu eliminalo, e iì Fascismo dominò da solo lo Stato. Era per tarilo naturate che. finche detriti del vecchio mondo politico, con mentalità totalmente di¬ versa, professanti dottrine antitetiche a quella fasci¬ sta, col lai} oravano col Fascismo nel Governo, tosse difficile iniziare vigorosamente una totale trasforma¬ zione dello Stato. Aggiungiamo che Top in ione pub¬ blica non era ancora matura, malgrado il trio rito della marcia su Roma, per l’abbandono completo di — 9 — forme giuridiche e politiche, che avevano avuto di¬ ritto ili cittadinanza in Italia per quasi ottanta anni La reazione antinazionale del secondo semestre del 1924 dette al Fascismo la sensazione netta, die era venuto per esso il momento di governare da solo e di trasformare lo Stnto, o di acconciarsi al fallimento della rivoluzione. Fra te due vie la scelta non poteva essere dubbia, e Mussolini, con rintuito infallibile che lo assiste nei più gravi momenti ? nel discorso del 3 gennaio, complemento necessario delta marcia su Hoina e perciò atto eminentemente rivoluzionario, aprì la nuova fase della rivoluzione: quella di rea- ti zza zio ne del Fascismo e di creazione dello Stalo Fascista. Clic i! momento per tale decisione fosse op¬ portuno, è mostrato dal consenso unanime, con cui il popolo italiano accolse rini zio dei nuovo periodo. L'annunzio infatti che il fascismo avrebbe d'ora in¬ nanzi attuato in modo in transigei ile il suo programma dì rinnovazione, fu accolto come una liberazione da lutti, fascisi] e non fascisti. Dai fascisti, che acquista¬ vano la certezza delia realizzazione delle loro dot¬ trine. Dai non fascisti, e voglio dire anche dagli av¬ versari del Fascismo, che d’ora innanzi si vedevano perciò assoggettali con maggior rigore alla disciplina legale dello Stato, ma eran posti per ciò stesso, al sicuro delle reazioni extralegali dovute appunto alta insufficienza delle sanzioni giuridiche. Tuttavia il valore storico decisivo per la realiz¬ zazione dello Stato fascista, che si deve alitribuire alla data del 3 gennaio 1925, non toglie che, an¬ che nel periodo antecedente, che fu di transigenza e di col labe razione, riforme importanti non siano state attuale. Specialmente nelFabno 1923, una note¬ vole opera di revisione delFas-setto legislativo dello Stato venne operata dal Governo, in virtù dei pieni * -••**»*•**» marnir — 10 — poteri ottenuti dal Parlamento. Si trattò, come i tempi consentivano, di una riforma principalmente tecnica, ma che non deve venire dimenticata, sia perchè fu il coronamento di lunghi lavori legislativi condotti durante decenni, e che mai erano riusciti a un 1 i- suìtato concreto, per la debolezza insanabile dei Go¬ verni antecedenti, sia perchè ebbe qualche riflesso politico non indifferente. Sotto questo punto di vista il primo posto spetta indubbiamente alla riforma della scuola, preparata ed attuata da Giovanni Gentile con ferrea coerenza e con indomabile energia, che trasformò profondamente tutti gli ordini di scuole, da quella primaria all’Uni- versità, e che non fu soltanto riforma di ordinamenti o di programmi, ma di spirito e di metodo. Dalla scuola agnostica, priva di contenuto morale, senza idealità, pura fornitrice di nozioni, che lo Stato libe¬ rale democratico aveva creato, uscì la scuola educa¬ trice, non solo dell’intelletto ma dell’animo, con un suo contenuto religioso e nazionale, formatrice del¬ l’italiano nuovo, degno della nuova storia d ? Italia, capace di comprenderla e di realizzarla. Malgrado ìe critiche e le opposizioni che una sì vasta e pro¬ fonda riforma doveva suscitare, e malgrado anche gli inevitabili errori di dettaglio, che in un’opera così colossale, preparata ed attuata in pochi mesi, non po¬ tevano mancare, la riforma della scuola resterà come uno dei titoli fondamentali di benemerenza del Fa¬ scismo verso l’Italia. Giustamente il Goy, capo del¬ l'ufficio informazioni della Sorbona dichiarava: «que¬ sta riforma Gentile passa di molto il quadro delle istituzioni puramente scolastiche : essa è in primo luogo un avvenimento politico» e aggiungeva che la riforma « avrà conseguenze incalcolabili sull’avvenire della Nazione vicina». — 11 — Accanto alla riforma della scuola dell’On. Gen¬ tile vanno poste le riforme finanziarie deìl’On. De Stefani. Riforme tecniche certamente, ma che con¬ tribuirono potentemente all’assetto finanziario dello Stalo e che consentirono il risanamento del bilancio, presupposto indispensabile della ricostruzione della finanza e deireconomia italiana. Basti ricordare il riordinamento dei tributi, i quali hanno avuto final¬ mente un assetto definitivo ed organico, la revisione della legge di contabilità generale dello Stato, che ha stabilito un ferreo controllo delle spese facendo di un Governo uscito dalla rivoluzione il più cauto e or¬ dinato amministratore, e infine la riforma dell’or- dinamento gerarchico della burocrazia, che dette al- TAmministrazione italiana un assetto, non forse privo di mende, ma che ha posto finalmente ordine in una materia, divenuta da tempo campo preferito di azione degli interessi particolaristici e delle pretese dema¬ gogiche. Non bisogna dimenticare infine le riforme attuate nel campo delhAmministrazione della Giustizia, fra cui importantissima quella delle circoscrizioni giu¬ diziarie e sopratutto quella unificazione della Cas¬ sazione, vecchia aspirazione mai attuata per l’oppo- sizione irreducibile degli interessi regionali, a cui il regime parlamentare non poteva nè sapeva resistere. Ma dopo la riforma tecnica doveva venire la ri¬ forma politica. Io non sono un feticista delle riforme, sono anzi in questo campo un eretico. Le riforme, infatti, operate dalle leggi sono caduche, se èsse non si realizzano sopratutto nel costume, nello spirito, nella tradizione. Solo quelle riforme sono durevoli che sono fatte prima negli animi e poi nelle leggi. Ecco perchè, se il Fascismo, anticipando i tempi, avesse, al suo primo avvento al potere, iniziato imme- — VA — oliatamente la riforma dello Stato, avrebbe forse fatto opera" vana. Bisognava infatti prima creare nei co¬ stumi e nello spirito, il nuovo stato auspicato dal fa¬ scismo. e dopo, ma dopo soltanto si poteva dare ad * esso una forma legale e un’organizzazione giuridica. Dopo due anni di Governo fascista, anche la riforma legislativa fu possibile, perchè in sostanza lo Stato fascista esisteva nella realtà. Ma in che consiste questo Stato fascista? In che si differenzia esso dallo Stato liberale democratico? Lo Stato liberale, le cui origini remote debbono farsi risalire a movimenti spirituali e politici estranei al nostro Paese e allo spirito italiano, si costituì in Italia sopra tutto per motivi di opportunità contin¬ gente, in un periodo in cui il liberalismo trionfava in Europa e in cui la formazione dello Stato italiano unitario come Stato liberale pareva dovesse più fa¬ cilmente vincere gli ostacoli, che i nazionalismi e gli , imperialismi altrui ponevano al nostro risorgente na¬ zionalismo. E in questo adattamento di sistemi poli¬ tici e giuridici, ispirati a ideologie fondalmente indivi¬ dualistiche ed antistatali, ad un popolo appena uscito da lunghi secoli di servitù e da oltre un millennio di disgregazione, privo di coscienza nazionale, e senza alcuna idea dello Stato, gli errori si moltiplicarono e si aggravarono le degenerazioni. La stessa struttura dello Stato liberale democra¬ tico ne faceva per sè un fragile edificio, la cui resi¬ stenza era legata al concorso di condizioni, che man¬ cavano in Italia. Le caratteristiche dello Stato liberale democra¬ tico sono infatti due. Anzitutto esso è un’organismo > estraneo alle forze vive operanti nel Paese, che pone tutte alla stessa stregua e tutte egualmente tutela. In ■life secondo luogo, esso è un organismo privo di un suo contenuto concreto, senza ideali propri, aperto a tutti gli ideali e a tutti i programmi. Le conseguenze di questa duplice premessa sono evidenti. Lo Stato liberale democratico non domina le forze esistenti nel Paese, ma ne è dominato: sono queste che de¬ cidono, lo Stato subisce la decisione e la esegue. Non basta, lo Stato liberale democratico, non avendo una sua idea da imporre, diviene il campo aperto alle lotte di tutte le correnti e di tutte le forze che esistono nel Paese: tutte hanno diritto, volta a volta, di penetrare nello Stato, o alternativamente, ovvero, peggio ancora, concorrentemente, in proporzione della importanza di ciascuna. Questa concezione dello Stato era cosi radicata in Italia che essa era diventata una premessa co¬ mune a tutti i partiti, anche quelli che più aspra¬ mente si combattevano fra di loro. Era una di quelle verità che non si discutono, perchè evidenti a tutti, un truism, come dicono gli inglesi. Questa conce¬ zione era accettata non solo dai liberali e dai de¬ mocratici, ma anche dai socialisti, i quali, pur com¬ battendo per Tavvento di un diverso tipo di Stato, in realtà realizzavano in concreto anche essi lo Stato liberale e per lo Stato liberale operavano ogni giorno; e gli stessi popolari, che pretendevano derivare la loro dottrina dalla dottrina cattolica, che è così lon¬ tana dal liberalismo, erano divenuti i fautori più accaniti dello Stato liberale democratico. In verità pareva che in Italia il liberalismo e la democrazia, figli legittimi del protestantesimo, fossero per ce¬ lebrare la loro più grande vittoria, quella sul cat¬ tolicesimo, che erano sul punto di assorbire e di convertire. Nessuna meraviglia che questo trionfo quasi to¬ tale del liberalismo e della democrazia in Italia ab¬ bia condotto lo Stato italiano sull’orlo dell’abisso. Fuori d’Italia, specialmente nei paesi Anglo-Sas¬ soni lo Stato liberale democratico aveva potuto fio¬ rire’ ed anche operare grandi cose, perchè esso tro¬ vava nelle condizioni sociali e politiche di quei popoli correttivi che mancavano presso di noi. Nei Paesi Anglo-Sassoni ed anche in Francia vi è una grande tradizione nazionale, e l’idea dello Stato si è forti¬ ficata attraverso secoli di lotte sostenute dallo Stato per l’affermazione della sua supremazia. In Inghil¬ terra inoltre, allo spirito individualistico e disgre¬ gatore del germanesimo, si è sovrapposta una edu¬ cazione morale rigorosa, per cui l’individuo, pur ri¬ vendicando teoricamente di fronte allo Stato la più ampia libertà, sa nel fatto spontaneamente limitarla. Tutte queste condizioni mancavano in Italia. La vecchia tradizione romana, splendidamente rinnovata dalla Chiesa Cattolica, era ispirata bensì al principio della disciplina, della gerarchia della sottomissione dei singoli allo Stato, ma era tradizione ormai lontana, su cui avevano profondamente operato le influenze disgregatrici del germanesimo, l’anarchia medioevale e in ultimo la servitù straniera. Quest’ultima soprat¬ tutto, facendo apparire per secoli lo Stato come stru¬ mento della oppressione straniera, aveva fatto na¬ scere e radicato profondamente nelle masse italiane lo spirito di diffidenza e di rivolta contro la pub¬ blica autorità. Tale spirito avrebbe dovuto essere tra¬ sformato da un’opera pertinace di educazione poli¬ tica e di disciplina statale. Lo Stato liberale demo¬ cratico era, purtroppo, incapace spiritualmente e ma¬ terialmente, di adempiere a questa, che avrebbe do¬ vuto essere la sua prima e più urgente funzione. r — 15 — Avvenne così che anche dopo conseguita 1*unità e rindipendenza, Le masse italiane conservassero verso io Stato Nazionale quella stessa attitudine diffidente ed ostile, che avevano per secoli tenuto contro lo Stato straniero o diente dello straniero. In questa condizione di cose c da meravigliare che lo Stato liberale in Italia abbia potuto reggere per sessantadue armi, e che la conquistata indipendenza non sia stata travolta dall’anarchia. Ma era evidente che al primo grande urto quella larva di Stato sarebbe caduta in frantumi. Durante la grande guerra lo salvò benché lontano, e incapace, V intima virtù della stirpe c rorganizzazione militare del popolo in anni. Ma il grande turbamento che segui la guerra trovò lo Stato più debole e più che mai assente e privo di volontà. Venuta meno resaltazione della lotta este¬ riore, cessata l'organizzazione militare, lo Stato libe¬ rale, minato da ogni parte, non poteva più resistere e non resistè. Ne derivò, dopo la guerra, un periodo di totale anarchia* nei quale Io Stato, divenuto l’ombra di se stesso, dovette assistere impassibile alto scate¬ narsi delle lotte civili, impotente a frenarle e a do¬ minarle. A questo punto lo Stato liberai e democratico era virtualmente in Italia finito. La marcia su Roma fu la consacrazione storica del crollo. Anche se le forze del fascismo fossero state meno imponenti di quello che erano, esse avrebbero egualmente trionfato. Nes¬ sun regime cade per la forza dei propri avversari, lutti cadono per la propria debolezza. Da conquista dello Stato da parte del Fascismo doveva portare necessariamente alla sua trasforma¬ zione. Gradualmente, ma incessantemente, come ab¬ biamo veduto, prima nel fatto, poi nelle leggi, sì è venuto formando lo Stato fascista che, come conte- — 16 — mito e come forma, si differenzia totalmente dallo Stato liberale. Dico Stato fascista e non Stato nazionale, come pur si usa da taluni, perchè l’espressione è più com¬ prensiva e più esatta. Lo Stato fascista è infatti lo Stato, che realizza al massimo della potenza e della coesione l’organizza¬ zione giuridica della Società. E la società, nella con¬ cezione del fascismo, non è una pura somma di in¬ dividui, ma è un organismo, che ha una sua propria vita e suoi propri fini, che trascendono quelli degli individui, e un proprio valore spirituale e storico. Anche lo Stato, che delle società è la giuridica orga¬ nizzazione, è per il Fascismo un organismo distinto dai cittadini, che a ciascun momento ne fanno parte, il quale ha una sua propria vita e suoi propri fini, superiori a quelli dei singoli, a cui i fini dei singoli debbono essere subordinati. Stato fascista è dunque lo Stato veramente so¬ ciale, qualunque sia il tipo di società che in esso si organizza. Vi è uno Stato fascista nelle società a tipo cittadino, dominante nel mondo antico e me¬ diovale. Vi è uno Stato fascista nelle società a tipo na¬ zionale, che ancora oggi prevalgono nei paesi civili. Vi è uno Stato fascista nelle società a tipo imperiale, delle quali ci offre esempi cospicui l’antichità e che si vanno oggi sempre più affermando nel mondo. Può essere fascista lo Stato-città, lo Stato-nazione e lo Stato-impero. Quando si dice che lo Stato fascista è lo Stato na¬ zionale, si dice cosa vera per l’Italia di oggi, che è una società a tipo nazionale, non si dice cosa vera per quella che sarà l’Italia di domani,nè per quello che sono oggi l’Inghilterra, la Francia, il Giappone c gli Stali Uniti di America: in questi casi lo Stato fa- \* ( k è ìì p}>he Io Stato imperiale, hi sostanza, mentre ii concetto di Stato nazionale risponde a una condi¬ zione concreta di vita sociale, quello di Stato fascista i isponde a una condizione generale ed astratta, che si verifica ini tv le volte clic una società si organizzo for¬ temente a Stato, per la realizzazione dei fini perpe¬ tui della specie. Da ciò possono desumersi facilmente le differenze che distinguono Io Stato fascista dallo Stato liberale* Sono diilcreiize che concernono tanto il ponto di vi- sLi sociale, cioè il contenuto, quanto il punto di vista giuridico, cioè la forma. Socialmente lo Stato fascista ha finì suoi propri, cioè una propria funzione e una propria missione. Do Stato fascista non è agnostico, come lo Stato li¬ berale, in ogni campo della vita collettiva- al con¬ trai io in ogni campo ha una sua funzione e mia sua volontà. Do Stato fascista ha la sua morale, la sua religione* la sua missione politica nei mondo, la sua funzione di giustizia sociale, infine il suo compito economico* D perciò lo Stato fascista deve difendere e diffon¬ der; 3 la moralità nel popolo; deve occuparsi dei pro¬ blemi religiosi, e perciò professare e tutelare la re¬ ligione era, cioè la religione cattolica; deve adem¬ piere nei inondo alla missione di civiltà affidata ai popoli di alta cultura e di grandi tradizioni, Il che significa adoperarsi in tutti i modi per V espansione politica, economica, inteiìeLLuale fuori dei confini; deve fare giustizia fra le classi, vietando La sfrenata auto-difesa di classe; infine deve promuovere Y au¬ mento della produzione e della ricchezza, adoperando, (piando occorre, la molla possente dell’interesse in¬ dividuale, ma intervenendo anche, quando occorre, con la sua propria iniziativa. — 18 — Ciò dimostra ancora una volta quella verità che ho avuto ripetutamente ragione di affermai c. lo Sialo fascista contiene in se gli elementi di tutte le altre concezioni dello Stato, ma non già, come in esse,, in modo unilaterale e quindi erroneo, ma in maniera in¬ tegrale e perciò vera. Lo Stato fascista contiene il liberalismo e lo supera : lo contiene, perche si serve della libertà quando essa è utile; lo supera, perche raffrena la libertà quando è dannosa. Lo Stato Fasci¬ sta contiene la democrazia e la supera; la contiene perchè fa partecipare il popolo alla vita dello Stato in quanto è necessario; la supera perchè tiene in ri¬ serva la possibilità di far decidere i problemi essen¬ ziali della vita dello Stato a coloro, che hanno la pos¬ sibilità di intenderli, sollevandosi sopra la conside¬ razione degli interessi contingenti degli individui. In ultimo lo Stato fascista contiene il socialismo e lo supera: lo contiene, perchè vuole, come esso, realiz¬ zare la giustizia sociale; lo supera, perchè non con¬ sente che questa giustizia sia fatta mediante 1 urto brutale delle forze sociali, nè crede che sia necessario per attuarla un mastodontico e complicato sistema dì produzione collettiva, che finirebbe col sopprimere ogni spirito di risparmio, e assorbire tutto I utile del processo produttivo. Giuridicamente non meno profonde sono le dif¬ ferenze fra lo Stato liberale e lo Stato fascista, ho Stato fascista è lo Stato veramente sovrano, quello cioè che domina tutte le forze esistenti nel paese c tutte sottopone alla sua disciplina. Se, intatti, i lini dello Stato sono superiori, anche i mezzi che esso adopera per realizzarli debbono essere più potenti di ogni altro, ta forza di cui esso dispone sovei- ctaiante sopra ogni altra forza. Questa teoria dello Stato sovrano non è, in realtà. a — 19 — nuova, perchè tutta la scuola giuridica di diritto pub- )iico ia professa. Questa scuola ha sempre insegnato che la sovranità non è del popolo, ma dello Stato, pi in ci pio affermato in tutti gli scritti dei maestri del diritto pubblico stranieri e italiani, e anche di molti giuristi nostri, che nel campo politico si dichiaravano poi liberali o democratici, senza dubitare affatto della patente contraddizione, in cui venivano a trovarsi con sè medesimi. In realttà, dire che lo Stato è sovrano è negare il liberalismo e la democrazia, per cui una su¬ periorità dei lini dello Stato su quelli degli individui non esiste, come non esiste la sovranità dello Stato. Tale contraddizione, negli stessi uomini, tra la concezione giuridica e la concezione politica dello • dato è tanto più. meravigliosa, in quanto è chiaro che dalla teoria della sovranità dello Stato discende oscamente la teoria dello Stato fascista. Se infatti orlato è sovrano, se in sua mano è un potere sover- c ìiante, che domina c disciplina tutte le altre forze esistenti nella società, ciò significa che lo Stato adem- pic a lini suoi propri, superiori a quelli degli indi- vidui. Non è infatti concepibile che una forza so- verchiante sia concessa allo Stato, se non per rea¬ lizzare tini superiori ed adempiere ad una supe¬ riore missione, altrimenti quella forza si risolverebbe m semplice sopraffazione e mera tirannia. Superiorità dei fini, supremazia delle forze; in questa dicotomia si riassume la concezione dello Stato fascista. rutta la nuova legislazione fascista tende a rea¬ lizzare questa concezione dello Stato. Trasformare lo Stato liberale democratico, senza un suo contenuto e senza una effettiva sovranità, nello Stato fascista, avente suoi fini concreti, la volontà di realizzarli, e la forza necessaria per realizzarli, si- — 20 - «nificava da un canto dare allo Stato un conte¬ nuto positivo di volontà e di azione, dall altro tor¬ nir 0 !' lo strumento indispensabile, pei adempiei c alla sua missione, cioè rendere effettiva la sua sovranità ed efficiente la sua autorità. Nell ordine logico il primo compito precede il secondo, nell’ordine pratico è il secondo che soverchia, perchè, menti c la li a- sformazione spirituale dello Stato è opera essenzial¬ mente morale e politica, la sua trasformazione giu¬ ridica è opera essenzialmente legislativa, e questa dipende più direttamente dalla volontà e dall azione di governo. Tuttavia, il problema stesso della creazione di uno Stalo avente un suo proprio contenuto nel campo etico, religioso, politico ed economico, se dipende so¬ prattutto dalla trasformazione dello spirito dei gover¬ nanti e delle masse, del costume politico e della cul¬ tura politica, dipende anche, in parte, dall’indirizzo pratico dell’azione di governo e della legislazione. Le riforme legislative attuate durante i primi quattro anni del Governo fascista hanno avuto un importanza grande per questa trasformazione inte¬ riore dello Stato. Ho già accennato al valore deci¬ sivo della riforma scolastica sotto questo punto di vista; creando una scuola educatrice del carattere, propagatrice del sentimento religioso, formatrice della coscienza nazionale, si è dato allo Stato un compito, a cui per l’innanzi esso si riteneva estraneo. Ma non minore importanza hanno le leggi sulla maternità e sull’ infanzia e sopratutto quella sull’ Opera Nazio¬ nale dei Balilla. Questa grande istituzione si prepara a dare una educazione militare e qazionale alla gio¬ ventù dai sette ai diciassette anni, mediante un’opera ininterrotta, compiuta nelle scuole e fuori delle scuole, che in breve volger d’anni, trasformerà radicalmente — ai- io spirilo e il carattere del popolo ilaliano. Così ma¬ lia, per virtù della guerra e del fascismo, dopo secoli • Il indisciplina e di neghittosità, tornerà ari essere una grande nazione militare e guerriera. Anche la riforma ilei codici, già autorizzata dal J .u lamento, ed ormai in via di attuazione, contribuirà a dare allo Stalo quel contenuto concreto di cui finora mancava. Nel codice civile, nel codice penale, lo Slato s ' affermerà vigorosamente come tutore dèlia moralità i dell ordine famigliare; nel codice civile ancora e nel codice di commercio, la tutela della proprietà privata, strumento indispensabile per la formazione del ri¬ sparmio, e la disciplina del credito saranno consi¬ derato come essenziali funzioni dello Stato; nel co¬ nico civile, nel codice di commercilo, nel codice pe¬ nale gli interessi politici ed economici delia nazione avranno, come è dovere dello Stato, una forte garan- zicij nel codice penale e in quello di procedura pénale troveranno posto adeguato e adeguata soddisfazione E e necessità della difesa della Società e delio Stato, ì rpz essi va e preventiva, contro la delinquenza; nel f odice dì procedura civile, infine, ramini ni strazione giustizia non sarà più considerata una passiva funzione di interesse esci usi vaiti ente privato, ma come un,! delle più alte attività dello Stato, avente lo scopo 1 rn '^éntemente politico di garantire la pace sociale con 1 attribuire a ciascuno ciò che gli spetta. da la ri torma, a mio avviso, clic ha maggiormente ' nnu ^ U! do a dare allo Stato fascista la sua fisonomia ullj sua azione un concreto contenuto sociale, è pur sempre quella realizzata mediante la legge sulla di¬ sciplina giuridica dei rapporti collettivi\lel lavoro e il relativo regolamento legislativo. Onesta ìegge pone fine al secolare agnosticismo riti io Slato hi materia di conflitti fra le categorie e Mi le classi e considera Y attuazione della giustizia su¬ dale come un problema, che esso deve risolvere nel suo ambito e con le sue forze. Con questa legge Lo Sialo finalmente da un assetto stabile ai i appoi li Li a le categorie e le classi, ponendosi nei loro confronti in una”situazione di arbitro e di moderatore, v im¬ pedendo così che una sopraffaccia raltra, e che dalla lolla deir una contro r altra derivi r anarchia, la aii- seria e la servitù dei cittadini. Ma. oltre che a ri¬ sòlvere il problema della sostituzione della giusti- zìa eli Stato alla autodifesa di classe, la nuova legi¬ slazione sindacale risolve anche il problema deh or - ganizzazionc della società italiana a base proifissio¬ nale. Il sistema democratico deìl’atoraismo sttlTmgi- stico, che ignorava il produttore e conosceva solo il cittadino, se aveva potuto in un primp momento servire a distruggere un’organizzazione sociale e po¬ litica. come era quella del secolo X\ III, sorpassata dalla evoluzione sociale ed economica del tempo, non aveva avuto nessuna virtù ricostruì tri ce, Lsso partiva da una concezione fomlamentalmenLc er¬ ronea della vita sociale, che disconosceva la na- t u r a organ ica dell a socie tà, le di ì I en 1 nze uccessari e tra gli uomini, il loro diverso valore, e la diversi la delle funzioni a ciascun individuo affidale nel rum- plesso e multiforme meccanismo della vita sociale. 11 giorno, in cui il sistema era stato condotto alle sue estreme conseguenze, ed aveva prodotto gii estrèmi danni, minacciando di travolgere in una uviversale anarchia tutta la moderna civiltà, il problema di una riorganizzazione della Società, non più sulla base deir atomismo individualistico della filosofia della ri¬ voluzione francese, ma sulla base di una visione or¬ ganica della Società, si poneva nettamente. La riso- Juzione di questo problema è uno dei compiti pni - 23 — importami dello Stato fascista, che coti la legge del 3 aprile 1926 e ii regolamento 1 luglio dello slesso anno l’ha affrontato risolutamente, disciplinando iti modo organico tulio ii fenomeno sindacale. Realizza¬ zione della giustizia sociale per opera dello Stato, r iorganizzazione della Società sulla base della funzione produdiva da ciascuno esercitata, ecco il nuovo com¬ pilo assegnalo allo Stato, che dà allo Stato fascista una nuova forza e tinti nuova vita. sv- in quesiti campo della formazione di uno Sialo bene attrezzalo all’esercizio delle sue funzioni sociali, può essere dimenticata ia legge sulla istitu¬ zione dei consigli provinciali dell’economia, per cui lo Stato viene tornito di Lino strumento adeguato per fesercizio della sua azione economica, che fino ad oggi mancava, giacché nelle provincia io Sialo era rappresentato da molti organi, ma era assente pro¬ prio nel campo economico. Non meno importante della trasformazione inte¬ riore dello Stato deve considerarsi la trasformazione esteriore operata dal fascismo in questi ultimi anni. Intendo per trasformazione esteriore la restituzione allo Stato della pienezza della sua sovranità, inceppata durante il regime liberale democratico da una quantità di vincoli, di restrizioni, dì controlli e soprattutto so- praflatta ed annullata daU’irrompere senza limiti dì molteplici forze, che tendevano a diminuirla e a usurparla. . Restituire alio Stato il pieno esercìzio della sua sovranità significa anzitutto rafforzare il potere ese¬ cutivo. il potere esecutivo, infatti, è l'espressione più genuina dello Stalo, I organo essenziale e supreme della sua azione. Dovunque, ma specialmente in Italia, ia deca¬ denza dello Stato Ira avuto come manifestazione este- 1 — ‘24 — dorè il crescere smisurato dei poteri del Parlamento e specialmente della Camera elettiva, a danno del potere esecutivo. Fenomeno significativo, e che m pensare immediatamente ad un rapporto di causa ad effetto, tra questo accrescimento e quella decadenza. E in verità, se si penetra dentro all assenza delle cose così deve appunto concludersi, giacché la Ca¬ mera elettiva, che formalmente e giuridicamente fi¬ gura nella costituzione come organo dello Stato, è dal punto di vista sostanziale organo di interessi par¬ ticolaristici, dei più diversi e svariati interessi par¬ ticolari. La rappresentanza politica, infatti, checché ne dicano i teorici del diritto costituzionale, non è sostanzialmente designazione di capacità, ma rap¬ presentanza di interessi, naturalmente interessi di in¬ dividui o di gruppi e perciò spesso contrastanti con quelli dello Stato. Ora, finché la funzione del Par¬ lamento, come organo dello Stato, è limitata a una semplice partecipazione all’esercizio della sovranità, il danno non è grave. Ma diventa gravissimo quando, con la naturale tendenza esclusiva ed usurpatrice degli interessi particolari, l’organo di tali interessi viene acquistando una posizione preminente nell esci - cizio del potere sovrano. Quando ciò si verifica c il potere parlamentare domina il potere esecutivo, la tutela degli interessi storici ed immanenti della Società, di fronte ai particolarismi degli individui, delle categorie e delle classi, si affievolisce e spesso vien meno. A questo punto la sovranità dello Stato è praticamente annullata, e ad essa si sostituisti, la sovranità degli individui e dei gruppi in perpetua lotta fra di loro, quindi il cozzo continuo di forze brute, che tendano a sopraffarsi vicendevolmente; ciò che significa il disordine permanente e l’anarchia. Tale era lo stato di cose, che la sopraffazione par- 25 lamentare aveva creato in Italia prima deir avvento del Fascismo, e che il Fascismo ha fatto immediatamente cessare, restituendo al potere esecutivo la sua natu¬ rale posizione di organo preminente della sovranità. La legislazione fascista doveva consacrare giuridica¬ mente questa preminenza. Non già che nella costi¬ tuzione scritta dallo Stato italiano ciò non fosse già stabilito; come tutti sanno, lo Statuto fondamentale del Regno ignora lo sfrenato regime parlamentare de¬ gli ultimi decenni della nostra storia politica. Esso consacra un semplice regime costituzionale, in cui la parte principale dell’esercizio della sovranità spetta sempre al potere esecutivo ed al Re suo capo su¬ premo, mentre al Parlamento è riservata una fun¬ zione secondaria di collaborazione e di controllo. Ma la pratica costituzionale aveva da lunghi anni modificato lo Statuto, dando sempre più al Parla¬ mento e per esso alla Camera elettiva, la somma dei poteri. Tale sistema potè, bene o male, funzionare, finché vi fu nella Camera una maggioranza relativa¬ mente omogenea e capace di esprimere dal suo seno un Governo omogeneo. Ma, quando con la imprudente introduzione della rappresentanza proporzionale nel sistema elettorale, nessun partito ebbe più la mag¬ gioranza, la crisi divenne irrimediabile. Quando la Camera non fu più costituita da una maggioranza e da una o più minoranze, ma da una serie di mino¬ ranze, si impose la necessità del Governo di coalizione, costituito dall’unione di più partiti di minoranza. Si¬ mile sistema doveva condurre e fatalmente condusse alla paralisi di governo. Ciascun gruppo, che par¬ tecipava al potere non aveva sufficiente forza per governare, ma ne aveva abbastanza per impedire che gli altri governassero. Si attuò così il liberum veto dei gruppi, che condusse rapidamente aU’annulla- mento del potere esecutivo. Una tradizione simile do¬ veva essere radicalmente troncata, e perchè ciò acca¬ desse era necessario che una serie di leggi diretta¬ mente ed indirettamente sancissero, in modo espli¬ cito, il principio che l’organo permanente e supremo dell’esercizio della sovranità è il potere eseeutivo, riducendo il compito del Parlamento al campo, nel quale è solo praticamente possibile, della collabora¬ zione e del controllo. Il fascismo, pertanto, cominciò immediatamente coll’ abolire V assurdo sistema della rappresentanza proporzionale, per cui lo Stato veniva considerato come un possesso privato dei partiti, da dividersi tra essi in proporzione delle forze di ciascuno. Dal si¬ stema totalmente proporzionale della legge del 1919 si è passati al sistema maggioritorio a scrutinio di lista nazionale, con residui di proporzionalismo nella rappresentanza delle minoranze, consacrato nella ri¬ forma elettorale del 1923; e in ultimo si è ritornati al sistema schiettamente maggioratorio dello scruti¬ nio uninominale con la legge del 1925. In seguito, con una serie di provvedimenti le¬ gislativi vennero direttamente rafforzati i poteri del © Governo. A questo gruppo di leggi appartengono: la legge sulla facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche, la legge sulle facoltà e le prerogative del Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stalo; la legge sulla istituzione dei podestà nei Comuni e la sostituzione delle Consulte Municipali ai Consigli Co¬ munali. La legge sulla facoltà del potere esecutivo di ema¬ nare norme giuridiche, colmando una lacuna dello stesso Statuto fondamentale del Regno, fatto per un piccolo Stato e in un periodo storico di lenta cvolu- — 27 — zione della vita economica e sociale, dà la possibilità al Governo, organo permanente e supremo della so¬ vranità, di esercitare in taluni casi il potere legisla¬ tivo, anche nel campo normalmente riservato al Par¬ lamento. In tal modo, mentre si riconosce al Governo il suo carattere di organo, non solo preminente, ma anche permanente dello Stato, gli si consente di as¬ sicurare la continuità della vita dello Stato nei mo¬ menti più gravi della vita nazionale. Non solo, ma, attribuendo al Governo la possibilità di emanare, in caso di urgenza, norme aventi forza di legge, si è resa possibile l’approvazione di leggi, che per la inevita¬ bile opposizione dei particolari interessi contrastanti, non giungerebbero mai in porto con l’ordinaria pro¬ cedura parlamentare. È questo un punto forse se¬ condario, ma molto importante della riforma, che non va trascurato. Vi sono leggi, che il Parlamento non riesce mai ad approvare, appunto perchè vi si op¬ pongono fortemente interessi particolari, piccoli tal¬ volta, ma ostinati. Così ricordo una leggina di nessuna importanza sopra gli atti notarili fatti durante l’occu¬ pazione austriaca nelle provincie invase, che per tre legislature si è trascinata fra Camera e Senato, senza che si riuscisse mai a ottenere su di un unico testo il consenso delle due Camere, perchè gli interessati, agendo volta a volta nell’uno e nell’altro ramo del Parlamento, riuscivano a farvi introdurre emenda¬ menti che* ne ritardavano l’approvazione. La legge sui poteri e le attribuizioni del Capo del Governo, concentrando la direzione del Governo nelle mani del Primo Ministro e, dando a questo la somma dei poteri e delle responsabilità, costituisce un altro contributo al rafforzamento del potere esecutivo, la cui azione, divenuta omogenea e unitaria, è anche necessariamente più efficace. Si pone termine così - 28 - al Governo fatto a compartimenti stagni, proprio del regime parlamentare, in cui ogni Ministro rappre¬ sentando una propria forza, un propino gruppo e particolari interessi economici e politici, tendeva a fare nel Governo la propria politica. Ma il significato più profondo della legge sui poteri dei capo del Go¬ verno sta nell’avere svincolato, con formale disposi¬ zione di legge, il Governo dalla dipendenza del Par¬ lamento, riconsacrando il principio, già contenuto nello Statuto, ma per lunga tradizione dimenticato, che il Governo del Pie è emanazione del potere regio e non già del Parlamento, e deve godere la fiducia del Re, interprete fedele delle nècessita della Nazione*. In tal modo la Camera elettiva appare, quello che è, uno dei modi di manifestazione delle necessità e dei sentimenti del Paese, non già l’unica e la decisiva. In un periodo, in cui la vita di un grande popolo è divenuta sommamente complessa, non è più possibile dare alla rappresentativa elettiva, basata sull’atomi¬ smo suffragistico, un valore assoluto nel Governo della Nazione. Alla stessa necessità di rafforzare il potere ese¬ cutivo nelle Provincie e nei Comuni si ispira la legge sui poteri dei Prefetti, e quella importantissima e veramente decisiva per la vita italiana, cosi intensa localmente, sopra l’istituzione del podestà e delle Con¬ sulte Municipali. Ma l’onnipotenza della Camera elettiva non era la sola causa della disgregazione dello Stato liberale democratico. Le forze, che attraverso il parlamento, usurpavano la sovranità e la esercitavano nel proprio interesse sotto le forme legali del parlamentarismo, agivano anche più profondamente e in modo ille¬ gale fuori del Parlamento. I partiti, le organizza¬ zioni sindacali, la stampa erano venuti costituendo — 29 altrettanti Siali nello Stato, creando una condizione di cose divenuta in ultimo, veramente intollerabile, per cut nella nazione tutti comandavano, meno che 10 Stato: donde lina guerra perpetua di tutti contro tulli, che aveva soppresso ogni libertà e crealo una condizione di vicendevole sopraffazione, che paraliz¬ zava la vita del paese. In tal modo, contraddizione solo apparente, lo Stato liberale, nell’ultima fase del suo disfacimento, doveva assistere impotente alla fine di ogni libertà. Si poneva pertanto allo Stato ii dilemma: o tra¬ sformarsi ò perire; o riaffermare la propria so¬ vrani là su tutte le forze esistenti nel Paese o dissol¬ versi nella universale anarchia. Lo Stato Fascista ha operato questa trasforma¬ zione; esso ha affermato il proprio dominio su tutte le forze esistenti nel paese, tutte coordinandole, tutte inquadrandole c tutte indirizzandole ai fini superiori della vita nazionale. Una serie di leggi riafferma tale necessaria superiorità dello Stato, À questa serie eli leggi appartiene la legge sulle as¬ sociazioni segrete, la quale mira a ricondurre sotto 11 controllo dello Stato tutte le Associazioni, che ope¬ rano nel territorio nazionale e che, se ha colpito specialmente una particolare associazione, la Masso¬ neria, che si era abbarbicata allo Stato e che in mille modi lo teneva avvinto e lo dominava, è in realtà un provvedimento di indole generale. 1] quale mira a disciplinare, nella forma più limitata e moderata, il fenomeno associativo, cosi importante nella vita mo¬ derna, e che lo Stato non può, senza consacrare la sua piena abdicazione, ignorare. Alla stessa categoria di provvedimenti appartiene la legge sulla stampa, che vuole infrenare uno dei fenomeni più tris Li dell 1 ultimo periodo della vita ita- LLiUUUL- — 30 — liam Si era infatti costituita in Italia una forza im¬ mensa, come è quella della stampa, che rivendicava a sè il diritto di rimaner fuori dalla legge ed irrespon- sabile a questa conseguenza avendo condotto la de- venerazione dell’istituto del gerente. La stampa ha ima funzione alta e nobilissima, ma la costituzione, entro lo Stato, di una forza superiore allo Stato, in¬ controllata ed irresponsabile, non poteva essere ulte- ri orni ente tollerai lì . Ed egualmente dicasi della légge suda disciplina giuridica* dei rapporti collettivi dei lavoro. Questa legge, ho detto, si propone sópratullo alte finalità sodali: quella di rendere giustizia fra le classi e di organizzare le forze produttive del paese. Ma essa ha anche un altissimo compito politico: quello di ricon¬ durre nell’ orbita dello Stato le forze, che si erano co¬ stituite fuori di esso e contro di esso, li fenomeno sin¬ dacale è ini aspetto insopprimibile della vita mo¬ derna; lo Stato non può ignorarlo, deve conoscerlo, regolarlo, dominarlo; dominarlo con quello spirilo di assoluta imparzialità clic è proprio dello Stato, tutore dei generali e supremi interessi della nazione, e non, come si vuole dal materialismo marxista, rap¬ presentante di una classe sopraffattrice. Infine, deve ricondursi a questo ciclo di leggi re¬ stauratrici della sovranità dello Stato sui gruppi mi¬ nori, anche la legge sulla riforma forense. Come i sin¬ dacali, come i partiti, come la massoneria, come la stampa, così anche certi organi professionali si tv rano organizzati in maniera affatto indipendente dallo Stalo, in modo da costituire fòrze superiori allo Stato, incontrollate ed incontrollabili. Gli ordini professio¬ nali, anche i più nobili e di più grandi tradizioni, come gli ordini forensi, non sono che parte dell'or¬ ganismo dello Stato; hanno pubbliche funzioni, che 31 — esercitano in vece e in nome dello Stato e quindi non possono sottrarsi al suo controllo. Tale con¬ trollo appunto è stato stabilito nei limiti più riguar¬ dosi e discreti con la recente riforma forense. Si viene realizzando così la formula Mussoliniana: tutto per lo Stato, nulla fuori dello Stato, nulla contro lo Stato. Ciò che non significa, come taluno affetta di credere, la costituzione di uno Stato onnipossente, che tutto assorbe e tutto opprime. No; la nostra con¬ cezione dello Stato è bensì quella di uno Stato so¬ vrano è superiore agli individui, ai gruppi alle classi, ma con il chiaro ed esplicito presupposto che io Stato debba di tale sovranità servirsi, non per fare opera di oppressione, bensì per realizzare fini supe¬ riori. Nella superiorità dei fini dello Stato, nell'adem¬ pimento della sua missione di perfezionamento morale e civile all’ interno e all’esterno, sta la ragione delia superiorità dei suoi poteri. Così la potenza dello Stato, lungi dall’opprimere i cittadini, si riflette in modo benefico su di essi. Non furono mai felici i cittadini di uno Stato debole e miserabile. Al con¬ trario, solo attraverso lo Stato può il cittadino tro¬ vare le vie del proprio benessere e delle proprie fortune, verità che i romani espressero scultoriamente con la formula: civis romcinus sum. LE LEGGI DI DIFESA. 1. LEGGE SULLE SOCIETÀ SEGRETE. 2. LEGGE SUI FUORUSCITI. '>■ LEGGE SULLA BUROCRAZIA. 4 -. LEGGE SULLA DIFESA DELLO STATO. — 35 — 1 . LEGGE SULLE SOCIETÀ SEGRETE. RELAZIONE SUL DISEGNO DI LEGGE (*) Onorevoli colleglli ! — A tutti è nota la parte che, nel moto del risorgimento italiano, ebbero le società e sette se¬ grete. Il giudizio sul contributo, che esse dettero al movimento nazionale, appartiene alla storia. Certo è che, se poteva ri¬ tenersi giustificata resistenza e Fattività di associazioni oc¬ culte in tempo di servitù, come mezzo di lotta del popolo inerme contro lo straniero e i Governi clienti dello straniero, tali società avrebbero dovuto sparire o trasformarsi il giorno in cui, conquistata V indipendenza e l’unità, divenne lecita, anzi meritoria, ogni forma di attività intesa ad elevare e diffondere lo spirito nazionale. Accadde invece il contrario, e le libertà interne, sancite dallo Statuto e smisuratamente, e diremmo quasi, illimitatamente allargate dalla pratica co¬ stituzionale del nuovo Stato italiano, furono incitamento e motivo di una sempre crescente diffusione delle associazioni costituite ed operanti in modo clandestino od occulto, a cui corsero in folla, così i malcontenti e i delusi del nuovo (*) Presentata alla Camera dei Deputati dal Presidente del Con¬ siglio dei Ministri, ministro degli Affari esteri (Mussolini), nella se¬ duta del 12 gennaio 1925. — 36 — ri ordino di cose, come tutti coloro che cercavano di far la propria strada col massimo dei vantaggi e il minimo dei risciii. Fenomeno die spkcque ai piu grandi uomini del Eisorgimento, i quali considerarono le sette e società segrete carne un male necessario, frutto del dispotismo e della ser¬ vitù, e- destinato a scomparire con questi. Arma legittima dove non è patria e libertà, scriveva Mafcaim, esse possono essere sciolto dalla Nazione a che abbia conquistato la ma patria e la sua libertà. Se ÌhAssodàziom\ aggiungeva, dove realizzare un piu alto progresso* deve sottomettersi al giu* dizio di tutti* Ora, qualsiasi specie di società occulta, anche se, in ipotesi, il suo fine sia eticamente e giu riti ioamenh- lecito, è da ritenersi* pel fatto stesso della segretezza, incoili patìbile con la sovranità dello Stato, e la uguale liberta dei cittadini di fronte alla legge. La libertà politica coorte netta facoltà, ohe le leggi limitano per potoria meglio garantire a tutti, di parlare e di agire in pubblico per il perseguimento di fini che siano o si presumano utili alla collettività. Chi pretende parlare ed agire in segreto si sottrae per ciò solo alla li’ berta e ne viola uno dei presupposti essenziali, ohe è rugua- glianza di tutti i cittadini, perchè pretende a proprio favore' il privilegio di evitare i biniti e le sanzioni ohe, nclTinte- resse collettivo, le leggi impongono all 'esercizio della libertà. Si pone, in altri termini, fuori della legge, e non può ap¬ pellarsi ad essa per esserne difeso. Dal che deriva che nulla sarebbe più stolto ed assurdo, che scorgere nel divieto per parto dello Stato, di ogni forma segreta, una qualsiasi vio¬ lazione o restrizione delle garanzie costituzionali e delle li¬ bertà fondamentali. Che anzi lo Stato moderno, tanto più efficacemente celebra la propria essenza di Stato costituzionale e libero, quanto meno sopporti ed ammetta, nell esercizio dei diritti riconosciuti a tutti i cittadini, la possibilità del privi¬ legio, di cni una delle forme più odiose e moralmente ripu¬ gnanti è appun to la pretesa di sottrarsi al controllo degli altri. M — €>7 — Le società, che obbligano i propri adepti al silenzio, anche a costo di mentire, contribuiscono a corrompere e a falsare il carattere degli italiani, per sua natura disposto a franchezza e sincerità. La consuetudine della menzogna, della dissimulazione e del mistero è una delle più deplorevoli con¬ seguenze delle sette segrete; e forma, purtroppo, triste pri¬ vilegio italiano quello di insistere, in regime di libertà na¬ zionale e politica, nel perpetuarne gli effetti. I quali sono particolarmente perniciosi sul costume politico del popolo ita¬ liano, alla cui innata e organica sanità morale unicamente si deve, se non ne derivarono iatture maggiori di quelle che pure e d uopo constatare. Tutti i partiti politici ne sono più o meno inquinati o avvelenati. La lotta politica in Italia non potrà svolgersi con piena sincerità e genuinità di atteggiamenti e di rapporti, sino a che sarà possibile alle sette segrete di insinuarsi in ciascuno sotto mentite spoglie, per asservirne a interessi, o a finalità ignote o inconfessa¬ bili il programma, per deviarne lo spirito, per controllarne o carpirne le deliberazioni; per tradirli, infine, tutti e cia¬ scuno; fino a che insomma ogni partito potrà temere o sospettare, e troppo spesso non invano, di avere, senza sa¬ perlo, il nemico nelle proprie file. Ma uno dei maggiori pericoli delle Associazioni operanti in modo clandestino od occulto è il loro diffondersi tra i pubblici impiegati e persino tra i magistrati e gli ufficiali dell esercito e della marina. Non è chi non vegga quanto sia pernicioso e diremmo quasi fatale per l’autorità dello Stato all interno e la sua indipendenza dalPestero, questo sovrapporsi di una gerarchia privata ed occulta alla gerarchia statale e pubblica. La libertà esterna, cioè P indipendenza dallo straniero, conquistata a sì caro prezzo e a sì caro prezzo mantenuta, viene gravemente minacciata da questa penetrazione nei più delicati congegni dello Stato di associa¬ zioni occulte, sottratte ad ogni forma di vigilanza e di con¬ trollo, bene spesso aventi all’estero i centri di direzione e di — 38 — influenza. Una simile condizione di cose non può essere a lungo tollerata. Nessuna persecuzione, nessun divieto di alcun genere, nessuna limitazione del diritto di associazione. Solo obbligo, a tutte le associazioni, come avviene nei paesi più civili, di agire palesemente. Questo T intento del presente disegno di legge. Il quale vuole raggiungerlo con un mezzo semplice e per nulla aftatto fastidioso: dando facoltà all’autorità di pubblica sicurezza di richiedere e obbligando i dirigenti delle società, enti ed isti¬ tuti, costituiti od operanti in Italia a comunicare l’atto co¬ stitutivo, lo statuto e i regolamenti interni, l’eleneo nomi¬ nativo delle cariche sociali e dei soci. Stabilendo che lob- bligo della denuncia sorga solo quando vi sia una esplicita richiesta dell’autorità, si evita di imporre a tutto le società, le quali già esistono ed agiscono pubblicamente, l’onere di una formalità inutile. Con l’articolo 2 si provvede a tutelare io Stato contro il pericolo del sovrapporsi di una gerarchia occulta alla sua gerarchia, colpendo con pene disciplinari gli impiegati pub¬ blici di ogni ordine, compresi quindi in prima linea i ma¬ gistrati e gli ufficiali dell’esercito e dell’armata, che facciano parte di società segrete. Con tali disposizioni che non sono violatrici, ma tutrici della libertà dei cittadini, perchè nessuna attività vietano che si svolga palesemente e sotto il controllo della pubblica opi¬ nione, il Governo confida di aver dato nuovo c più vigoroso impulso a quella educazione morale degli italiani, che è uno dei problemi fondamentali della vita nazionale. — 39 — Sulle Associazioni Segbete (*) Onorevoli colleglli, sarò breve, perchè la. discussione è stata densa e oso dire anche esauriente, Non tanto qui, quanto inori di qui, si è sentito dire che queste nostro disegno di légge aveva intenti di persecuzione, che era, una legge di persecuzione. Chi ha detto questo non ha letto il disegno di legge: o era ignorante o era. in malafede. Il disegno di legge è modesto nella sua portata; esso non fa che dare facoltà all’autorità di pubblica sicurezza di richie¬ dere gli elenchi dei soci delle associazioni esistenti od ope¬ raci i in Italia e commina pene per coloro i quali o non obbediscono alla ingiunzione della autorità, ovvero diano no¬ tizie seie n lem en te fai se. fi progetto poi obbliga gli impiegati e gli altri dipendenti dello Stato, di ogni ordine, a non partecipare ad associazioni segrete. Non sarebbe possibiìe immaginare provvedimento più li- imitato, più modesto, che rientra indubbiamente risi diritti dello Stato ed è in sostanza un semplice provvedimento di polizia ordinaria, SÌ è detto anche che questa era una legge alitiproletaria e si è detto con manifesta contrarimone, perchè lo stesso onore¬ vole Gramsci poc’anzi riconosceva che la massoneria non rap- (*) Discorso pronunziato alla Camera dei Deputati nella tornata 16 maggio 1925. - 40 — resenta che una piccolissima parte della borghesia italiana e che il fascismo invece è l’espressione delle masse rurali del ■nostro Paese, è la forza più viva e più consapevole della Nazione. Si irato di pache persane* La massoneria non conta in Italia che 20 mila iscritti* Sì tratta dì ima pìccola minoranza. Questa è una legge la quale obbliga costoro semplicemente n rivelarsi, ad agire alla luce del sole; è legge che non offendo la libertà di nessuna categoria di cittadini* Ma ci si oppone: dato pure che sia una semplice formalità questa esigenza modesta che il disegno dì legge richiede, cioè la denunzia dei nomi all*autor ita ; ma questa minima esigenza di domandare, che si agisca apertamente è una limitazione della libertà* Ilo già detto in questeÀula, ma è bene ripeterlo, perche anche le cose semplici devono essere ripetute per essere ben comprese, che non esiste diritto senza limite; che non possiamo immaginare* per la stessa contradizione che noi .consente, un diritto illimitato* Diritto è limite, e tutti ì diritti -tatù- tari* quelli che nella nostra carta costituzionnte, cosi spesso ri¬ cordata, vengono sanciti, sono tutti diritti che trovano nello stesso Statuto la limitazione* Non ve m è neppure uno che sla illimitato. Non è illimitato il diritte dì libertà individuale sancito dall'articolo 26, perchè lo Statuto si affretta a roggiungetv che queste libertà può essere limitata per légge* non è illi¬ mitato la libertà di domicilio, perchè l’articolo 27 dello Sta¬ tuto, dopo averla sancita, aggiunge clic con te forme stabilite dalla legge può anche violarsi; non è inimitato il diritto della libertà di stampa, perchè Particelo 28, dopo sancito questo di¬ ritto, aggiunge che deve essere limitato, conformemente alla legge; non è illimitato il diritto di proprietà sancito dall'ar¬ ticolo 29, perchè tutti sanno che il diritto dì proprietà può essere limitato e soggetto ad espropriazione nell 5 interesse so¬ ciale, come lo Statuto dice espressamente* — 41 — Non è quindi neanche illimitato il diritto di associazione stabilito dall’articolo 32, perchè questo articolo aggiunge che tale diritto si esercita nei limiti stabiliti dalla legge. Ora, se questo diritto di associazione non può e non deve essere illimi¬ tato, come può dirsi che attentiamo al diritto di associazione, quando vi apportiamo non una limitazione, ma una condizione ? E una condizione di minima importanza, di pochissimo di¬ sturbo, che può soltanto allarmare coloro che pretendono non già di esercitare il diritto, ma di compiere un abuso e di reclamare un privilegio immorale in sè e dannoso alla collet¬ tività . (. Approvazioni ). Come si può riconoscere il diritto di operare di nascosto e segretamente, cioè di porsi in una situazione di privilegio, fuori della legge? E dal punto di vista morale, il segreto non è che la menzogna ed io domando se è possibile che sanciamo il diritto alla menzogna. Questo nostro disegno di legge non viola alcuno dei diritti fondamentali dello Statuto ed è perfettamente conforme allo Statuto; è perfettamente conforme, il ohe è ancora più impor¬ tante, alla morale. Lo Stato ha il diritto di difendersi, onorevoli colleghi. Queste associazioni segrete in grandissima parte hanno ca¬ rattere internazionale, e quando si parla di associazioni se¬ grete, il pensiero corre naturalmente alla Massoneria. Ora non vi è dubbio che in questo campo delle associa¬ zioni a carattere internazionale in Italia si è abusato ; noi abbiamo avuto tempi in cui la politica internazionale non era fatta dallo Stato, era fatta dagli enti, dalle organizzazioni esi¬ stenti nello Stato. Ora questo è assolutamente intollerabile. È principio elementare di diritto e di politica internazionale, che i rapporti internazionali sono rapporti tra gli Stati, e non rapporti fra i cittadini degli Stati! Lo Stato non può tolle¬ rare che, al di sopra di lui e dei suoi organi, si faccia da organizzazioni, da enti, da istituti esistenti nello Stato, una politica internazionale propria. _ 42 — Ma ci si dice: in altri paesi ciò accade; vi sono organiz- • 1 ritenti che operano internazionalmente, ma (io ri- ZaZ1 °dol o erano col consenso dello Statò. Questo accade quando TstatiTono sufficientemente forti, in modo da potersi servire au esti organi internazionali come strumento ai loro fini dl . ali Quésto non può accadere purtroppo ancora in Italia: naZ1 ° • ™ owpvrà anche noi diventeremo internazionalisti. il giorno m cui avveiia, Un argomento che si è portato contro il disegno di logge è la sua limitata importanza. ... Accade sempre questo a noi fascisti: che ci si rimprovera delle "cose più contradittorie al tempo stesso. Siamo stati accusati da una parte di avere esorbitato con un disegno di legge di questo genere, di avere attentato ai „ principi immortali » fondamentali della libertà cittadina e dall’altro si è detto che noi tentiamo invano con questo disegno di legge di impedire lo sviluppo delle società segrete, perchè, malvado tutto, queste si svilupperanno egualmente. ° Su qu esto punto della efficacia pratica del disegno di leo-o-e bisogna dire qualche parola ancora in rapporto ad alcuni amici assenzienti che lo trovano troppo blando, e vorrebbero qualche cosa di più. Quale è P importanza di questo disegno di legge? Pensiamo noi che, se domani una grande associazione, sorgesse composta di uomini x>ronti a tutti i cimenti, a tutti i sacrifici, potremmo noi impedire che essa si sviluppasse ? Noi non lo crediamo; ma non è questo il caso delle associazioni se¬ grete esistenti in Italia, sopratutto della Massoneria. La forza di questa Associazione non è nelle idealità che possono animare i suoi seguaci, se ve ne sono, ma neirutile che essa può dare o che si ritiene essa possa dare. Ora, se non è facile combattere uomini che lottano per un grande ideale, è facilissimo combattere uomini che lot¬ tano per interessi, e il giorno in cui avremo obbligato queste associazioni ad agire apertamente, alla luce del sole, e avremo -obbligato i loro iscritti a rivelarsi, quel giorno le avremo pra- ■ — 43 — ticamente uccise, perchè nessuno vorrà prendere parte ad una associazione che è stata riprovata dalla legge e che, lungi da portare qualche beneficio ai suoi adepti, sarà causa per essi di qualche sia pur leggero inconveniente. Questo noi vogliamo ottenere, e questo otterremo; dirò di più, abbiamo già ottenuto con la sola presentazione del di¬ segno di legge, perchè le Logge che una volta erano così popo¬ late, oggi sono deserte. « È un pianto il vederle », diceva una persona che se ne intende di questa materia! {Commenti ). Onorevoli colleglli! la Commissione ha presentato qualche emendamento a questo disegno di legge; ne parleremo in sede di discussione degli articoli. Intanto dico subito che il Go¬ verno preferisce il testo originario. Il testo originario è sufficiente; le modificazioni non aggiungono nulla di so¬ stanziale, perchè Particelo 2 sostituito dalla Commissione con¬ sta di due parti: nella prima si stabilisce espressamente il divieto delle associazioni segrete e le sanzioni, a carico an¬ che dei singoli soci; nella seconda parte si specificano me¬ glio le persone addette ai pubblici servizi, alle quali è vie¬ tato di far parte delle associazioni segrete. Per la prima parte non si aggiunge nulla a quello che è già nel disegno di legge, perchè quando il disegno di legge obbliga tutte le associazioni a fare la denunzia, evidentemente vieta le associazioni segrete. Non vi è di più che la sanzione per i singoli soci, che è inutile. Quando possiamo colpire i capi, abbiamo fatto opera sufficiente. Quanto alla specificazione più precisa dei singoli impie¬ gati a cuii è vietato di far parte delle associazioni segrete, rico¬ nosciamo che il testo della Commissione offre maggiore pre¬ cisione e potremo emendare il testo governativo facendo tesoro dei suggerimenti della Commissione. Onorevoli colleglli, ho finito. Questo nostro disegno di legge ha un lato politico e giuridico e un lato morale. Il suo lato politico e giuridico consiste in questo, che è un episodio della lotta che lo Stato nazionale, cioè lo Stato fascista, ha in- - u - impreso contro tutto ìc forze di disorganizzazione che ri erano annidato nel seno dello Stato e andavano giorno per giorno erodendo é distruggendo la sua sovranità, (ipp^ri). Perchè In questo sta il valore della nostra rivoluziono. La nostra rivoluzione è la rivendicazione delia forza, dellLu- torità dello Stato contro le forze disgregatrici, è nlent'altro cho il grande episodio ricostruttivo di quella fase di involuzione storica, per cui si va formando e ricostituendo lo Stato, Koi finalmente, col fasciamo, superiamo il medioevo, per- che il medioevo è la disgregazione sociale e polìtici; l'evo mo¬ derno è la ricostruzione dello Stato nazionale. e il fascismo è una fase di ricostruzione dello Stato moderno, E vi è poi, oltre al lato politico e giuridico, un Iato mo¬ rale clic ho visto con molto piacere messo in luce da alcuni onorevoli oratori che mi hanno preceduto. Sì, onorevoli colleglli, io Stato non è Bollimento un or¬ ganismo giuridico, è anche e deve essere un organismo etico. ■ (Approvazioni), ho Stato deve farsi tutore della morale pubblica e riven¬ dicare questa morale: deve curare anche ramino, oltre che il corpo dei cittadini, È in nome di questo altissimo dovere, ohe lo Stato deve intervenire a reprimere la menzogna, k corruzione, tutto li forino di deviazione e di degeneratone della morale pubblica e privata, (Applausi). Ecco perchè il Governo fascista ha presentato questo di¬ segno di legge, ecco perchè lo raccomanda n ll’approvaziono della Camera. (Vivi applausi — Congratulazioni). — 45 — Le Associazioni Segrete e la Massoneria (*) Onorevoli senatori, è con molto compiacimento che io ho assistito a questa discussione veramente elevata e serena; e tanto più me ne compiaccio, quanto più delicato e difficile ne è l’argomento. Io seguirò l’esempio degli oratori che mi hanno preceduto e parlerò con la stessa serenità ed obiettività. Intendiamoci: il problema di cui ci occupiamo è difficile, ma non per la portata giuridica del disegno di legge, che è modesta. Sotto questo rispetto opportunamente da qualche ora¬ tore si è rilevato il carattere particolare del disegno di legge, e si è invocata una legge che disciplini tutta la materia del diritto di associazione. Io riconosco che il rilievo è giusto e prometto che il pro¬ blema di una generale ed organica disciplina del diritto di associazione sarà maturamente studiato dal Governo. In verità è questa delle associazioni una materia ardua che là legisla¬ zione nostra trascura; trascuranza però non fortuita, perchè fu effetto delle condizioni politiche dell’ Italia durante molti de¬ cenni. Non era facile infatti per lo passato che un Governo avesse il coraggio di affrontare questo argomento scottante della disciplina giuridica delle associazioni. Disciplinare vuol dire, di necessità, limitare, e finché è durato in Italia il (*) Discorso pronunciato nel Senato del Regno nella seduta del 19 novembre 1925. ■hb — 46 - -ulto della libertà senza limiti, non era facile certamente parlare di limiti alla libertà di associazione. Oggi i tempi sono per fortuna mutati, e non è più impos¬ sibile pensare a norme giuridiche disciplinanti il - diritto di associazione. Questa legge modesta che il Governo presenta all’appro¬ vazione del Senato, non è che un anticipo di quella più vasta ed organica legislazione alla quale bisognerà pur metter mano. Aggiungo: se fino ad oggi il Governo non ha affrontato in pieno il problema di una organica disciplina del diritto di associazione, non è certo per timidezza, ma perchè abbiamo ritenuto che il problema avesse numerosi punti di interferenza con argomenti molto ardui, specialmente con quello della di¬ sciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro. Abbiamo ritenuto necessario pertanto proporre anzitutto un disegno di legge che questa disciplina dei rapporti collettivi di lavoro stabilisce. Sgombrato il campo dal lato sociale del problema sarà pure facile risolvere in modo generale quello della disciplina del diritto di associazione. L’ .anticipazione, che il presente disegno di legge con¬ tiene, ho detto, è modesta. Nei due articoli infatti, che presentiamo all’approvazione del Senato, nessun grande pro¬ blema inerente alla disciplina del diritto di associazione è affrontato, ma si è invece con assoluta parsimonia data qualche norma che attiene più che altro alla regolamen¬ tazione di polizia del fenomeno. ( Benissimo ). Quando noi chiediamo alle associazioni l’elenco dei soci e ogni altra notizia che le possa riguardare, noi non tocchiamo affatto il diritto di associazione, richiediamo soltanto l’adempimento di una formalità estrinseca che non lo diminuisce in al¬ cun modo. Eppure in questa norma, di portata così li¬ mitata, si è voluto vedere niente di meno che un attentato gra¬ vissimo al diritto di associazione. In verità nell’articolo primo non si tocca la libertà di associazione, si tocca, se mai, la — 47 — libertà del segreto di associazione. (Benissimo). Ora, su questa questione del segreto io non voglio fare un lungo discorso, per¬ chè se ne è da molti e bene parlato. Ma non posso trattenermi da U’osservare che il senatore Euffini, il quale fu mio maestro in tempi, a.himè, per lui e per me lontani, e per le cui qualità di uomo e di studioso io professo la massima stima, nel suo di¬ scorso ci ha fornito, senza volerlo, la dimostrazione piu chiara della utilità, anzi della necessità di questo disegno di legge. Perchè egli ha proclamato albamente, con un accento di sincerità che gli fa onore, la tragedia interiore che lo tormenta nel momento in cui i suoi convincimenti gli impongono di op¬ porsi all’approvazione della legge. Egli, che non è massone, è esposto, per questo suo atteggiamento, ad apparire come iscritto alla setta, e non ha modo di provare che egli, in realtà, non ne fa parte, perchè il segreto massonico autorizza i mas¬ soni a mentire. Orbene, questa tragedia in sostanza dimostra che la esistenza di una associazione segreta e che obbliga i suoi adepti al segreto, è veramente un’ insidia alla dignità dei citta¬ dini, è un pericolo per la libertà, la serenità e la sicurezza di tutti. ( Vivissime approvazioni ). Io sono però lieto di poter rassicurare il senatore Euffini. Io so benissimo che il suo attuale atteggiamento non è effetto di legami che egli abbia con la Massoneria. Io so infatti non solo che il senatore Euffini non è. massone, ma che è contrario alla Massoneria. EUFFINI. Senza dubbio! EOCCO, ministro della giustizia e degli ajfari di culto. E la prova l’abbiamo nella risposta che il senatore Euffini diede all’inchiesta fatta nel 1913 dal giornale L’Idea Nazio¬ nale, nella quale risposta egli disse che la Massoneria è incom¬ patibile con la disciplina dello Stato e si risolve in un danno per il paese. EUFFINI. Certamente. Tanto è vero che io ho affermato che dovevate sopprimerla. - 48 - MUSSOLINI, presidente del Consìglio, Allora siamo più liberali noi ! bisogna scegliere tra lo stato d'assedio o la di.sei - plina: non si può sempre oscillare tra luna r l’altra, ROCCO, ministro della giustizia e degli affari dì cullo , Se dunque il senatore Raffini, die dava della Massoneria il giudizio, che ora ho ricordato, ha oggi mutato di opinione,.. BOTTINI. No, non ho mutato! ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto .. .la ragione non può essere che politica, e io rispetto 1 - sue pregiudiziali politiche, ma devo constatare ohe a queste, non al contenuto intrinseco del disegno di legge, si deve la sua op¬ posizione. L’onorevole senatore Ruffini ha avuto la bontà della quale lo ringrazio, di ricordare 11 mio discorso di Perugia. Non è questo precisamente il luogo di idre una polemica sopra le dottrine, che lo esposi in augurami j un cor.v^ uni ver* sitarlo. e quindi in ambiente e in circostanze più adatto dello attuali ad una disquisizione teorica. Ma in realtà non è possi* bile un accordo quando si parte da concezioni cosi differenti. 10 non pretendo di convertire il mio maestro senatore Raffini alla mia concezione dello Stato Nazionale, Stato sovrano ohe domina tutte le forze esistenti nel Paese, come egli non erede certo di convertire me alla sua dottrina dello Stato, dia serve ai cittadini, e della libertà innata, antecedente e superiore allo Stato, diritto naturale dei cittadini. La verità è questa, dio con la dottrina che il senatore Raffini profèssa, non vi sono limiti alla libertà, e si cade insensi bìlia m te, ina sicuramente nell'anarchia; cd egli ce ne lm data una prova nella afferma¬ zione solenne che ha fatto con acconto dì sincerità e di commo¬ zione : «Bisogna tener fede alla libertà a qualunque costo >* Dunque, anche a costo della salvezza della Patria, anche a costo della disgregazione dello Stato, anche a costo dell'anarchia! 11 senatore Buffarli ha opposto al nostro intendimento di conoscere io stato civile delle associazioni, Fesempio dello legislazioni straniere. Io debbo in generale, in questa materia 49 — \ degli esempi stranieri, esprimere l’opinione, che quando un paese ha raggiunto la maggiore età politica, come la ha raggiunta l’Italia, noi dobbiamo piuttosto compiacerci di uno sviluppo autonomo della nostra legislazione e dei nostri Isti¬ tuti, che porci continuamente innanzi P esempio straniero. Può darsi che in questa materia noi abbiamo una mentalità, una dottrina, una legislazione differente dagli altri popoli: è tempo, perchè per tanti anni non abbiamo fatto che imi¬ tare e seguire gli stranieri. (Vive approvazioni). Del resto, gli esempi stranieri che l’onorevole senatore Ruffini ha prodotto, a mio avviso, non calzano; egli ha citato l’esempio dei paesi Anglo-Sassoni: ebbene, qui proprio ieri 1 onorevole senatore Gabba ricordava giustamente la legisla¬ zione dello Stato di New-York che proibisce le società segrete. L’onorevole senatore Ruffini cita l’esempio della Turchia e della Cina (ilarità). Non mi sembra che gli esempi siano molto felici, perchè la Turchia nazionalista di questi ultimi tempi non è stata un’adoratrice della libertà. MUSSOLINI, presidente del Consiglio. Più di 70 im¬ piccati per cause politiche, abbiamo avuto, e soppressione di tutti i giornali liberali... ROCCO, ministro per la giustizia. E quanto alla Cina io posso anche ammirare il giurista cinese, di cui l’onorevole Ruffini faceva il nome, ma mi permetta il mio maestro di non ammirare la Cina moderna, che purtroppo dà al mondo uno spettacolo di disgregazione e di anarchia, che non vorremmo ripetuto in Italia ( approvazioni ). L’articolo 2 del disegno di legge si occupa in modo par¬ ticolare degli impiegati, ed è questo un punto delicato del problema, una delle ragioni che hanno reso necessario ed urgente il disegno di legge. Non possiamo tollerare che si formi e prosperi accanto alla gerarchia ufficiale dello Stato, una gerarchia occulta, che a questa si sovrappone. (Approvazioni). Tale gerarchia occulta è consacrata espressa- mente negli statuti dell’ordine massonico. Basta ricordare 4 — 4S — MUSSOLINI, presidente dd Consìglio, Allora smino più liberali udì! bisogna scegliere tra lo stato d’assedio e k disci¬ plina: non si può sempre oscillare tra runa e l'altra. ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. Se dunque il senatore Raffini, clic dava della Massoneria il giudizio, che ora lio ricordato, ha oggi mutato di opinione,,, KU FLINT. No, non ho mutato! ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di mito ., /k ragione non può essere che politica, e io rispetto 1 sue pregiudiziali politiche, ma devo constatare elle a queste, non al contenuto intrinseco dei disegno di logge, SÌ deve la ma op¬ posizione. | || fi J j 1 1/ onorevole senatore Raffini ha arato In Ijontà della quale lo ringrazio, di ricordare il mio discorso di Perugia. Non è questo precisamente il luogo di fare una polemica sopra le dottrine, che io esposi inaugura fido un t*orso univer¬ sitario, e quindi in ambiente e in circostanze più adatte delle attuali ad una disquisizione teorica. Ma in realtà non i- possi¬ bile un accordo quando si parte da concezioni cosi differenti. 10 non pretendo di convertire il mio maestro senatore Raffini alla mia concezione dello Stato Nazionale, Stato sovrano che domina tutte le forze esistenti nel Paese* come egli non erede certo di convertire me alla sua dottrina dello Stato, che serve al cittadini., e della libertà innata, antecedente è supcriore allo Stato, diritto naturale dei cittadini. La verità v questa, che con ìa dottrina che il sanatore Raffini professa, non vi sono lìmiti olla libertà, e ri cade insensibilmente, ma sicuramente udì-anarchia ; ed egli ee ne ha data una prova nella afferma¬ zione solenne che ha fatto con accento di sincerità e di commo¬ zione: « Bisogna tener fede alla libertà a qualunque costo • . Dunque, anche a costo della salvezza della Patria, anche a costo della disgregazione dello Stato, anche a costo dell Anarchia! 11 senatore Raffini ha opposto al nostro intendimento di conoscere Io stato ci vile delle associazioni, P esempio delle legislazioni straniere. Io deb!x> in generale, in questa materia — 49 — desìi esempi stranieri, esprimere ropinione, che quando un paese ha raggiunto la maggiore età politica, come la ha raggiunta V Italia, noi dobbiamo piuttosto compiacerci di uno sviluppo autonomo della nostra legislazione e dei nostri Isti¬ tuti, che porci continuamente innanzi F esempio straniero. Può darsi che in questa materia noi abbiamo una mentalità, una dottrina, una legislazione differente dagli altri popoli: è tempo, perchè per tanti anni non abbiamo fatto che imi¬ tare e seguire gli stranieri, (Vive approvazioni)* Del resto, gii esempi stranieri che Fono rovo! e senatore Ruffinì ha prodotto, a mio avviso, non calzano; egli ha citato l’esempio dei paesi Anglo-Sassoni: ebbene* qui proprio ieri 1 onorevole senatore Gabba ricordava giustamente la legisla- ziono dello Stato di New-York che proibisce le società segrete, L onorevole senatore Raffini cita l'esempio della Turchia e della Cina (ilarità). Non mi sembra die gli esempi siano molto felici, perchè la Turchia nazionalista di questi ultimi tempi non è stata, un’adoratrice della libertà. MUSSOLINI, presidente del Consiglio , Più di 70 im¬ piccati per cause politiche, abbiamo avuto, e soppressione di tutti i giuro a ìì liberali... ROCCO, ministro per la giustìzia. E quanto alla Cina io posso anche ammirare il giurista cinese* di cui Fonorevole Ruffinì faceva il nome, ma mi permetta H mio maestro di non ammirare la Cina moderna, che purtroppo dà al mondo uno spettacolo di disgregazione e di anarchia, che non vorremmo ripetuto in Italia (approvazioni ), IFartieoIo 2 del disegno di legge si occupa in modo par¬ ticolare degli impiegati, ed è questo un punto delicato del problema, una delle ragioni che hanno reso necessario ed urgente il disegno di legge. Non possiamo tollerare che si formi e prosperi accanto alla gerarchia ufficiale dello Stato, una gerarchia occulta, che a questa si sovrappone, (Approvazioni). Tale gerarchia occulta è consacrata espressa¬ mente negli statuti dell ordine massonico* Tasta, ri cord aro 4 - 50 — l’art. 23 delle costituzioni massoniche, che furono riformato nel 1900, il quale tra i doveri del massone mette precipuo quello di non dimenticare la propria qualità massonica in tutte le questioni d’indole politica, che egli è chiamato a trattare, se investito di pubblici uffici. E l’articolo 23 ribadisce quo- st’obbligo imponendo al massone, che eserciti funzioni pub¬ bliche, di rendere conto dei propri atti ai governo dell’ Ordine tutte le volte che ne venga richiesto. Il senatore Crispolti ha ricordato il caso del ministro Pri- netti, il quale lamentava di non potere trasferire un usciere qualunque senza il placet della Massoneria. 'Putte le libertà, invero, in quel felice periodo erano rispettate, salvo una sola: la libertà dello Stato. Concludendo sul carattere e sui fini generali del disegno di legge, dirò che esso si propone soltanto di conoscere quale è lo stato civile delle associazioni esistenti in Italia, ma non provvedere ancora a disciplinarle e a limitarne l’attività. Si tratta, dunque, di un primo, timido passo, sulla via della ri¬ vendicazione dell’autorità dello Stato sulle forze che si orga¬ nizzano nel paese. Questa rivendicazione sarà opera di altri provvedimenti, dai quali dovrà uscire ricostruito lo Stato. Lo Stato deve dominare infatti tutte le forze esistenti nel Paese, e non si può ammettere, come si è, purtroppo, ammesso lun¬ gamente, l’esistenza di organizzazioni potenti, come la Confe¬ derazione del lavoro, come le Associazioni di impiegati delle ferrovie, delle poste e dei telegrafi, di marittimi e di tram- vieri, o infine, come la Massoneria, che sieno padrone effettive della vita della nazione. Solo quando lo Stato domina tutte le forze che esistono nel Paese c’è la vera libertà, la libertà per tutti i cittadini di vivere, di lavorare, di produrre e di ser¬ vire la nazione. Quando lo Stato non è libero, nessun citta¬ dino è libero. (. Approvazioni ). In quest’Aula si è pronunziato, ed io stesso Y ho fatto più volte, il nome della Massoneria. Nel disegno di legge questo nome non ricorre, ed allora si sono attribuiti ad esso scopi 51 tenebrosi, che anelerebbero molto al di là dell’associazione massonica; si è detto che noi avevamo intenzione di colpire altre associazioni, persino quelle di carattere religioso. Sgombro subito il campo di questa obbiezione. Non è possibile che sotto la sanzione della legge cadano le Congre¬ gazioni religiose e per una ragione evidente: per il Codice di diritto canonico le associazioni segrete sono proibite; la stessa Compagnia di Gesù non è, checché si dica, una associazione segreta. Nel disegno di legge non si accenna singolarmente alla Massoneria per una serie di ragioni di ordine tecnico, politico e morale. Dal punto di vista tecnico, perchè la legge deve dar norme generali e non già disporre per un singolo ente o una singola perdona. Questa sarebbe stata veramente una man¬ canza di stile legislativo, sarebbe stato il creare un legge spe¬ ciale, un privilegio, come dicevano i Romani. Del resto, se avessimo contemplato la Massoneria in modo nominativo e sin¬ golare, la stessa Massoneria si sarebbe potuta ricostituire sotto altra forma e con altro nome, e la legge sarebbe stata facilmente elusa. Dal punto di vista politico, si deve considerare che la Massoneria è un’associazione internazionale; in altri paesi ha altri fini, altra attività, altra figura. È un’associazione pubblica, senza alcun carattere di ostilità verso lo Stato, anzi non di rado posta a servizio dello Stato: si comprende! adunque come fuori d’Italia, in altro ambiente e con ben di¬ verso atteggiamento, la Massoneria possa essere considerata una istituzione innocua e perfino utile. Noi non abbiamo nes¬ suna ragione di colpire la Massoneria in sé come istituzione internazionale; noi la colpiamo e vogliamo colpirla così come esiste in Italia, dove è dannosa all’ordine pubblico e alla pub¬ blica moralità! ( Approvazioni ). Dal punto di vista morale infine, il disegno di legge san¬ cisce un principio di alto valore etico: esso contiene un av¬ vertimento ed un monito: che l’attività tenebrosa e segreta, la quale cerca ! vantaggi, ma sfugge alle responsabilità, ò riprovata dalla legge. Queste sono le ragioni per cui non si parla, nel disegno di logge:, della Massoneria, ma In generale delle associazioni segrete. Ma poiché alla Massoneria si è accennato più volte in Quest’Àula, e alla Massoneria appunto è dedicata la relaziono dell'onorevole Ufficio centrale, si consenta a me pure di dirne qualche cosa. La storia delia Massoneria dimostra che essa è un istituzione di origine straniera, sorta in Inghilterra, e dì li trapiantata in Francia e poscia in Italia, già fino dal secolo deeimottavo, ma soltanto in modo sporadico. Essa fece il suo largo ingresso nel nostro paese con V invasione francese, sopra tutto nel periodo napoleonico, durante il quale fu a servizio del Primo Napoleone, docile strumento del suo domìnio. Col crollo della fortuna napoleonica anche la Massoneria italiana cadde in uno stato di disgregazione e di marasma; i tanto fu impotente, tanto fu lontana dalla vita della nazione e dai suoi palpiti durante la preparazione del risorgimento, che fu ne¬ cessario, In quel fortunoso periodo, costituire altre associ azioni segrete per organizzare la lotta per V indipendenza e la libertà nazionale. La « Carboneria »• e la « Giovane Italia », che fu¬ rono associazioni distinte dalla Massoneria, nacquero perchè In M assoneria era assente! Questa è la verità! Io ho la fortuna di avere sul tavolo una primizia e cioè la prima copia pubblicata del libro in due volumi dì Alessandro Lurio sulla Massoneria nel Risorgimento italiano. Ebbene, il Lazio dimostra, con copia di argomenti è di dot-uni enti, che la Massoneria fu estranea al risorgimento, quando non i’u contraria. Subito dopo l'avvento dell 5 Austri a, dopo il 1815, la Massoneria fu austriacante. IL Dolce, che il Lazio cita, scriveva in una nota del 2 aprile 1817 : « Costoro che credono che la Massoneria abbia molta importanza, non sanno che anzi ora i massoni, parlando In generale, non ai sono mai più riuniti da circa tre anni, che — 53 — dimostrano attaccamento all'attuale Governa per essere stati salvi dalla reazione, ohe cercano tutti i possibili mezzi per es¬ sere dal governo tollerati, ben veduti e protetti, che finalmente nella massima parto calcolano per un sogno quella idea d‘ iti¬ ci [pendenza che riscalda tuttora le menti dei deboli e degli intriganti. Più, le società segrete del giorno di oggi sono lute¬ rani ente diverse dalla Massoneria per rito, per segni dì rico¬ noscimento, per simboli, per parole, per oggetto, per insieme o anche per locale riduzione; e sebbene nelle società segreto siami compresi Menni massoni, questi massoni sono gente scre¬ ditala, più non esìstono nè massoni nè legge e non se ne ri¬ corda neppure il nome ». Del resto B Austria trovò nei massoni uomini adatti, che le resero grandi servigi: un pubblicista di primo ordine corno Acerbi, Direttore della Biblioteca Italiana, era massone; un inquirente più unico che raro per i processi politici come Antonio Sa]volti era, massone; un dotto archivista e poli¬ grafo infaticabile coma Lane etti era massone; un delatore come Carlo Castillia era massone; impiegati di polizia eccel¬ lenti come Boi za e Tru ssardo, letterato a tempo perso sotto il regime napoleonico, erano massoni. Non basta. Non solo la Carboneria, che ebbe una, parte im¬ portante nel Risorgimento, era cjosa diversa dalla Massoneria, ma era contraria alia Massoneria perchè religiosa e cattolica. Silvio Spaventa lo ricorda, negli scritti pubblicati da Bene¬ detto Croce, « la Carboneria esprimeva in se ìl concetto della sincerità e della spontaneità della religione instaurafrice della libertà se del Cristo redentore degli oppressi. Indi si sparso rapidamente e dilato come grande fiamma che arde ed ogni cosa avvolge », Giustamente osserva pertanto il Luzio che quella della Carboneria era una triplico protesta; contro rin¬ fili sso francese, contro il larvato ateismo ed il volgare mate¬ rialismo, contro la prevalenza aristocratica e le forme oligar¬ chiche proprie della Massoneria, E spesse volte fra di loro, la Massoneria e la Carbonerìa furono in lotta aperta. — 54 — Il Luzio ricorda che Gran Maestro della prima vendita a Bari fu il bitontino Francesco Antonio Cammarota, impie¬ gato, e già iscritto alla Massoneria. Nel 1819 egli fu, come tutti i massoni di Bari obbligato a iscriversi alla Carboneria, allo scopo di evitare gli effetti di una congiura, che i Carbo¬ nari tramavano per uccidere tutti i massoni! Mazzini non fu massone, come riconoscono Bacci e Ma- ruzzi sulla testimonianza di Nathan e Lemmi. Anzi, Maz¬ zini fu contrario al segreto massonico, lo dichiara esplicita¬ mente nei Doveri dell’uomo, paragrafo decimo, in un passo che ho ricordato nella mia relazione alla Camera dei depu¬ tati, e fu combattuto dalla Massoneria, come risulta dalla circolare del massone Buonaroti contro Mazzini, contro la Giovane Italia e la Giovane Europa e dalla risposta, vibra¬ tissima, del Mazzini. La verità è dunque che la Massoneria fu estranea al Ri¬ sorgimento, fu assente, come del resto gli stessi massoni ammettono. Ulisse Bacci, che è l’apologista della Massoneria, nel suo libro II massone italiano scrive: « Quando si sente il bisogno di scendere dai campi del pensiero a quelli delPazione la loggia massonica ammutolisce, quando la rivoluzione è compiuta, la Massoneria ricompare a dare ordine, compattezza e solennità al nuovo edificio ». Questa assenza, del resto è naturale. Non poteva logicamente, esser parte importante dì un moto nazionale, come quello del risorgimento, una So¬ cietà internazionale e cosmopolitica, come la Massoneria. Oc¬ correvano, per ciò, organizzazioni schiettamente italiane, come la Carboneria e la Giovane Italia. La Massoneria ricomparve in Italia, in verità, dopo il 1860 e ricomparve come emanazione e per opera della Mas¬ soneria francese. Dopo il 1850 la Massoneria francese, che fu presieduta prima da un principe della casa imperiale, il Murat, poi da due generali dell’esercito napoleonico, ebbe un certo sviluppo, ma come istituzione schiettamente francese e ligia ai voleri dell’imperatore. E qui, onorevoli senatori, sono costretto a feeoare il punto essenziale della questione massonica. Perchè il problema della segretezza è importante; il problema del pericolo, che deriva all’autorità dello Stato dalla esistenza di un potere occulto e incontrollabile, è grave; il problema deli-azione immorale, che esercita una associazione che agisce a vantaggio elei suoi soci, inquinando tutta la vita nazionale, è gravissimo, ma c’è un problema che è vitale, quello del carattere inferii azionale della Massoneria, ed internazionale nel mòdo più pericoloso per noi. Perchè io comprendo perfettamente che ci siano governi, i quali tollerino o anello vedano di buon occhio associazioni interna¬ zionali, le quali hanno iL centro di irradiazione nello Stato, e siano, si voglia o non si voglia, centri di espansione nazionale nel mondo, come sono infatti le massonerie di altri paesi. Ma quando una associazione internazionale ha fuori dello Stato la direzione ed il centro, e da questo dipende, facendosi stru- mento di influenza straniera, allora la situazione, o signori, è capovolta, e ciò che è lecito e magari utile in altri Stati, di¬ venta illecito e pericoloso da. noi, e deve essere combattuto e represso. Questo carattere della Massoneria italiana è, del resto, da essa medesima confessato. L'attuale Gran Maestro della Massoneria, Bomizio Torrigianì, in un discorso tenuto a IStow York, nella Grande Loggia, il 3 maggio 1923, pubblicato in¬ tegralmente nella Rivista massonica, disse, tra l’altro: a Vi sono ancora nel mondo gli antichi nemici, che non hanno di¬ sarmato e non disarmeranno. Vi sono ancora paesi minacciati dal fanatismo e dalla intolleranza. Ora sapete voi, fratelli, perchè in qualche paese la. persecuzione della Massoneria si ar¬ restò e sapete perchè in qualche altro non osò scatenarsi V Perchè si ebbe paura del sollevarsi di tutta intera la Massoneria del inondo » * 1 ■ Onorevoli senatori, il Governo italiano può con animo sereno assistere allo scatenarsi di tutte le massonerie del mondo, - 56 — perchè, per grazia di Dio, in Italia è padrona soltanto 1’ Italia. (Vivissimi e prolungati applausi). E di un altro punto consenta il Senato che io mi occupi, pure importantissimo per noi italiani: il carattere e il pro¬ gramma anticattolico della Massoneria. Questo della lotta contro il catolicismo è un punto del programma massonico, su cui non vi è discussione. Vi è un altro punto del pro¬ gramma, su cui si può discutere, ed è la lotta contro il prin¬ cipio religioso in genere. In verità la lotta contro la Cliiesa cattolica è nel programma ddla Massoneria universale, frutto dello spirito della riforma protestante; la lotta contro la Chiesa cattolica e contro il principio religioso è nel pro¬ gramma specifico della Massoneria italiana. Ora bisogna par¬ lar chiaro. Le divergenze, che per le necessità ineluttabili della for¬ mazione della unità nazionale ci sono state fra l’Italia e la Chiesa cattolica, sono una questione puramente italiana. La quale, lo affermiamo altamente, non deve essere intorbidata da altri elementi, come purtroppo è avvenuto*, e come ha testé rilevato il senatore Corradini, che ha ricordato giustamente l’azione sobillatrice che nel funesto dissenso ha sempre esercitato la Massoneria. Mi limiterò a ricordare le scene indecorose veri¬ ficatesi nell’occasione dei funerali di Sua Santità Pio IX (i benissimo ) che fecero torto all’Italia e resero più aspro, più acuto il dissidio. Nè ricorderò altri episodi meno gravi, seppure più grotteschi, come l’anatema contro il Pontefice sedente in Vaticano, pronunciato dal Capo della Massoneria italiana. La Chiesa cattolica, qualunque siano le questioni contin¬ genti che può avere con essa lo Stato italiano, è una grande istituzione, ed è una istituzione che ha sede in Italia, che è una gloria italiana, e che noi, come italiani e come cattolici, ri¬ spettiamo ed amiamo. (. Applausi vivissimi e prolungati). Noi non tolleriamo pertanto interferenze straniere nei nostri rap¬ porti con essa, nè massoniche, nè di qualunque altra specie (vivi applausi). Questo disegno di legge è dunque una necessità : neces¬ sità che il disegno soddisfa, nei limiti piu modesti; e se io, che sono il critico pio feroce di me stesso, dovessi fare un appunto alla legge da me proposta, le farei quello di essere insufficiente e troppo mite. Sono state fatte da varie parti obiezioni ed appunti par¬ ticolari. La prima obiezione riguarda Ini timo capocorso del- l’articolo piimo, in cui si dice: « In tutti i nasi di omessa, falsa o incompiuta dichiarazione, le associazioni possono essere sciolte con decreto del prefetto ». A chi si preoccupa del caso di dichiaratone incompleta, ma fatta senza dolo, unicamente per errore scusabile, io dico che è naturalo che il prefetto* a cui la leggo deferisce facoltà, ma non impone obblighi, si valga di queste facoltà soltanto nei casi più gravi, cioè nei casi di omissione avvenuta con dolo o almeno con colpa grave. ’K se si desidera che il Governo dia assicurazione su questo punto, lo faccio senza nessuna difficoltà. Vi è poi lai tra obiezione desunta daibobbligo che Particelo impone ai funzionari, di denunciar non solo la loro apparte¬ nenza presente, ma anche quella passata, ad associazioni se¬ grete, ciò clic per noi, praticamente, vuol dire alla Massoneria. Ora, è chiaro die, al momento in cui si vuoi fare il censimento degli impiegati, dal punto di vista della loro appartenenza ad associazioni segrete — diciamo pure dal punto di vista masso¬ nico — si chieda non solo se essi appartengano og T gi, ma anche se appartenevano otto giorni prima alla Massoneria. Ma è anche altrettanto naturale che la legge non abbia effetto retroattivo, e che coloro, i quali hanno bensì appartenuto alla Massonerìa, ma ne erano già usciti al momento dclFattuaziono della legge, non siano colpiti in alcun modo dalle sanzioni della leggo stessa e, aggiungo, da nessun altra sanzione. Xoi non vogliamo che il peccatore muoia, vogliamo invece che si converta e viva. Onorevoli senatori, io concludo brevemente, come è mio costume: questa legge è una legge di difesa dello Stato o di db — 58 — fesa nazionale; di difesa dello Stato, il quale non può tollerare Insistenza di organismi occulti e di forze che pretendono do¬ minarlo segretamente ; dì difesa nazionale, perché la nazione non deve essere lasciata, alla mercè di indebite ingerenze stra¬ niere. Ed è anche, permettetemi di dirlo, sopratatto legge di moralità; la quale insegnerà al popolo italiano che ogni Ideale si può professare, ma alla luce del sole, assumendone piena la responsabilità, mentre, invece, Poponi segreta e irrespon¬ sabile non solo è dannosa per lo Stato, ma è un malo esempio per la nazione e anche come tale deve essere riprovata e re¬ pressa. (Applausi vivissimi e prolungali\ i ministri e mola senatori si congratulano con Voratore). — 59 LEGGE SUI FUORUSCITI. RELAZIONE SUL DISEGNO DI LEGGE ( *) Onorevoli deputata — Da assai temi>o, e staremmo per diro dal conseguimento dell’ Unità nazionale in poi, è stata piaga italiana quella dei cattivi cittadini die hanno all’estero esercitato opera dannosa agli interessi della patria. Quat¬ tordici secoli di disgregazione, quattro secoli di servitù, una coscienza nazionale ancor debole e incerta spiegano il do¬ loroso fenomeno, per cui è avvenuto ed avviene che alcuni italiani, fortunatamente pochi nella grande moltitudine dei nostri laboriosi e patriottici emigrati, abbiano dato indegno spettacolo di sè al cospetto degli stranieri. Il triste fenomeno si è in questi ultimi tempi aggravato per l’azione esercitata all’estero da alcuni gruppi di politicanti spodestati e la co¬ scienza nazionale resa più sensibile dalla guerra, dalla vit¬ toria e dal fascismo, non può tollerare ulteriormente fatti e manifestazioni, che hanno carattere di vero tradimento. (*) Presentato alla Camera dei Deputati dal presidente del Con¬ siglio dei Ministri, Ministro degli affari esteri (Mussolini), di con¬ serto col Ministro dell’ interno (Federzoni), col Ministro della Giusti¬ zia e degli affari di Culto (Rocco), seduta del 18 novembre 1925. — 60 — In attesa che il nuovo Codice penale consacri una più. efficace tutela degli interessi c del buon nome dell’Italia al- Testerò contro le mene dei suoi cittadini indegni» il Governo, con questo disegno di legge, intende porre riparo ad una situazione, che sarebbe sembrata forse, alcuni armi fa nor¬ male e naturale, ma che è divenuta oggi, alla rinnovata coscienza nazionale intollerabile, dichiarando di diritto fuori delia nazione coloro che se ne sono, di fatto, volontaria* mente estraniati. — 61 — MODIFICAZIONI DI) AGGIUNTE ALLA LEGGE 13 GIUGNO 1912 N. 555 SULLA CITTADINANZA. Discorso alla Camera (*) Onorevoli colleglli, im mio discoreo in questo momento è superfluo perchè unanime è il sentimento della Camera e unanime il consenso sul disegno di legge* Io considero questo disegno come già approvato e pertanto non ne farò la, difesa* Mi limiterò ad alcuni cenili illustrativi, affinchè gli in tendimeli ti? che mossero il Governo a proporlo e la Camera ad approvarlo, appaiano chiari il giorno in cui oc¬ correrà applicare le nuove norme* I/oecasionc* che ha de¬ terminato questa proposta è la rinnovata campagna degli Italiani rinnegati non contro il fascismo o contro il Governo soltanto, ma contro T Italia. Basta scorrere alcuni dei gior¬ naletti, che in varie capitali ed altre città dell'estero si pubblicano in lingua italiana per vergogna nostra, per rab¬ brividirò all’idea che vi siano italiani capaci di pensare e di scrivere quello che costoro pensano e scrivono* Il fenomeno non è nuovo perchè nella storia recente dell’Italia, dopo il conseguimento dell’Unità, più o meno abbiamo avuto sempre fenomeni di questo genere, e in al¬ cuni periodi con maggiore gravità c con maggior danno, anche perchè più debole era la struttura nostra politica e nazionale, e pertanto con maggior successo si avventavano Pronunciato nella tornata del '28 Novembre 1.925, — 62 — contro F Italia, che moveva i primi passi nella storia, gli assalti degli italiani rinnegati, sobillati dallo straniero. Basti ricordare, non appena costituito ' il Regno d’Italia, tutto quell’episodio di orrore e di tradimento che si chiamò il brigantaggio. Il brigantaggio fu organizzato fuori dei confini del Regno, da pessimi italiani, principi spodestati e loro adepti, i quali non temettero di armare la mano dei loro fratelli contro la Patria. E un altro episodio grave di questa lotta che all’estero si combatteva per mezzo degli italiani contro l’Italia, avemmo nel periodo del governo di Francesco CrÌ9pi, contro il quale dall’estero si organizzò la lotta dal giorno del suo avvento al potere fino a quello della sua caduta, auspicata, prepa¬ rata ed applaudita da tutti coloro che vedevano con preoc¬ cupazione sorgere, con Crispi, un’ Italia forte e bene ordinata. E un ultimo episodio non bisogna dimenticare perchè è vicinissimo a noi, e ci deve essere di ammonimento solenne per l’avvenire. Alludo a tutto ciò che accadde dopo la vit¬ toria. quando agli stranieri parve necessario togliere all’Ita¬ lia il frutto di Vittorio Veneto. Fu anche allora che dal¬ l’estero si organizzò contro l’Italia la lotta per la svalutazione della vittoria e per la rinunzia ai diritti conquistati col san¬ gue dai soldati del Carso, delle Alpi e del Piave. (Applausi). Anche allora furono pessimi italiani gli strumenti di quella campagna straniera. Pertanto ciò che accade oggi non ci stupisce. Dico non stupisce noi che abbiamo vissuto la storia di questi ultimi 30 anni, ma ciò che accadde è divenuto più intollerabile alla accresciuta e più viva sensibilità nazionale del popolo italiano. Ciò che sembrava naturale, se pur triste, una volta, sembra intollerabile oggi agli italiani del 1925, che sono gl’italiani di Vittorio Veneto e del fascismo. Ecco perchè noi sentiamo come una necessità urgente il provve¬ dere; ecco la ragione di questo disegno di legge. Il quale non ha, onorevoli colleghi, alcun carattere antiproletario. Dob- feriamo fortemente affermarlo, perché coloro i quali all'estero diffamano il loro paese, o congiurano contro il loro paese, oppure organizzano contro il proprio paese la guerra civile, non sono proletari: sono gente perduta, detriti e naufraghi della borghesia italiana; psernlo intellettuali e avventurieri di ogni risma. Contro costoro e solo contro costoro la legge è diretta* non contro operai traviati o illusi, nei confronti dei quali la legge sarebbe tra Faltro impotente. Ecco dunque quale è lo spirito della legge: colpire gli italiani che intrigano ai danni del loro Paese, e colpirli in una forma che si ricolìeg'a perfettamente con la legislazione vigente. Perche, se pur grave può apparire il complesso dei provvedimenti elle noi sottoponiamo alla vostra approvazione, in realtà essi si ricollegano co) diritto costituito. Nella leggìi sulla cittadinanza* del 13 giugno 1912, n* 555, è infatti, un articolo 8, dove si dice esplicita mente che il cittadino. Il quale assume servizio presso uno Stato estero e. richiamato dal Governo italiano, persiste in questo servizio, perde la cittadinanza. Siamo dunque proprio nel caso di una vera pena che si infligge in via amm in hitrati va c tende a reprimere la disobbedienza del cittadino italiano alFeètero. E non è Inutile aggiungere che la legge del 1912 non or¬ ganizza nessun sistema di garanzia per la pronuncia di que¬ sta decadenza: questa avviene ipso jure, mentre nel nostro disegno di legge è istituita una Commissione composta in prevalenza di magistrati dell’ordine giudiziario o ammini¬ strativo, che potrà vagliare tutti gli elementi raccolti a ca¬ rico di questi cittadini nemici del loro paese, od emetterà ex informata conscientia il suo parere. La struttura del disegno di leggo quindi è molto sem¬ plice* Esso colpisce i cittadini italiani i quali all'estero com¬ piono opera dannosa agli interessi della Patria. Ben a ra¬ gione, pertanto, la vostra Commissione notava, e opportu¬ namente Il relatore ha ribadito nella sua relazione orale questo punto, che non sono soltanto colpiti gli emigrati — 64 — in senso stretto, coloro cioè i quali hanno portato la loro dimora all’estero, ma anche coloro i quali dal Regno ope¬ rano alhestero, anche senza esservisi materialmente trasferiti. Ed in questo io sono più radicale della Commissione. Non ritengo necessario che si vada all’estero dì persona ad in¬ trigare, a congiurare, a far propaganda antipatriottica; si può far ciò benissimo restando in Italia, perchè i mezzi di comunicazione coll’estero sono molti ed è assai facile, troppo facile, servirsene. Dunque le ipotesi alle quali la legge provvede, lo dico perchè resti fermo negli atti parlamentari, sono due: l’ipo¬ tesi dell’italiano che si rechi all’estero e all’estero intrighi per danneggiare il proprio Paese; l’ipotesi dell’italiano che resta in Italia, ma, stando in Italia, operi all’estero contro la propria Patria. Il disegno di legge nel primo suo comma configura le varie forme di attività che la legge riprova, reprime e punisce. Queste varie forme sono state delineate con la formula per cui viene colpito « il cittadina, il quale commette all’estero un fatto, da cui possa derivare turbamento all’ordine pub¬ blico del Regno, o danno agli interessi italiani, o diminu¬ zione al buon nome o al prestigio dell’Italia, anche se il fatto non costituisce reato ». L’azione e la propaganda infatti possono avere per og¬ getto la creazione di uno stato di disordine e di rivolta in Italia. Anche se l’intento non sia conseguito, è sufficiente che si sia svolta comunque un’azione diretta a questo scopo. Anzi io stesso, su questo punto, proporrò un piccolo emen¬ damento diretto a chiarire sempre più il concetto: che anche gli atti preparatori cadono sotto le sanzioni di questo dise¬ gno di legge. ( Approvazioni ). E poiché tali atti possono essere diretti sia contro gli interessi politici, sia contro gli interessi economici del paese, la legge adopera una formula generica che comprende tutti i casi. Vi rientra così tanto il caso che si è verificato dopo — 65 — la guerra, di una campagna scatenata per togliere all’Italia i frutti della vittoria, quanto il caso di una campagna or¬ ganizzata da italiani alTestero contro il credito dell’Italia. Infine il disegno di legge contempla gli atti di coloro, che all’estero ordiscono trame contro il buon nome e il prestigio dell’Italia. In tal modo sarà colpita tutta quella infame propaganda fatta all’estero da pessimi italiani, i quali tendono a rappresentare l’Italia come un paese in condizioni di oppressione, di disordine e di anarchia. Quanto ciò sia vero, ogni straniero che viene in Italia può constatarlo. La Commissione ha proposto alcune modifiche all’arti¬ colo 1 del disegno di legge. Dichiaro subito che accetto questi emendamenti. Sono emendamenti che hanno lo scopo di graduare le sanzioni e di sottrarre i congiunti incolpevoli del cattivo cit¬ tadino alle conseguenze delle male azioni di questi. Il disegno di legge del Governo stabiliva che oltre la perdita della cittadinanza si potesse, nei casi più gravi, e su parere conforme della Commissione, pronunciare la oon- fisca dei beni. Ora la Commissione propone che si possa, invece della confisca, pronunziare il sequestro, il quale sarà necessaria¬ mente temporaneo, e potrà sboccare o nella confisca o nella restituzione dei beni. Il sequestro consente inoltre che si possa attribuire una parte delle rendite al sostentamento della famiglia, la quale non è giusto che soffra per colpe non sue. La Commissione propone altresì che alla perdita della cittadinanza sia unita ipso jure la perdita dei titoli, degli assegni e delle dignità spettanti agli ex-cittadini. Disposi¬ zione opportunissima, perchè bisogna distinguere: per quello che riguarda le cariche pubbliche, la perdita della cittadi¬ nanza dà luogo di diritto alla decadenza da esse, perchè la cittadinanza è requisito necessario per esercitare pubbliche funzioni di qualunque specie. 5 . Vi sono invece titoli e diritti che possono essere attri¬ buiti anche a stranieri, ed allora è evidente die potrebbe nascerò il dubbio che i cittadini privati della cittadinanza possano conservare le onorificenze, le pensioni, gli assegni e le indennità compatibili con la qualità di straniero; ma dò non può e non deve essere. È bene pertanto togliere ogni dubbio in proposito; Il cittadino postosi volontariamente fuori della compagine della nazione, perde ogni tìtolo, ogni diritto, che gli possa deri¬ vare dalla nazione. (Vive approvazioni ). Onorevoli colleghi, questa legge non è legge di perse¬ cuzione., è legge di difesa, e come tale bisogna considerarla; legge di difesa resa necessaria dal comportamento indegno di alcuni malvagi cittadini. Essa significa che la nazione distingue tra gli Innumerevoli italiani, che al Testerò tengono alto il nome del loro Paese, e sono la immensa maggioranza, e la piccola minoranza di politicanti inaciditi, di psetido intellettuali, di avventurieri, che fuori dell’Italia tram uno contro V Italia. Costoro non sono italiani, come non lo sono più nclTanimo, cosi non lo debbono essere più nelle leggi- (Vivissmf applami ). — 67 — MODIFICAZIONI ED AGGIUNTE ALLA LEGGE 13 GIUGNO 1912 , N. 555 , SULLA CITTADINANZA Discorso al Senato (*) Onorevoli senatori io comincio cosi, come ha ben terminato l'onorevole relatore; questa non è una legge di difesa di parte, nè legge di difesa di un Governo, ma è legge di difesa nazionale. Basta leggere l’articolo unico del disegno di legge, per convincersi di questa verità: che esso mira a difendere l’in¬ tegrità, l’onore, la dignità della Patria. Perciò in questa legge credo tutti possano essere consenzienti, qualunque sia l’ideale politico che professano. La difesa della Patria è al disopra dei nostri dissensi interiori: quando si varca la frontiera, onorevoli senatori, non si appartiene più ad un partito, si appartiene all’Italia, e i doveri che incombono al cittadino italiano, sono ben più alti, complessi, profondi e severi, ( approvazioni ) di quelli che in¬ combono dentro i confini della Patria. Questo è il significato della legge. Deve essere bandito ogni timore di persecuzione politica, se, per persecuzione politica, s’intende, come si deve intendere, l’azione compiuta a vantaggio di un partito o di un particolare ideale politico. Si tratta dunque della difesa della nazione all’estero: di questa difesa, bisogna dirlo, si sente, e non da poco tempo, il bisogno. Questo bisogno forse oggi, se obiettivamente non (*) Pronunciato nella seduta del 25 gennaio 1926. - 68 — è più grave di quello che fosse alcuni anni fa, è certamente, dal punto di vista subiettivo e sentimentale, diventato acutis¬ simo, perchè più acuta è diventata e più vigile la coscienza nazionale del popolo italiano, entro e fuori i confini del Re¬ gno. Ed io posso dire al Senato che la necessità di questo disegno di legge è sentita più particolarmente dagli italiani che vivono all’estero, dalla grande massa dei nostri emigrati la¬ boriosi, i quali onorano col loro lavoro la patria, e a cui nulla riesce più increscioso che il vedere tra loro frammischiati, nuclei esigui di piccole minoranze di italiani indegni, i quali, diffamando il loro paese all’estero, diffamano ingiustamente tutti gli italiani. (. Benissimo ). E forse una circostanza estrinseca si è aggiunta a questa maggiore sensibilità per richiedere provvedimenti adeguati, atti a porre termine ai gravi inconvenienti, a cui noi ab¬ biamo assistito: intendo alludere al maggiore valore inter¬ nazionale acquistato dall’Italia e alla .sua situazione, che va facendosi ogni giorno più importante nel consesso dei popoli e suscita maggiori resistenze, ostilità e lotte; di modo che servirsi degli italiani inconsapevoli può ritornare even¬ tualmente a vantaggio di determinate nazioni straniere. Pur¬ troppo non è una novità della nostra storia che italiani all’estero congiurino contro la Patria: ho già ricordato al¬ l’altro ramo del Parlamento l’esempio del brigantaggio orga¬ nizzato all’estero da italiani senza coscienza; e ho ricordato l’indegna campagna che fu mossa dall’estero contro Francesco Crispi e della quale italiani, sulla cui condotta la storia ha già emesso il suo giudizio, si fecero in Italia strumento. Queste sono vecchie cose, ma ci sono anche fatti recenti. Voglio citare, fra tutti, la campagna organizzata all’estero e condotta in Italia da gruppi di italiani, per svalutare la vittoria e togliere di mano all’Italia le armi diplomatiche del patto di Londra, che erano pur sempre il presidio più si¬ curo dei diritti d’Italia. (Applausi). Ed oggi, mentre parliamo, assistiamo anche a fatti di questo genere, che sono tristissimi. — 69 — Il Senato sa perfettamente che, mentre 1’ Italia trattava ieri in America, e tratta oggi a Londra, la sistemazione dei suoi debiti di guerra, vi sono stati in America, e vi sono oggi in Inghilterra, italiani indegni, i quali lavorano pereliè alla loro patria non sia concesso il trattamento? a cui ha diritto. (. Approvazioni ). Taccio per vergogna il nome di un professore italiano, il quale ha fatto questo apertamente giorni fa in una confe¬ renza tenuta a Londra. Abbiamo avuto anche il manifesto di un gruppo di deputati anonimi, con il quale si invoca che la sistemazione del debito italiano a Londra non avvenga, per punire 1’ Italia di essere divenuta in sì pochi anni fascista. Sono tristissime cose, e al nostro cuore di Italiani, rinnovati dalla guerra e dalla vittoria, riescono ancora più amare e intollerabili. : Quelli che il disegno di legge propone alla vostra appro¬ vazione, non sono provvedimenti d’indole veramente penale; e qui ho bisogno di dir brevemente qualche cosa sulla natura giuridica dell’istituto, che noi introduciamo nella nostra legi¬ slazione con il presente disegno di legge. Non si tratta di una pena; noi abbiamo voluto anzi ri¬ condurre questo caso di perdita della cittadinanza, come be¬ nissimo osserva l’onorevole relatore, al sistema del diritto vigente. Il nostro diritto ammette che si perda la cittadinanza per atti, da cui direttamente o indirettamente si possa de¬ sumere la volontà di rinunciare alla cittadinanza italiana. Qualunque sia la costruzione giuridica dell’istituto della per¬ dita o dell’acquisto della cittadinanza, è certo che esso si ricollega al vincolo spirituale che unisce i cittadini alla pa¬ tria. Si tratta in verità di un vincolo necessario, ma di natura spirituale. Orbene questo vincolo rimane infranto, non sol¬ tanto per una esplicita dichiarazione di volontà, ma anche per un tale comportamento, una tale condotta per cui il vincolo stesso irrimediabilmente viene a spezzarsi. Ammettendo che si perda la cittadinanza quando con la propria condotta un cittadino se ne renda indegno* non si fa altro che ricordar*. jl carattere spirituale del vìncolo che lega il cittadino alla patria. Chi. col suo comportamento, infrange questo vincolo, non è più cittadino, Sono state fatte in quest’Aula e, prima di tutti, dall*Uf¬ ficio centrale osservazioni e raecomaudazitmi. Vi è una rac¬ comandazione generica, quella clic l'onorevole Crispolti nel suo bel discorso ha rivolto al Governo c clic V Ufficio centrale, aveva con molta precisione e molta moderazione dì forma già fatta, di andare cioè particolarmente cauti nellVppIicazkiJi’' di sanzioni di questo genere. 11 Governo andrà molto cauto* non vi è bisogno di ripeterlo* perette non può essere interi w> del Governo il colpire alla cieca. Circa la nomina delia Commissione, t hè dovrà vagliare t fatti, il disegno di legge dice che essa è composta in maggio¬ ranza di magistrati dell'ordine amministrativo e giudiziario, e cioè di un consigliere di Stato e di due consiglieri rii Corte drappello. Nel procedere alla nomina di questi magistrati credo si possa attendere la designazione dei loro rispettivi capi: ma a ciò penso non sia necessario faro un regolamento, ma basti l'assicurazione dei Governo. La difesa degli incolpati è una questione, clic non si presenta di facile risoluzione, perche, trattandosi quasi sem¬ pre di individui che si trovano all'estero, non sarà agevolo fare l'intimazione legale* necessaria per stabilire il con traditto rio. Ad ogni modo, quello eli. 1 il Governo assicura è che tutte le volte in cui sarà possibile fare la contestazione, essa sarà fatta. Per quel che riguarda la diffida preventiva, a cui il sena¬ tore Crispolti ha accennato, nulla vieta ohe, quando sarà ritenuto opportuno, prima di procedere ad una vera o propria inchiesta per accertare la responsabilità del cittadino* lo si avverta che il suo comportamento non è gradito al Governo italiano. Ma non giova dissimulare che in molti casi sarà inutile diffidare chi si sa, fin dal principio, non essere disposto ad ascoltare- 71 Circa la confisca dei beni, l’Ufficio centrale raccomanda che in taluni casi essa sia soltanto parziale, in modo che la famiglia, incolpevole, possa aver diritto ad una parte dei beni del cittadino. Nulla vieta che nello stesso provvedimento di confisca si decida della destinazione dei beni, che alcune volte potranno essere attribuiti totalmente all’ Erario, e qualche altra volta potranno essere aggiudicati ai membri della fami¬ glia. Il sistema di una confisca parziale non condurrebbe allo scopo, perchè i beni non confiscati dovrebbero tornare al pro¬ prietario: altrimenti si aprirebbe la successione di una per¬ sona vivente, il che creerebbe una grave complicazione. Il senatore Crispolti si è anche preoccupato dell’effetto retroattivo, che possa avere questa legge. Circa la retroattività valgono i principi generali. Circa, infine, le prerogative parlamentari, è evidente che la legge non può toccarle. La presente legge non è una legge penale, essa è il complemento dell’altra sulla cittadinanza del 1912; non è quindi il caso di parlare di autorizzazione a procedere, per i deputati, o di competenza dell’Alta Corte, per i senatori. Resta il problema delle incapacità e deca¬ denze derivanti dalla perdita della cittadinanza. La legge, ed è naturale, non tocca le prerogative della Camera e del Senato, come ha già osservato l’onorevole relatore. Le due Camere sono sole competenti a giudicare sulla validità dei titoli per l’ammissione dei loro membri, come della efficacia dei motivi di decadenza. Perciò il provvedimento non potrà avere nessuno effetto sulla qualità dei senatori e dei deputati senza una apposita pronuncia del Senato o della Camera. D’al¬ tra parte è garanzia preventiva sufficiente, il fatto che il Go¬ verno non vorrà leggermente mettersi in conflitto con le due Camere con provvedimenti a carico dei deputati e dei sena¬ tori, i quali potessero essere dalle due assemblee diversamente giudicati. Vi sono poi le questioni giuridiche speciali, che l’Ufficio centrale ha presentato. Prima fra tutte, quella del riacqui- — 72 — sfc> della cittadinanza. Qui è applicabile, a mio avviso, F art. 9 della legge sulla cittadinanza. Potrebbe darsi il caso che cittadini, privati della citta¬ dinanza per la loro indegna condotta, dimostrassero il loro pentimento col tenere in seguito una condotta da buon ita- iiano. Nulla vieta che raccertamelito di questa buona con¬ dotta posteriore, che deve essere duratura per far cessare gli effetti di quella precedente, sia fatto dalla stessa com¬ missione, nel qual caso si potrà avere il riacquisto della cittadinanza, a termini dell* art* 9, salvo al Governo di prov¬ vedere al divieto del riacquisto, a termini delio stesso articolo* Si è fatta la questione della posinone giuridica dello* cittadino che non ha acquistato una nuova cittadinanza. Si tratta dì una questione già conosciuta dal diritto internazio¬ nale: Fez cittadino diventa apolide. Infine rimane h que¬ stiono sull’esistenza degli obblighi di leva; michWu si devo risolvere in base alla legge sulla cittadinanza, di cui queste è integrazione. Per Particelo 8 della legge del 1912 la perdita della cit¬ tadinanza non implica esenzione dagli obblighi di leva; poiché il presente disegno di legge non fa che aggiungere un nuovo caso di perdita a quelli dell art. 8, anche questo caso rientra sotto la disposizione generale dell'ultimo capo verso del Farti - colo. Quindi la perdita della cittadinanza per causa di cat¬ tiva condotta, tenuta all'estero, non implica esenzione dagli obblighi di leva. Concludo, onorevoli senatori, come ho cominciato: que¬ sta legge è una legge di difesa nazionale, é una legge che da tempo avrebbe dovuto essere Introdotta nella nostra legisla¬ zione. Essa ha un significato ben chiaro, che è quello di un monito ai cattivi italiani che alFestero diffamano il loro paese. Il nostro augurio è che il monito possa rimaner tale e che- i casi di applicazione della legge siano rarissimi. L’ef¬ fetto, intanto, che il solo annuncio della presentazione del disegno dì legge ha prodotto, è stato, io posso dirlo, efficace. — 73 — Già il contegno di coloro i quali si agitavano allestero (con¬ tro il nostro paese, è diventato più guardingo. Noi ne siamo lieti, perchè attribuiamo alla legga un valore sopratutto mo¬ rale; essa infatti non mira soltanto agli italiani cattivi, mira anche ai buoni, ai nostri laboriósi ed onesti emigranti. Distìnguendo i buoni, che sono rim mensa maggioranza, dai pochi cattivi, la legge a anche un chiaro significato dì omag¬ gio agii italiani che all'estero onorano, col loro lavoro, la pa¬ tria . (4 pplausi). - 74 - 3 , LEGGE SULLA BUROCRAZIA SULLA DISPENSA DAL SERVIZIO DEI FUNZIONARI DELLO STATO, RELAZIONE AL DISEGNO DI LEGGE (*) Onorevoli deputatil — È necessità indeclinabili'' per lt> Stato ctie tutti coloro, i quali appartengono alla pubblica ara- minisirazione, debbano non soltanto assolvere con scrupolosa regolarità i doveri specifici del loro ufficio, ma nitrosi espli¬ care ogni propria attività, sotto qualsiasi forma, (H>n intima, convinta, sincera devozione allo Stato, nel particolare ordi¬ namento positivo dio esso viene ad assumere in una determi¬ nata fase storica del suo sviluppo. (*) Presentato alla Camera dei deputati nella seduta dei mag¬ gio 1935 dal Presidente dei Consiglio dei Ministri, Ministro, de¬ gli Affari Esteri, Commissario dell 1 Areonautica, Ministro od in- t&rhn della Guerra e deila Marina Mussolini, di concerto col Mini¬ stro dell 7 Ieterno Fed&rzoni, col Ministro delle Colonie Lonza di Scalea, coi Ministro della Giustizia e degli Affari di Culto Rocco, col Mini¬ stro delle Finanze De Stefani, col Ministro dell 1 Istruzione Pubblica Fedele col Ministro dei Lavori Pubblici GmrìaU, col Ministro deì- rEconomia Nazionale N&m e col Ministro delle Comunicazioni Ciano. — 75 - Ciò consegue dalla natura stessa del rapporto eli impiego pubblico, secondo la concezione fondamentale che di esso il Governo nazionale ha posto, come di una milizia nella quale si entra e si ha titolo a rimanere solamente quando la co¬ scienza, che inspira e sorregge l’opera, risponda agli im¬ pulsi non di una coatta, esteriore disciplina, ma di una spon¬ tanea persuasione spirituale, consacrata nel giuramento. Questa suprema esigenza importa che il pubblico fun¬ zionario sia da considerarsi inadempiente ai propri doveri, non soltanto per materiale inosservanza di singole dispo¬ sizioni legislative o regolamentari, che ne disciplinano Fa¬ zione burocratica, ma anche per atteggiamenti contrastanti con Fanima nazionale? da cui quelle disposizioni, come ogni altra legge dello Stato, hanno tratto vita. Ora, il diritto positivo sin qui vigente — mentre ha sta¬ bilito sanzioni per le eventuali inadempienze dei funzionari nel modo concreto df prestazione del servizio — nessuna com¬ minatoria ha invece dettato a carico di coloro che si rendano manchevoli rispetto ai fattori spirituali del rapporto d’im¬ piego pubblico. Vero è che il Regio decreto 30 dicembre 1923, n.296C, sullo stato giuridico degli impiegati civili dello Stato, ha considerato come passibile di revoca dall’impiego il fun¬ zionario responsabile di mancata fede al giuramento; ma ben diverso è questo caso dall’ipotesi che taluno, pur mantenen¬ dosi nei limiti formali della fede giurata, assuma contegni di manifesta incompatibilità con gli intrinseci doveri della sua posizione a servigio dello Stato. S’impone, in questo caso, non una sanzione disciplinare — chè infatti, la disciplina intesa come rispetto agli ordi¬ namenti burocratici, esula nella specie — ma un provvedi¬ mento autoritativo che « risolva » quel rapporto d’impiegx) per cui sono sopravvenute da parte dell’impiegato ragioni d’in¬ compatibilità con l’Amministrazione. Perchè l’esonero potesse verificarsi con quella sollecitu- dine die è richiesta dall interesse dello Stato» si è limitata la facoltà della dispensa fino al 31 dicembre 192G. • * * À quest effetto, appunto, mira Frinito disegno di legge, col quale si dispone che gli impiegati od agenti di qualsiasi amministrazione dello Stato possono essere dispensati dal sor¬ rido entro il 31 dicembre 1923 quando no resulti Fin rompa - tibilìtà delia ulteriore permanenza ndTAmministruzione. Questa formula, che definisce il limite concettuale r l i portata sostanziale del provvedimento, non è nuova nel no¬ stro diritto positivo, perchè venne già applicata — con Funi¬ colo 3 del Regio decreto 28 gennaio 1923, n. 153 — alla revi¬ sione delle assunzioni e sistemazioni di personal' 1 fatte du¬ rante la guerra. Non si è creduto di dover deferire nè ad una Commissione spedale, nè al Consiglio d ? a m mi ni strazio ne dei singoli Mini¬ steri alcun giudizio preliminare od istruttorio sulle dispense dal servizio, perchè la creazione di una speciale Commissione, mal si concilia, con la natura e la finalità del provvedi¬ mento; e non è sembrato che la competenza dai Consigli li fi mm in istruzione — data la loro composizione — potesse es¬ sere estesa oltre 1 casi di valutazione e amministrativa e « tecnica » delle prestazioni di servizio» Del resto il prov¬ vedimento, di cui trattasi, rientra piu propriamente nella sfera di discrezionalità e di responsabilità politica del ministro proponente e del Consiglio dei ministri, escluso altresì ogni preventivo contraddittorio che — se costituisco una doverosa necessità, nelFapplicazione di sanzioni disciplinari, vulnere¬ rebbe, per contro, la delicatezza d’una altissima valutatone morale, da tenersi — come tale — fuori di ogni discutibilità. Riconosciuta la necessità della dispensa dal servizio per un motivo che non ha carattere disciplinare, debbono rima- nere impregiudicati tutti gli eventuali diritti a pensione; e, se diritti non si fossero ancora costituiti per insufficiente — 77 — anzianità in base alle vigenti disposizioni mi trattamento di pensione normale, ragioni di equità consigliano ohe agli impiegati dispensati venga fatto imo speciale trattamento di quiescenza, o corrisposta, almeno, una congrua indennità. Come già — in occasione della dispensa dai servizio di impiegati degli enti locali, per effetto di riduzioni delle ta¬ belle organiche — fu stabilito dal Regio decreto 27 mag¬ gio 1928, n, 1177, (art. 4), che il provvedimento potesse formare oggetto di ricorso soltanto per legittimità, in quanto volevasi sottrarre il provvedimento stesso, conseguente da un atto dì natura essenzialmente discrezionale, alla possibilità di qualunque sindacato che consentisse anche giudizio di me¬ rito, così eguale criterio si è adottato nella specie, in cui la discrezionalità del provvedimento di dispensa si riporta a ragioni di ancor più accentuata evidenza, ammettendo il solo ricorso di legittimità per incompetenza e violazione di legge. * * * Col presente disegno di legge il Governo nazionale mira a risolvere un problema fondamentale, la cui esistenza fu in¬ tuita lucidamente fin dai primi anni della nostra costituzione unitaria. Come è noto, il Ministero D oprati s, che assunse il potere dopo )a cosidetta « Rivoluzione parlamentare jp del 18 marzo 1876, cercò di fare approvare alla Camera uno schema di legge circa lo stato economico e giuridico degli impiegati. Discutendosi tale schema — che poi non ebbe seguito — nella seduta del 30 novembre 1877, l’onorevole Depretis, presidente del Consiglio, ebbe ad esprimersi nei se¬ guenti termini: « Come possa conciliarsi la libertà dei pubblici funzionari con la responsabilità del ministro in faccia al Parlamento nel Tordi ne costituzionale che ci regge, è questione che io vorrei, non solo annunziata in termini generali, ma esaminata nella sua applicazione e chiaramente risolta ». K evidente! infatti, che, per essere il Ministero in grado di rispondere dinnanzi ni Parlamento, deve poter condire -Ligi' impiegati per una fedele, esatta esecuzione non soltanto degli ordini particolari e delle disposizioni singoli-, ma altresì dello spirito e deir indirizzo generale dell'Amministrazione. Questa esigenza dei Governi parlamentari, del resto, corno osservava lo stesso Deprefe, non sfuggi alFacuta indugine del Tocqueville, che la espresse così: «1 ministri sono t servitori assoluti del Parlamento, gii Impiegati sono i servitori asso¬ luti dei ministri, ed è a questa condizione che essi sono e possono essere liberi e responsabili Il Governo nazionale rovescia i termini della proposi¬ zione del Tocqueville, in quanto postula 1 ministri come ser¬ vitori assoluti non del Parlamento, ma dello Stato, inteso quale espressione di quella inscindibile unità etica e politica della Nazione, che comprende in se anche II Parlamento; e vuole gl'impiegati servitori assoluti, attraverso ì ministri, ap¬ punto della Nazione e dello Stato. Ora, questa assoluta ser¬ vitù alla Nazione, che costituisce la libertà vera dei pubi diri funzionari, esige che, come sopra si è accennato — al V infuori di una procedura disciplinare, tendente a con tostare ! acr-er- tare addebiti di natura particolare, attinenti a violazioni specifiche ilei rapporto di impiego, per le opportune san¬ zioni — sia solennemente dichiarato Fobbligo del pubblico impiegato di mantenere illeso lo status dignitatis che di de¬ riva dal pubblico ufficio, nella sfera complessa di tutto h huc attività, anche fuori dell'ufficio; e di quest’obbligu non può esservi altro vigilato re e giùdice che il collegio dei mi¬ nistri, cioè il Governo, che rappresenta, come voleva [Mrcoìeo, la « personalità dello Stato ». % Ma « questo diritto del Governo, nella sua realtà, è desso un diritto illimitato? Si converte nell’arbitrio ministeriale? », Si può — onorevoli deputati — rispondere colle stesse parole del La Farina, nella seduta del 16 giugno i 8 GS : «No, o pignori, esso trova un limito nell-autorità del Parlamento, il — 79 — quale, avendo la tutela della libertà della nazione, esamina e giudica gli atti dei ministri ». Illustrato, cosi, il fondamento etico e giuridico del pre¬ sente disegno di legge, potrebbero tuttavia affacciarsi, nono¬ stante il disposto deirarticolo 3, preoccupazioni circa i danni dei privati. Nella seduta del 27 luglio 1870, Aristide Gabelli, edu¬ catore e uomo politico, diceva: « Ci si parla dei danni dei privati. Di questo, signori, non mi occupo. Noi dobbiamo preoccuparci soltanto delimitile dello Stato, e dobbiamo rite¬ nere ancora che lo Stato è un Ente che può aver tutto, ec¬ cetto il cuore ». Il Governo non ripeterà con Aristide Gabelli che lo Stato non ha cuore, ma non può fare a meno di ricordare che ci sono riforme sostanziali che è savio accorgimento politico non procrastinare, anche se esse tocchino gli interessi dei privati. « Nel 1846 sir Roberto Peel seppe compiere la riforma economica malgrado gli sforzi di tutta l’aristocrazia territo¬ riale, nella quale questa non perdeva solamente una giurisdi¬ zione eccezionale, ma una parte delle rendite; e per compiere questa riforma il ministro Peel ebbe il coraggio di scostarsi dalla maggioranza dei suoi amici politici.... ma di questo fu largamente compensato dalla sua coscienza ». Queste parole sono del conte di Cavour. Il Governo nazionale, con la presentazione dell’unito di¬ segno di legge, ha il fermo convincimento, onorevoli colleghi,, di adempire ad un dovere nel quale, in ogni caso, sarà larga¬ mente ricompensato dalla sua coscienza. — 80 - Sulla Dispensa dal Servizio dei Funzionari dello Stato Discorso alla Camera dei Deputati (*) Chi vi parla, onorevoli colleglli è un funzionario* ohe serve lo Stato da 28 anni, e die appartiene ad una vecchia famiglia di funzionari. Chi vi parla pertanto non può essere sospettato di poca simpatia o di scarsa amicizia verso la grande Famiglia degli impiegati dello Stato* per la quale egli lm lottato e, può dirlo a voce alta e con serena coscienza, lui lottato non invano. ila! io avrei apposto la mia firmo, ad un disegno rii legge mosso da intento ostile alla massa degli impiegati* anche per¬ che io riconosco che la grande famiglia del funzionari è fedele come è capace* e che per virtù sua, in tempi tristi, la macchina dello Stato ha funzionato quando dal basso u dall’alto imper¬ versava 1 anarchia. Non dunque è questo disegno dt legge un provvedimento di persecuzione; è, invece, un necessario prov¬ vedimento di difesa. Sappiamo bene* c sta in questo la nostra ragione di essere come partito e come Governo* che tanto negazione pratica quanto nella posizione* nella risoluzione dei problemi un abisso ci divide dalie opposizioni; è naturale pertanto che questo prov¬ vedimento sia oggetto della critica piu vivace! Siamo ormai abituati a subire critiche ad ogni passo* per- (*j Pronunciato alla Camera del Deputati ne!la tornata lì) giu¬ gno 1925. — 81 — che è destino del fascismo di esser criticato se fa, e di essere criticato se non fa! Ed in questa materia, se noi dovessimo metterci una mano sulla coscienza dovremmo rimproverare a noi stessi di non aver fatto o di non aver fatto abbastanza, perchè, come bene è stato ricordato dall’onorevole Magrini, nessun partito, giunto al Governo, si sarebbe comportato con la generosità, con la bontà con cui si è comportato il fascismo; ma ogni generosità ha il suo limite nella necessità assoluta, ed è sotto l’assillo di tale necessità che noi presentiamo questo disegno di legge, il quale, lo diciamo francamente, ha un carattere, e deve avere un carattere, essenzialmente politico, è un provvedimento che mira a stabilire quella conformità spirituale tra il funzionario e il Governo, senza della quale la fedeltà dell’impiegato è una fedeltà farisaica. C Approvazioni ). Ed è in questo carattere politico della legge che sta la sua intima moralità: ci sarebbe stato molto facile introdurre in una qualsiasi leggina una disposizione nella quale, con una formula ambigua, si desse al Governo la possibilità di liberarsi di tutti gli elementi che ad esso fossero avversi. Altri hanno fatto in questo modo! Basterà ricordare la formula famosa dello « scarso rendimento » che fu introdotta dall’onorevole Nitti nella legislazione italiana, ed in base alla quale tutti gli impiegati potevano, con un giudizio sommario che si prestava a tutte le insidie ed a tutte le vendette, essere da un momento al¬ l’altro licenziati. Noi non abbiamo voluto ricorrere ad uno di questi mezzi, che sono lontani dalla nostra mentalità e dai nostri metodi. Noi abbiamo voluto affermare, come affermiamo netta¬ mente, che siamo sicuri della fedeltà della grande massa degli impiegati, ma poiché nei congegni più delicati e più impor¬ tanti dello Stato sono talvolta annidati elementi il cui spirito non è consono al nostro, che sono nostri avversari, della cui collaborazione non possiamo esser sicuri, intendiamo di avere gli strumenti adatti per la nostra azione, e strumenti adatti 6 . — 82 — riteniamo soltanto coloro che con noi consentono, non fòrmal- mente, ma sostanzialmente. {Approvazioni ). Ed è ancora in questo carattere politico del provvedi¬ mento che sta precisamente la massima garanzia, per gli im¬ piegati, perchè i politicanti, che dalla sua applicazione abbia¬ no in qualche modo a temere, costituiscono, per fortuna, pic¬ cole minoranze, nuclei poco numerosi. E, pertanto, affermando il carattere politico del prov¬ vedimento e questo scolpendo in una disposizione di legge, noi rassicuriamo l'immensa maggioranza degli impiegati ita¬ liani, i quali sanno che, non attraverso una formula ambigua, ma soltanto con una norma aperta e chiara essi possono es¬ sere colpiti, sanno che soltanto quando si siano messi in anti¬ tesi spirituale e logica con il Governo da cui dipendono, co¬ mincia per essi il pericolo. Io sono un giurista e quindi molto ho tenuto a che questo provvedimento serbasse uno stretto carattere giuridico: e il carattere giuridico del provvedimento, onorevoli colleghi, sta sopra tutto nella sua temporaneità. Noi non intendiamo — e mi è sembrato strano come da parte dei liberali si sia potuto invocare un provvedimento definitivo — introdurre in modo stabile nella nostra legislazione la facoltà di licenziare gli impiegati per motivi politici; noi però abbiamo sentito la necessità urgente, assoluta, di foggiarci gli strumenti della nostra azione, di avere a nostra disposizione organi che go¬ dano della nostra fiducia. Perchè questo è essenzialmente il problema: non si può imporre al Governo di agire con stru¬ menti, nei quali non abbia fiducia. Sarà questa forse una dottrina liberale: non è la nostra. Noi rispondiamo solo quan¬ do abbiamo libertà di scelta, perchè la responsabilità non può essere che correlativa alla libertà. Nè si dica che noi introduciamo in questa maniera nella nostra legislazione un principio pericoloso, perchè non si può ammettere che ad ogni mutamento di Ministero debba mutare il corpo degli impiegati. — 83 — Dobbiamo in questa materia parlare francamente. Il nostro G-overno non è un Ministero. Lo disse Benito Musso¬ lini il giorno in cui costituì il Governo fascista. Il nostro Governo segue la rivoluzione del 28 ottobre 1922: grande rivolgimento, spirituale e intellettuale ancor più che politico, rivolgimento che ha condotto al Governo dello Stato uòmini, la cui mentalità è tanto profondamente diversa dalla menta¬ lità dei liberali e dei democratici che li hanno preceduti nel Governo, quanto la mentalità di costoro era diversa da quella degli uomini dell’antico regime. Si tratta proprio di una nuova ideologia, di una nuova filosofia politica, di una nuova concezione della società e dello Stato, il cui aspetto, nella storia del pensiero politico e nella evoluzione delle forme politiche, rappresenta un rivolgimento di importanza non inferiore a quello che rappresentò, di fronte alle ideologie e alle forme politiche anteriormente dominanti, il movimento filosofico e politico della rivoluzione francese. Non ci sembra pertanto di chiedere molto, se chiediamo che gli strumenti, i quali debbono servire alla realizzazione di questa ideologia siano, non dico in ogni particolare, seguaci delPidea, ma almeno non aperti avversari. E, del resto, questa necessità di foggiarsi gli strumenti adatti per la realizzazione del proprio programma, non è stata sentita soltanto da noi. Noi la sentiamo, certo, in modo molto più profondo, perchè molto più profonda è la rivolu¬ zione, che è avvenuta in Italia con l’avvento al potere del Go¬ verno fascista: ugual bisogno fu avvertito, come ben ricorda Pouorevole Sardi nella sua relazione, dagli uomini della si¬ nistra, quando ebbero per la prima volta il governo nel 1876, e da tutti gli uomini politici di qualche valore e di qualche forza, che si sono, da allora, succeduti al potere in Italia. È stato qui citato Pesempio delPonorevole Giolitti. L’o¬ norevole Giolitti non ha fatto approvare nessun disegno di legge apposito, ha fatto qualche cosa forse di più, perchè nei lunghi anni della sua permanenza al potere ha collocato nei - 34 — punti dirottivi dello Stato, nelle situazioni piu delicato* nei mec¬ canismi più importanti di tutto il vasto organismo statale, uomini di sua completa fiducia, uomini i quali, io aggiungo, non servivano ima idea, servivano un uomo. (Applausi). Ora noi questo chiediamo ai nostri impiegati; chiediamo che comprendano la grande idea che ravviva tutto II movimento fascista, una idea semplice, se pure nuova: l’Italia innanzi tutte, ITt alia sopra tutto, ITfcatìà sopra la democrazia, sopra il liberalismo, sopra la massoneria, sopra V universali sino, (Vi¬ vi avjjlausi ). Nessun impiegato può arrossire, nessun impiegato si può ritenere diminuito quando ad esso chiediamo questa stessa fedo nazionale che ci anima e ci trascina. E poiché sono sulla via delle citazioni dei precedenti, bi¬ sogna pure che io ricordi quello che fecero i Governi democra¬ tici della Francia e quella stessa massoneria che oggi ni uovo tutta la opposizione al disegno di legge. SOLER!. Io non centro con la massoneria! (Vivi ru¬ mori — Commenti), ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di callo. Quando al Governo francese salì Emilio Comics con il car¬ tello delle sinistre, si pretese il conformismo più scrupoloso di tutti gli impiegati, compresi gli ufficiali, alTidea aulì cle¬ ricale c massonica a cui quel Governo si ispirava, E furono di quell’epoca le famose fiches con le quali si ricercava, non soltanto l'opinione politica di ogni impiegato e dì ogni ufficiale, ma quella della sua famiglia, a cui si inibiva di frequentare la chiesa cattolica e la scuola cattolica. In nome della libertà e della democrazia questo si faceva: noi faremo molto meno, ed in nome della Patria! (Appro¬ vazioni) • Ci si accusa di confondere con questo disegno di legge concetti che vanno distinti, di confondere Io Stato col Governo, 0 lo Stato col partito. Sul primo punto la risposta è facile ed e stata data molto — 85 — tiene nella relazione dell’onorevole Sardi, alla quale non posso che sottoscrivere compie f:ani ente. Lo Stato è una entità astrat¬ ta; lo Stato si realizza a mezzo dì persone fisiche, a. mezzo eli organi: il Governo non è che mi organo delio Stato: con¬ cepire un impiegato il quale sia fedele allo Stato ed infedele al suo organo è concepire l’assurdo, (Applausi), E quanto alla identificazione fra Stato e partito, consen¬ tire che dica una parola sincera. L ? identificazione fra lo Stato e uno dei vecchi partiti, i quali avevano nella, loro bandiera o la libertà,, o la democrazia, o 1 J iliterBaronale, quella sì, era una identificazione faziosa e pericolosa; ma l'identificazione fra stato e partito fascista, che la Nazione sfossa rappresenta ed idealizza, è un 7 identificazione logica e santa, C4pplausi). Siamo stati avvertiti che in questo campo II fascismo si sarebbe trovato isolato. Può darsi: ma non ne siamo troppo dolenti, perché è naturale che un movimento clic sì contrap¬ pone totalmente ad nid ideologia che ha dominato per 150 anni, nei momenti più gravi si trovi solo. Ma esser isolato dagli altri partiti politici non vuol dire essere isolato daU’anima della Nazione; ed è questo che a noi preme, perchè i partiti sono piccoli, transeunti aggruppamenti di persone e di in¬ teressi; r Italia è invece la grande, la perenne idea che non m no re, (App ro vazìani ), Non mi tratterrò sopra le obiezioni minori che sono state fatte a questo disegno di legge, come l’obiezione dell'ono¬ revole Soler i, che potremmo andare incontro ad errori nell'ap¬ plica zinne. Ogni legge si può prestare ad errori; anche que¬ sta, se non sarà applicata nella maniera più serena e più scrupolosa, e questo indubbiamente faremo. Si è detto che il pensiero di dover essere controllati sarà remora ai migliori c che impedirà a costoro di entrare da ora innanzi nelTanmii- nistruzione pubblica. Non credo, perchè uon possono essere ì migliori coloro che temono di essere controllati nei loro sen¬ timenti di devozione alla patria, (Applausi ). Nè si può dire che la legge recherà gravo onere finanziario, che se tale fosse — 86 — stato tuffetto della logge, avremmo trovato nel nostro mini¬ stro delle finanze...* DE STEFANI, ministro delle finanze. No! (Approva¬ zioni — Coìmnenti )* ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. ....obiezioni elio non abbiamo trovato. La legge non potrà re¬ care aggravio notevole, perché per stia natura avrà limitata applica zio ne T colpirà pochi gruppi di politicanti, ì quali d sono annidati nelTa mm irn straziane da non molti anni; perché sino a una ventina di anni addietro, dobbiamo dirlo ad onore dell' a m mi ni s tradone italiana, gli impiegati non facevano po¬ litica. La politica è stata fatta da taluni impiegati proprio nel l'ni timo imperversare della social-democrazia, quando dai Gabinetti uscivano i candidati (Benel), ì deputali* i sotto- segretari, i ministri. Quando noi avremo eliminato pochi individui che, anni¬ dati in posizioni importanti, sabotano razione del Governo fascista, e. sopra tutto danno triste spettacolo di indisciplina a tutta la Nazione, avremo adempiuto al nostro compito. Onorevoli colleglli, ho finito! Lo spirito clic anima questo disegno di legge non è spirito di per set'azione, e spirito di di¬ fesa, ma di difesa valida e necessaria. Noi non possiamo con¬ sentire che al servizio dello Stato restino individui i quali si servono dei mezzi che lo Stato loro fornisce per combattere lo Stato o il Governo, che lo Stato personifica o realizza. Noi conosciamo gli effetti che una colpevole tolleranza produce. Noi ricordiamo i tempi, e non sono lontani, nei quali seicento impiegati delle ferrovie correvano, a spese dello Stato, tutta r Italia per far propaganda contro le Stato e con¬ tro il Governo, (Applausi ), CIANO, ministro delle comunicazioni (Accennando allo- nor avole Boleri ). Voi, voi, a villa Patrizi c'è sempre il par¬ lamentino I ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto . E non possiamo consentire che questi tempi ritornino mai più. Se il desiderio dei nostri oppositori è di ricondurre V Ita- — 87 — liiì a. Quella pratica di Governo, noi diciamo che siamo ben lieti di averli contro di noi! (Vivissimi e ripetuti applausi — Omigra t-ulazioni ). Voci. Affissione! PRESIDENTE. Anello la Commissione ha proposto un ordine del giorno» che è cosi formulato: « La Camera invita il Governo a fare gli studi opportuni per estendere agli impiegati e salariati delie provinole, dei co¬ rnimi. e delle istituzioni soggette per leggo alla tutela dello Stato, del le provincie e dei cornimi, le disposizioni del pre¬ sente disegno dì logge, in quanto siano applicabili ». ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di mdto . La Commissione chiede in sostanza che il Governo faccia studi. E il Governo, pur rendendosi conto della difficoltà della questione, non ha difficoltà a fare questi studi, ma non si impegna ad altro. Quindi prego la Commissione di trasfor¬ malo Lordine dei giorno in r a eoo ni and a zio n e. ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto . Chiedo di parlare. PRESIDENTE. Ne ha facoltà. ROCCO, ministro della giustìzia e degli affari dì mdto. Parlo nella mia qualità specifica di Guardasigilli. SI è accennato qui alla Magistratura italiana, alla oppor¬ tunità fi meno di eccettuarla dalle dia posizioni di questo dise¬ gno di legge. Per mio conto dichiaro, che sono perfettamente indifferente che il disegno di legge comprenda o non com¬ prenda la Magistratura. La Magistratura — io I’ ho già detto, ma lo ripeto — non deve far polìtica di nessun genere. Non vogliamo che faccia politica governativa o fascista, ina esi¬ giamo fermamente che non faccia politica a riti governa ti va o antifascista, (Approvazioni ). E questo, nella immensa maggio¬ ranza dei casi accade. T magistrati politicanti costituiscono una trascurabile eccezione, una insignificante minoranza. — 88 — . Sulla Dispensa dal Servizio dei Funzionari dello Stato DISCORSO AL SENATO (*) Ci sono vecchie abitudini mentali, a cui non sempre è fa¬ cile sottrarsi, e la discussione avvenuta testé intorno a questo disegno di legge ne è, a mio avviso, la prova migliore. Mentre il Senato è stato, si può dire, concorde nell'attribuire al Go¬ verno 1 piu ampi poteri per la riforma del codice penale, del codice di procedura penale e della legge di pubblica sicurezza, questo disegno di legge, che è tanto meno importante, ha dato luogo ad obbiezioni più gravi. Meno importante, dico, perchè la riforma della legislazione penale e della legge di pubblica sicurezza pone in questione la libertà di tutti i cittadini, men¬ tre questa legge concerne la condizione giuridica di un numero ristretto di persone, i pubblici impiegati. Ne i provvedimenti proposti sono, come può apparire dai discorsi di qualche ora¬ tore, specialmente dell’onorevole Ruffini, particolarmente cru¬ deli o anche soltanto severi, perchè in sostanza non si tratta che di collocare a riposo con pensione i funzionari nei quali il Governo non riponga la necessaria fiducia. Vecchie abitudini mentali, ho detto, radicatesi durante lunghi decenni, che facevano apparire perfettamente lecito ed anche onesto che funzionari dello Stato, pagati sul bilancio dello Stato, facessero quotidianamente opera di sovvertimento dello Stato! (*) Pron andato nella seduta del 19 dicembre 1925. — 89 — VICINI. Verissimo! Era proprio così! ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto . L’onorevole senatore Vitelli ha ricordato ben a ragione l’epoca In cui gli uomini, i quali professavano dottrine rivoluzionarie o sovvertitrici si astenevano dall’entrare in Parlamento per non essere costretti a prestare un giuramento al quale avrebbero dovuto venir meno. Quella vecchia onesta abitudine è pur¬ troppo cessata. Ma è cessata anche un’altra onesta abitudine che pure una volta esisteva, per la quale gli avversari del Go¬ verno e dello Stato si astenevano dal porsi a servizio dell’uno e dell’altro per combatterli e per tradirli. Lo spettacolo a cui si è assistito in Italia negli anni an¬ tecedenti aU’avvento del governo fascista, è presente alla mente di tutti. Tutti ricordano le epoche nelle quali 600 fer¬ rovieri sovversivi, muniti di permanente ferroviario, pagati e indennizzati come se fossero in regolare missione, viaggiavano l’Italia a spese dello Stato per organizzare i ferrovieri contro io Stato! {Applausi). Sarà stata quella l’epoca della libertà; io credo che fosse l’epoca dello smarrimento e dell’anarchia! ( Approvazione ). E pertanto il governo fascista ha dovuto mutare radicalmente sistema. Alla nostra politica di restaurazione della disciplina nei pubblici servizi si è opposto che i funzionari debbano essere bensi ligi allo Stato, ma non al Governo! Lo Stato viene così concepito come un’entità astratta, prescindendo dagli ordina¬ menti concreti in cui si realizza, e dagli organi che lo fanno agire. Ma, con la concezione che sia sufficiente la fedeltà allo Stato e ammissibile l’infedeltà al Governo, ogni disordine di¬ venta lecito, perchè tutti sono fedeli all’idea dello Stato; nean¬ che i bolscevichi respingono l’idea dello Stato. Bisogna vedere invece se si è fedeli all’idea di questo Stato! A nessuno viene in mente di sostenere che il funzionario debba fedeltà alle persone dei governanti individualmente considerate: il fun¬ zionario deve essere fedele al Governo come organo e concreto - 90 rappresentante dello Stato. Ma vi è di più. Come ho avuto al¬ tra volta l'onore di rilevare in Senato, il rivolgimento del¬ l’ottobre 1922 ebbe una portata ben più vasta che quella di un semplice mutamento di persone o anche di partiti al Governo: fu un mutamento di regime, cioè di concezione dello Stato e di struttura dello Stato e del Governo. Ora si comprende benis¬ simo che un cambiamento di persone o anche di partito nella direzione dello Stato non implichi alcun cambiamento nel per¬ sonale addetto alle amministrazioni pubbliche; ma, quando muta il concetto dello Stato e del Governo, quando muta il re¬ gime, non si può negare al nuovo regime il diritto di aver funzionari che siano interpreti fedeli della nuova concezione dello Stato. Ciò è accaduto in ogni mutamento di regime. Debbo a questo proposito ricordare qualche precedente storico, fra cui viene primo in ordine di data, quello che ci offre la Repubblica Romana del 1849, la quale — come ognuno sa — fu governata da un triumvirato composto di Mazzini, Saffi e Armeliini. Nel bollettino delle leggi, i>roclami, circolari della Repub¬ blica Romana, edizione ufficiale, Roma 1849, a pagina 49 è riportato il seguente decreto approvato il 18 febbraio 1849 daiPassemblea Costituente. « L’Assemblea decreta : « Art. 1° — Ogni impiegato civile dovrà dare la sua adesione con atto scritto alla Repubblica Romana. « Art. 2° — Ogni militare dovrà fare un giuramento solenne. • « Art. 8° — La formula di adesione è la segmente: « Dichiaro di aderire alla Repubblica Romana, proclamata dalla Assemblea Costituente e prometto di servirla fedelmente per il bene della Patria comune, l’Italia ». «Art. 4° — Per i militari si dirà: «Io giuro in nome di Dio e del popolo di riconoscere la Repubblica Romanai proclamata dall’Assemblea Costituente e giuro di servirla fe¬ delmente per il bene della Patria comune, l’Italia ».. — 91 — « Art. 5° — I presidi di ciascuna provincia e i coman¬ danti dei singoli corpi si incaricheranno dell’esecuzione di questo decreto ». Già prima il ministro della giustizia, Lanzetti, aveva emanata una circolare di cui leggerò un brano : « Se nella gerarchia giudiziaria vi fosse ehi non ha la convinzione di de¬ dicarsi sinceramente e con tutte le forze al servizio del Go¬ verno, se vi fosse chi, simulando attaccamento alla Repuoblica con ipocriti atti cercasse di nascondere la propria avversione, lo invito a fare atto di lealtà ritirandosi spontaneamente da quel grado da cui alla prima occasione, con suo vituperio, sa¬ rebbe inevitabilmente rimosso ». E in dipendenza del decreto 18 Febbraio 1849 il Comitato composto dai deputati: Cardeìli, Saliceti e Mattia Munteceli! emanava l’8 Marzo 1849 il seguente odine: « in nome di Dio e del Paese il Comitato esecutivo della Repubblica, visto il decreto della Assemblea Costituente in data 18 febbraio 1849, ordina: 1° — Tutti gli impiegati civili e militari, in attività di servizio, in acquiescenza e in disponibilità, che nel ter¬ mine stabilito non avranno fatto atto di adesione o non avranno prestato giuramento, a norma del decreto, cessano dal loro ufficio e dalla percezione del soldo, soprassoldo od indennizzo di qualunque genere. 2° — Gli impiegati e militari, che avranno domandata la giubilazione dopo la pubblicazione del presente decreto, non saranno ammessi a far valere i titoli, se non avranno data là loro adesione o fatto il giuramento. 3° — Agli impiegati e militari dimissionari sarà pagato un indennizzo proporzionale per i giorni del mese di marzo che hanno continuato nel loro ufficio ». Ed in data del 1° marzo 1849 il Ministro delPinternp Aurelio Saffi, aveva emanato una circolare, per invitare ì presidi delle provincie a fare applicare tale quale era stato .formulato, il decreto dell’Assemblea aggiungendo : « Viene pre- — — fisso a tutti gli impiegati il termine di cinque giorni, che comincerà a decorrere dal momento in cui giungerà la notizia di questa disposizione. Siete quindi avvertiti a tener sospeso il pagamento del soldo a ciascun impiegato che non abbia ancora presentato la sua adesione ». Ed in proposito voglio narrare un aneddoto. A Macerata, un nipote di Pio IX, che si chiamava Beni¬ gni, si trovò imbarazzato a fare la dichiarazione. In una let¬ tera del Preside della provincia di Macerata si dice: « Presso Fufficio del Registro di questa città, c’è il cittadino Giovanni Benigni, figlio di una sorella carnale del Pontefice qui domi¬ ciliata. Chiamato dalla legge a prestare la sua adesione, si è presentato per esternare l’angustia, in cui si trova per incon¬ trare o la taccia di essere disconoscente del suo sangue o quella di essere immeritevole della fiducia del Governo. Limitato come è di finanze, l’una e l’altra via, come egli dice, sono ugual¬ mente tormentose». (Ecco davvero un caso pietoso che avrebbe, a buon diritto, potuto citare il senatore Ruffini). « Egli mi si è raccomandato per trovare un mezzo plausibile e di sod¬ disfazione del Governo per poter sfuggire ambedue e per pre¬ sentare una dichiarazione, che egli stesso ha formulato in questi termini: — Io sottoscritto prometto di essere subordinato alle leggi vigenti, come è debito di ogni onesto cittadino e di ogni pubblico impiegato —. Il di lui caso a me pare molto ec¬ cezionale. L’impiegato di cui mi occupo non ha alcuna in¬ fluenza politica e il suo soldo consiste solo in 15 scudi al mese, che è l’unica risorsa ottenuta dalla munificenza dello zio. La sua condotta, dalle più accurate informazioni, è la migliore. Egli vive una vita ritirata, ecc. ». Breve e caratteristica è la risposta: « Al Preside di Macerata, « La legge sulla adesione non ammette specialità di casi* Quindi il Benigni deve uniformarsi strettamente alla medesima — OS — se desidera rimanere al suo posto. Si pio ce da alla esecuzione e si riferisca il risultato. » In massima Padesione fu data e chi non volle piegarsi f il licenziato* Scaduto il termine? il ministro dell'interno Au¬ relio Saffi, in data 9 marzo rendeva noto al direttore della sicurezza pubblica di Roma: « In conformità delie de termina¬ zióni prese dal Comitato esecutivo? gli impiegati che nop hanno fatta ^adesione, dovendo essere considerati come dimis¬ sionari, cesseranno di far parte del vostro ufficio. 11 ministro però ha dato ordine perchè sia sodisfatto il soldo del corrente mese a coloro che hanno continuato nel servizio* Partecipi questa risoluzione, ed invii al più presto la nota dei posti vacanti per provvedere. Salute e fratellanza », SCI ALO JÀ. l’or quanto tempo hanno appoggiato quel Governo ? ROCCO, ministro della giustizia e degli affari dì culto. Lo hanno appoggiato finché è caduto* MUSSOLINI, presidente del Consiglio. E indipendente¬ mente da questa legge. SCI A LO JÀ* Eia senza appoggio. ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. LI Governo della Repubblica romana, non cadde per debolezza interna, cadde per i cannoni del Generale Ondinof* CICCOTTL Non solo per questo, ( Al tre intermziom). ROCCO? ministro della giustizia e degli affari dì culto. E non basta, perchè, dopo II 1860, alla costituzione dello Stato italiano, essendo presidente del Consiglio Camillo di Cavour e ministro delia Istruzione Pubblica Francesco De Sanctis, fu¬ rono licenziati 34 professóri nella sola università di Napoli, o furono altresì privati delle loro dignità e cariche tutti i membri della Accadèmia reale per sostituirli con uomini fedeli al nuovo regime politico* {Interruzioni a sinistra )* — 94 — MUSSOLINI, presidente del Consiglio. Non siamo arrivati ancora a tanto, noi antiliberali. Forse ci arriveremo. ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. Ci sono poi fatti più recenti relativi ai Governi liberali-demo¬ cratici o radico-socialisti. Ve ne sono in abbondanza. L’ono¬ revole Giolitti, sia pure con forme blande, che cosa ha fatto se non costituirsi una burocrazia ligia completamente? E che cosa ha fatto l’on. Nitti quando pubblicò la legge sulla di¬ spensa dal servizio degli impiegati per scarso rendimento ? Una formula cosi ampia racchiudeva tutto, e quanti impiegati fu¬ rono licenziati per scarso rendimento, sol perchè scarso era il loro rendimento sovversivo ! In Francia non fu il Governo radico-massonico di Emilio Combes l’inventore di quelle famose fickes che dovevano di¬ videre i funzionari e gli ufficiali in reprobi, e cioè i cattolici, e in eletti, cioè i liberi pensatori, radicali e socialisti ? In verità io dico che in questo disegno di legge non c’è nulla di nuovo e, sopratutto, nulla di gravo. Il nuovo regime, sorto dagli avvenimenti dell’ottobre 1922, ha il diritto di avere organi, nei quali abbia piena fiducia. Che cosa domanda esso ? Che, per un anno, gli si dia la facoltà di eliminare i funzionari nei quali la sua fiducia è ve¬ nuta totalmente meno. CICCOTTI. Allora la legge ha effetto retroattivo? ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto . Risponderò anche a questo. MUSSOLINI, presidente del Consiglio. Non tema nulla lei! L’ho fatto perfino Senatore! (Applausi). ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. La legge poi non ha nulla d’eccessivamente severo od aspro, o di poco umanitario. Si tratta di eliminare alcuni impiegati che si sono resi particolarmente incompatibili e nei quali il Governo non può assolutamente avere fiducia; i quali impiegati sono collocati a riposo con pensione, e in condizióni di parti¬ colare favore, perchè il limite degli anni necessari per la pen- — 95 — sione viene abbassato a 15 anni, e l’indennità, per chi non ha diritto a pensione, viene considerevolmente aumentata. La legge, si dice, è pericolosa, perchè ci potranno essere errori; ogni cosa umana è soggetta all’errore; è naturale che il Governo procederà con cautela, ciò che è nel suo stesso interesse, perchè è nel suo interesse di non perdere i buoni im¬ piegati, ed è nel suo interesse garantire alla massa degli im¬ piegati un lavoro tranquillo e difenderla contro le accuse ingiuste e le delazioni. Il Governo fascista non ha vendette personali da compiere. Il Governo chiede che gli si dia la pos¬ sibilità di governare: questo chiede e non altro. A questo punto io potrei anche fermarmi ma voglio ri¬ spondere ad alcune obiezioni mosse su punti particolari. Uno riguarda i professori di Università. Io sono profes¬ sore di Università e, come tale, custòde geloso dei diritti della cattedra; ma la verità è che i professóri di Università, in quanto insegnanti, non c’entrano in questa legge. Scopo della legge è eliminare le incompatibilità che esistono fra il Governo e i suoi funzionari; l’incompatibilità deve però giudicarsi diversamente secondo le diverse funzioni. È chiaro che in di¬ versa guisa deve giudicarsi l’incompatibilità di un prefetto, c quella di un professore di letteratura greca, perchè il pre¬ fetto può nell’esercizio delle sue funzioni fare gran male al Governo, e intralciarne gravemente l’opera: il professore di letteratura greca, è difficile che possa, col suo insegnamento avere influenza sull’azione governativa. La libertà della cattedra è dunque completamente fuori questione; i professori possono oggi, potranno domani, come potevano ieri, insegnare tutto quello che vogliono. Che cosa non potranno invece fare ? Non potranno intralciare l’opera del Governo e lavorare contro gli interessi della nazione, come è accaduto qualche volta, ad esempio, nel periodo delle tratta¬ tive di Parigi per la conclusione della pace, quando i pleni¬ potenziari italiani lottavano giorno per giorno per le rivendi¬ cazioni nazionali e giorno per giorno avevano da combattere gii argomenti che venivano adottati contro Le tesi italiano in baso agli scritti di professori universitari italiani! (Applausi vivissimi). Ecco quello che il professor© universitario non può, non deve fare, ma ciò non lui niente da vedere con la libertà della cattedra- E quanto alla magistratura io, che ho Tonare di esserne il capo, torno — come già altra volta — ad affermare una cosa molto semplice: la magistratura non devo far© politica di nessun genere, nè governativa nè antigovernativa. Palo è anche il pensiero di tutti i magistrati. Ciò non ha niente da vedere con Teseremo della funzione giudiziaria. È naturale ohe il magistrato non può essere controllato in ciò che fa come giudico. Quanto accadeva, ed è stato ricordato in una recente, memorabile discussione al Sonato, nel .seno delle logge mas¬ soniche, dove si davano e si ricevevano Istruzioni sul modo con cui il magistrato massone dovesse e: indi care, costituiva una limitazione alla libertà del magistrato* non già Tesi- genza, che è la sola scaturente dal disegna di legge, che il magistrato si astenga dalla politica. Ho qui lui articolo di un magistrato molto dotto e molto sereno, che è il presidente Camassa, della Corto d 7 Assiso di Ir ani, il quale scrìve cose assai giuste che mi permetto di leggere; «È interpretazione ingiusta, falsa, che va respinta «pel buon nome d’Italia, dire che per il magistrato, mante- * ner>i nelle direttive generali del Governo significa essere ligio al potere esecutivo nelTanmilnistrazione della giustizia. « I/arfcicolo 1» della leggo parla di manifestazioni com¬ piute in ufficio e fuori d’ufficio; Tanmiinistrazione della «giustizia c’entra quando in occasione di essa si creda inop- * f^drtunamente di fare manifestazioni contrarie al Governo ; « il caso potrà essere raro ma non impossibile, tenendo conto «che anche nella nostra classe d sono degli appartenenti a « società segrete, «L onorevole Mussolini con uno dei suoi gesti memorabili, « che fanno di lui Puomo più caratteristico dei nostri tempi, « rifiutò l’omaggio degli ufficiali dell’esercito nel giorno del « suo ingresso trionfale in Roma. . . lo stesso gesto corremmo « ripetuto per la magistratura, che, come l’esercito, e più « dell’esercito, in una nazione libera e civile deve essere indi- « pendente; i magistrati non siano iscritti a nessuna associa- « zione di qualsiasi colore, la loro tessera sia una sola: la legge «uguale per tutti; unica loro direttiva la propria coscienza ». Questo è il pensiero della magistratura italiana, e questo è il pensiero del Governo nei riguardi della magistratura. In verità nessuna persona di buona fede può credere che il Governo abbia in animo di commettere ingiustizie o soprusi in base a questa legge dopo gli affidamenti dati alla Commis¬ sione circa la sua applicazione. Quando abbiamo assicurato ohe «in conformità dell’art. 51 dello Statuto, la legge non sarà applicata alle manifestazioni di funzionari senatori o deputati fatte nell’esercizio del loro ufficio; non si applicherà alla magistratura inamovibile a termini dell’art. 69 dello Statuto e alla Corte dei conti per gli atti compiuti nell’eser¬ cizio delle sue funzioni; i fatti saranno comunicati al funziona¬ rio perchè possa giustificarsi»; abbiamo promesso un’appli¬ cazione più che moderata della legge. Viene infine la que¬ stione della non retroattività della legge, sulla quale, in mas¬ sima, si può convenire. Ma, intendiamoci, onorevoli senatori: questa non è legge penale, per cui la non retroattività debba intendersi in senso rigoroso, è una legge di epurazione, è una legge la quale mira a mettere la pubblica amministrazione in armonia col Governo, cioè a creare la necessaria fiducia fra chi ordina e chi deve obbedire. La legge pertanto non può avere effetto retroattivo nel senso che manifestazioni lontane, le quali non abbiano avuto più nessun seguito, e in base alle quali non vi sia ragione di credere che l’ostilità del funzionario persista al momento del¬ l’attuazione della legge, non si devono prendere in considera¬ zione. Ma la data della pubblicazione della legge non può — 98 — essere un momento decisivo al punto da far dimenticare tutto ciò che è stato compiuto prima di essa. L’irretroattività deve pertanto intendersi nel senso che la incompatibilità tra il fun¬ zionario ed il Governo deve essere attuale , e non deve tenersi conto di uno stato di fatto transitorio e passato. Il Governo in questa materia è disposto a procedere, e procederà, con la massima cautela, ma non tollererà che re¬ stino annidati negli organismi più delicati della pubblica am¬ ministrazione uomini nei quali non ha fiducia. Il problema sta in questi termini. Finché al Governo è affidata la direzione della cosa pubblica, gli si devono dare i mezzi per governare: primo fra questi, funzionari dei quali possa servirsi con animo tranquillo. Ci è stata esposta la necessità di rispettare la libertà individuale, anche quella degli impiegati. Il problema dei limiti della libertà è un grave problema; della libertà as¬ soluta abbiamo fatto lunga esperienza ed abbiamo veduto che la libertà senza limiti è la servitù di tutti. Il Governo- fascista ha inaugurato una esperienza nuova, quella della libertà condizionata dalla tutela degli interessi generali. I frutti di questo esperimento sono quelli che il Senato ha veduto: se esso crede che l’esperimento debba essere con¬ tinuato, io sono certo che darà voto favorevole al disegnò di legge. (Vivi applausi). 4 . LEGGE SULLA DIFESA DELLO STATO RELAZIONE (*) Onorevoli colleghil — Il dissono di legge, che presen¬ tiamo alla vostra approvazione è dettato anzitutto dalla ne¬ cessità, da una di quelle necessità supreme che nella vita dello Stato, come nella vita degli individui, non hanno legge. Il regime fascista, dopo aver praticato, durante il primo periodo della sua vita, la più larga tolleranza verso i suoi avversari, è stato ad un certo momento costretto, dalla logica stessa delle cose, ad assumere un atteggiamento di più risoluta di¬ fesa di fronte alla lotta senza quartiere, che su tutti i campi gli si moveva da gruppi scarsi di numero, ma ciecamente pervicaci, i quali, rifiutando le ripetute offerte di tregua e di pacifica convivenza, persistevano a mantenere in uno stato di continua agitazione il popolo italiano. li programma del Governo era semplice. Con una radi- (*) Relaziono alla Camera dei deputati presentata il 9 novem¬ bre 1928 dal Capo del Governo, Primo Ministro Segretario di Stato* Ministro della Guerra Mussolini, e dal Ministero della Giustizia e de¬ gli Affari di Culto Rocco. — 100 — cale riforma della legislazione esso intendeva creare un nuovo ordine giuridico, atto a rafforzare l’autorità dello Stato e a difenderlo contro tutti i tentativi di sopraffazione degli in¬ dividui, dei gruppi, delle classi, dei partiti. Si confidava in tal modo che l’organizzazione di un sistema di difesa legale dello Stato rendesse inutile la difesa extra legale dei cittadini amanti della Patria, che una tradizione di debolezza e di indifferenza aveva reso per lo innanzi necessaria. L’intento del Governo era dunque ancora una volta, di pacificazione. Si voleva creare una nuova legalità, perchè tutti finalmente rientrassero nella legalità. Ma l’irriducibile cecità di alcuni nemici del fascismo minaccia di rendere vano questo proposito e di rigettare an¬ cora una volta l’Italia nel disordine e nel turbamento. L’an¬ tifascismo, sommerso in Italia dal consenso universale per l’opera di restaurazione morale, politica, economica, finan¬ ziaria condotta innanzi dal Governo, si è rifugiato all’estero e di là, impotente ad influire sulla opinione pubblica, incapace di scuotere le salde fondamenta del regime, si è ridotto ad ordire nell’ombra congiure miserabili e a preparare criminosi attentati. Di fronte al nuovo attacco, che in inen di un anno ha condotto alla perpetrazione di ben quattro attentati contro la vita del Capo del Governo, si impone evidente la necessità di gravi provvedimenti. Nella situazione creatasi oggi in Italia ogni indugio sarebbe colpevole. La legislazione vigente si è dimostrata inadatta, non pure a prevenire i crimini, ma an¬ che a soddisfare l’opinione pubblica con una rapida e severa punizione dei crimini già commessi. Per molti segni appare chiaro, che se lo Stato non interviene a prevenire e a repri¬ mere efficacemente, supplirà l’iniziativa spontanea dei citta¬ dini, con grave offesa alla maestà della legge e alla sovranità dello Stato. Nè attendere la riforma completa dei codici sarebbe pos¬ sibile, poiché l’elaborazione delle nuove leggi penali e di procedura penale, per quanto condotta innanzi alacramente, 101 — richiede ancora alcuni mesi per essere compiuta. Xè, d’altro canto, in si gravi contingenze la legislazione normale, per quanto emendata, sarebbe sufficiente. Bisogna colpire non solo KCì'eraniente, ma rapidamente, in modo che la funzione di prevenzióne generale e quella satisfa fctoria della legge penale possano realizzarsi col massimo della efficacia. Tal fine non pilo conseguirsi che con una legge eccezionale, secondo una antica tradizione dello Stato italiano, che risale ai primi tempi delPunità» Dopo il 1860 si creò in Italia una situazione per qualche rispetto simile alla presente; contro il nuovo regime gruppi di avversari irriducibili rifugiatisi fuori dei confini dello Stato ordivano congiure organizzando il brigantaggio. Ebbene gli nomini di Governo di quel tempo, che pur si professavano liberali, non si peritarono di far approvare dal Parlamento crinèlla legge Pica, che costituì lo strumento più efficace della vittoria che il nuovo Stato riportò contro la reazione borbo¬ nica. Ugualmente noi crediamo che, di fronte alla reazione antifascista, che si manifesta oggi, come allora la reazione borbonica, in forme di attività criminosa, siano necessari ed urgenti provvedimenti di eccezionale rigore, E. poiché il Governo ha fede nella vittoria piena della rimossa nazionale operata dal fascismo contro la reazione delle forze antinazionali, esso propone che i provvedimenti da adottarsi abbiano ea~ rattere temporaneo, e fissa a cinque anni il periodo della loro durata, con la certezza che assai prima della scadenza di questo termine lo scopo di pacificazione, che si propone sarà pienamente conseguito. I. L 1 innovazione principale contenuta nel disegno di legge è r introduzione della pena di morte per gii attentati contro il Ile, la Regina, il Principe Ereditario e il capo del Go- — ioa ~ Terno., noneliè per alcuni gravi delitti contro la sicurezza dello Stato. Il carattere eccezionale e temporaneo del disegno di logge dispenserebbe dall’entrare in una disamina approfondita della vexata quaestio della pena di morte. Ma, poiché, in realtà, il disegno di legge, sotto questo punto di vista, anticipa una riforma del sistema jjcnale, che è intendimento del Governo introdurre nel nuovo codice, bisognerà pure, in brevi tratti, riassumere le ragioni, per le quali ci siamo indotti a ricon¬ siderare il problema, che la dottrina liberale-democratica in Italia credeva ormai definitivamente sorpassato. Nani vi è dubbio che, da un punto di vista astratto e filo sofieo, V iiid ivìdu alterno li beraie-d omoerat i co con dnce alJ * esclusione della pena di morte. Nella concezione individua- lista T individuo è il fine, la società e lo Stato sono il mezzo, ed è pertanto naturale, che non possa L’individuo, che è fine, essere assunto al valore di mezzo, come dice scul¬ toriamente Emanuele Kant. Or, nella pena di morte, che implica la soppressione totale della personalità, l’individuo è considerato unicamente come uno strumento o mezzo per realizzare i fini sociali delia difesa contro il delinquente, della intimidazione generale e della soddisfazione del senti mento popolare. Bene è vero che in tutte le pene afflittive, compreso il carcere, in maggiore o minore misura tale in¬ versione si verifica, ma nella pena di morte essa è totale. Data la premessa liberale, la conseguenza è irrefutabile, e questo spiega la tendenza diffusa pressa i teorici del libera¬ lismo verso l'abolizione della pena di morte. Tendenza, diciamo, perchè, dì fronte alle terree necessità della vita, anche i penalisti liberali si sono, nella massima parte, arrestati. Di qui lo strano fenomeno, per cui la pena di morte continua ad essere accolta dalia immensa maggio¬ ranza delle legislazioni degli Stati Uberi, e viene sostenuta da moltissimi scrittori di diritto penale devoti alle ideologie del liberalismo. — 108 E valga il vero. Oggi la pena di morte è stata abolita soltanto in Romania (1864) in Portogallo (1866), in Olanda (1870), in Norvegia (1902), in Austria (1918). Ma i più grandi Stati d’Europa la conservano: in particolare la Fran¬ cia, l’Inghilterra, la Germania, la Russia. In Francia la pena di morte fu abolita dalla seconda Repubblica con l’articolo 5 della Costituzione del 1848, ma venne immediatamente ripristinata sotto l’Impero. Varie mo¬ zioni abolizioniste presentate in seguito non ebbero fortuna. Nel novembre 1906 il Governo prese l’iniziativa di proporre al Piirlamento l’abolizione della pena di morte, sostituendovi quella dell’internamento cellulare perpetuo, corrispondente al nostro ergastolo. Il progetto non fu discusso che nel 1908; la Commissione della Camera da prima favorevole a lieve maggioranza, divenne recisamente contraria in seguito. Un vivo movimento di opinione pubblica si manifestò contro l’abo¬ lizione. Moltissime giurie fecero pervenire al Ministero della giustizia proteste solenni contro il progetto; altrettanto fe¬ cero tutti i Consigli generali ad eccezioni di tre. Tali pro¬ teste erano motivate tutte dalla preoccupazione, giustificata dai fatti, che, abolendosi definitivamente la pena di morte, la criminalità avrebbe avuto un aumento impressionante. Un ultimo progetto di iniziativa parlamentare per l’abolizione della pena di morte, presentato alla Camera il 1° luglio 1910 non ebbe migliore fortuna dei precedenti. In Germania, anteriormente alla unificazione, la pena di morte era stata soppressa in alcuni piccoli Stati, non però nei maggiori come la Prussia e la Baviera. Ma anche nei piccoli Stati, tranne pochissimi, la pena di morte fu ristabilita, finché nel 1872 il codice penale dell’Impero consacrò defi¬ nitivamente la pena capitale. E tutti i recenti progetti te¬ deschi di riforma, fino a quello del 1926, mantengono la pena suprema. In Inghilterra, dove pure la criminalità pei delitti di sangue è bassissima, non si è mai dubitato della necessità di - 104 - mantenere la pena di morte, che ancor oggi è frequentemente applicata. In tal modo il paese classico del liberalismo è anche quello che con maggiore fermezza è restato fedele alla pena capitale. Era questa del resto la concezione tradizionale inglese, espressa nel noto verso di Shakespeare: : la de¬ menza non è che omicida quando perdona a coloro che uccidono ». Della Pìussia non abbiamo bisogno di parlare. Infine nella democratica Svizzera la costituzione federale del 1874 aveva abolito la pena di morte, ma la revisione del 18 maggio 1879, la rimise in vigore. Di guisa che quei pochi cantoni svizzeri, i quali, in omaggio alla co¬ stituzione federale, avevano proceduto alla abolizione della pena di morte, si affrettarono, in buona parte, a far uso del riconquistato diritto di repristinarln, come Friburgo, Àp- penzel, Sci affusa. Fuori d'Europa, salvo alcuni Stati dell'America O'iitnF e del Sud (Costarica, Venezuela. Guatemala, Columbia, Bra¬ sile. Nicaragua, Honduras), tutti gli altri paesi dei mondo conservano tuttora nella loro legislazione la pena capitale, e fra questi la grandissima maggioranza degli Stati compo¬ nenti la confederazione Nord Americana. E dò che avviene per le legislazioni, si ripete per gli scrittori, filosofi e giuristi. Ciò che si sente da taluno ripe¬ tere, essere la pena di morte istituzione condannata dalla grande maggioranza della dottrina, è tutt f altro che esatto. È vero anzi il contrario. In Italia infatti si è pronunciata per la pena di morte tutta una schiera di scrittori autorevoli, dal gmsnaturalisfca FBangeri fino al Romagnoli, a Pellegrino Rossi, ai Gabba, al Lombroso, al Garofalo, al Manzini, al Rocco; al Massari. In Francia si incomincia con k-H stessi fautori delle dottrine del contratto sociale, come il Rousseau e il Monte¬ squieu, e si va fino al De Maistre, al Tissot, al Laeassagne, al Tarde. In Germania la pena di morte ha una schiera di fau¬ tori tra i filosofi, i giuristi e perfino i letterati. Kant, che fu certamente il più grande filosofo del liberalismo, Hegel, StahL Trendelemburg, Feuerbach, Geib, Hepp, Huntz, Grii- ber, Liszt, Meyer, e infine Wolfango Goethe. Ma il fenomeno più curioso e interessante è che la pena di morte sia stata ritenuta necessaria proprio da quegli scrit¬ tori, che furono fra i più autorevoli seguaci della filosofia individualistica, dalla quale discendono il liberalismo e la democrazia. Abbiamo ricordato Filangieri, Rousseau, Monte¬ squieu, Kant. Quanto a Beccaria, il suo caso è singolare. Bec¬ caria è considerato generalmente come il primo e più celebre avversario della pena di morte. E poiché Beccaria fu italiano, da molti si considera la teoria abolizionista come una gloria italiana, che i progetti tendenti al ristabilimento della pena di morte condurrebbero ad offuscare. Nulla di più falso. Il libro di Cesare Beccaria: « Dei de¬ litti e delle pene » va considerato storicamente sopratutto come una reazione contro le leggi e le tradizioni medioevali, che ancora dominavano nel campo del diritto penale nella se¬ conda metà del secolo XVIII. Basti dire che in Lombardia la giu¬ stizia criminale era ancora regolata dalle ordinanze di Carlo V del 1532 e di Francesco I del 1539. Vero è che Beccaria, il quale fu uno dei rari seguaci della filosofia giusnaturalistica in Italia, tendeva ad applicare anche nel campo della legi¬ slazione penale le idee individualistiche che trionfavano ol¬ tralpe, nel che sta in gran parte il segreto del suo successo. Il libro del Beccaria fu infatti tradotto in francese, fu appro¬ vato da D’Alembert, portato alle stelle da Voltaire e infine premiato dalla Società di Berna. Ma, malgrado le sue ten¬ denze individualistiche, Beccaria non si pronunciò mai in modo generale e assoluto contro la pena di morte. Nel suo libretto «Dei delitti e delle pene» cosi scrive: « La morte del cittadino non può credersi necessaria che per due motivi. Il primo, quando anche privo di libertà, egli abbia ancora tali relazioni e tale potenza, che interessi la - 106 — sicurezza delia Nazione; Ì1 secondo quando la sua morto frisse il vero ed unico freno per distogliere gli altri a commettere delitti &, Questi concetti sono anche meglio chiariti in una pub¬ blicazione successiva, la « Risposta ad uno scritto che si in¬ titola note ed osservazioni sul libro dei delitti e delle pene » inserita nel volume secondo della edizione di Russano del 17S9. In questa risposta il Beccaria si scagionò dall’accusa, die ali era slata mossa, di contrastare ai Sovrani il diritto di sancire la pena di morte, e, pure insistendo ned suo concetta fondamentale, che la pena di morte non debba essere in¬ flitta m non quando sia utile o necessaria aggiunge: « La ragione di ponile di morte sarà poi giusta e necessaria contro le due classi accennate di delitti, e questa si chiamerà podestà giusta e necessaria, poiché se si trova che la morte di un uomo sia utile e necessaria al bene pubblico, la suprema legge della salvezza del popolo dà podestà di condannare a morte, e questa podestà nascerà come nasce quella d fl lla guerra, c sarà guerra della Nazione con un cittadino ». Questo singolare destino della filosofia individualìstica, di aver posto i principi che logicamente con ducevano al- l'abolizione della pena di morte, ma di averla per lungo tempo nella teoria e nella pratica propugnata, si rivela per¬ fino nelle vicende della legislazione penale della rivoluzione francese, bandi frice degli immortali principi dell 1 individua¬ lismo filosofico e della dichiarazione dei diritti doìPuomo e del cittadino. Fautori in teoria della abolizione della pena di morte furono Marat e Robespierre, clic dovevano poi man¬ dare migliaia di uomini al patibolo, e i due codici penali della rivoluzione, quello del 3 brumaio anno quarto o quello Napoleonico del 1810, conservano largamente la pena dì morte. Tale contraddizione tra la teoria c la pratica è ìa prova migliore che la. pena di morte risponde a imprenscindibili esi¬ genze politiche e sociali. Ma essa risponde, a nostro avviso, anche alia concezione esatta dei rapporti tra P individuo e — 107 lo .staio, che non sono punto quelli asseriti dalla filosofia individualistica. Non è vero infatti che l'individuo sia il fine di tutta* la vita e di tutta l'attività sociale. È vero, al contrario, che la società, considerata come { organismo riassuntivo della serie indefinita delle generazioni, e lo Sfato elio ne è l'organizza¬ zione giuridica, hanno fini propri e per questo vivono; men¬ tre ]' individuo non è che un elemento infinitesimale e tran¬ seunte di li'organismo sociale, ai cui fini deve subordinare la propria azione e la propria esistenza. In questa più giusta concezione della Società e dello Stato appare evidente l'or¬ rore ddl ! afferiti azione kantiana, die l 7 individuo, essendo imo non pud essere assunto al valore di mezzo. No. L individuo è appunto mezzo dei fini sociali, che oltrepassano di molto la siiti vita. Nessuna meraviglia, pertanto, che ai fini imma¬ nenti della Società, si sacrifichino, se sia necessario, i fini dell 7 individuo: e, pertanto, quando occorra, per le ragioni supreme della difesa della Società e dello Stato, dare un solenne esempio ammonitore e placare la. giusta indignazione della coscienza popolare, evitando così sanguinose rappresaglie e gravi disordini, è perfettamente legittimo, applicando la pena, di morte, infliggere all' individuo it sacrificio supremo* T_,n ripugnanza che taluni sentono per tale sacrificio è tanto meno giustificata, quanto non vi è alcuno che dubiti della legittimità di un altro sacrificio ben più vasto e ben più grave, che Eo Stato impone ai cittadini: quello di morirei combattendo per la Patria. Se tal sacrificio si impone a cen¬ tinaia di migliaia di onesti cittadini, perchè potrà inai du¬ bitarsi della legale o morale possibilità di infliggere un sa¬ crificio analogo ai più tristi delinquenti ? Questa è anche la dottrina della Chiesa cattolica. Basti ricordare ciò che scrive Tommaso D'Aquino nella Stimma theologica: « È lecito togliere la vita al malfattore ? Ogni parte è ordinata al suo tutto, come ciò che è meno perfetto è ordinato a ciò che ò più perfetto, e perciò la parte è — 108 - ria tur alme ut e per il suo- tutto. Onde noi vediamo che, se per salvare il corpo, tutto composto umano, torna espediente recidere qualche suo membro divenuto putrido o corrompitore delle altre membra, è cosa lodevole e salutare il farlo. Or¬ bene, ciascun cittadino sta al civile consumo come la parte sta al tutte». E perciò, se qualcuno è divenuto pernicioso alla società e corrompitore della medesima per qualche suo de¬ litto, sarà lodevole e salutare cosa il toglierlo di mezzo, per- che rimanga salvo ìi bene comune », Notiamo, fra parentesi, che bavere hi Chiesa cattolica accolto i istituto della pena di morte spiega la campagna vivacissima sostenuta in Italia per la ma abolizione dalla massoneria. Poco dopo Panificazione politica del Regno, in seguito ad iniziativa della loggia Ferruccio ■ di Pistoia, Il grande Oriente d 1 Italia invitava i fratelli a firma re la se¬ guente petizione: $ T sottoscrittori cittadini italiani dimandano che piaccia al Parlamento: 1 |J ) di abolire la pena di morto; 2°; di sopprimere tutte le corporazioni religiose volgendone ’ beni a sfruttamento di benessere e dì civiltà », Perchè la m a ssoneria p ro pu gn a va 1 ? a b ol l zi on v d el 1 a pen a d i m o r te ? N o n certo per ragioni di principio, perchè tal pena è sanzionata es p lessameli te negli statuti dell'ordine contro 1 violatori tiri giuramento massonico. Evidentemente l’avversione dipende da ragioni contingenti della lotta massonica contro il cattoli¬ cesimo. Nessun dubbio, pertanto, che da un punto eli vista astratto e fìiosoficoj la pena di morte possa considerarsi perfetta - niente^ legittima, quando ne sia dimostrata Lu necessità. Questo è il punto centrale della questiono: la pena morte è legittima, quando è necessaria. Orbene, non è dubbio che, per ì più gravi delitti, quelli che più profondo mente commovono Popinionc pubblica c mettono in pericolo la paco sociale, la pena capitale sia di gran lunga la più efficace, anzi Tunica efficace. Delle varie funzioni, che la pena adempie, le principali — 109 — sono certamente la funzione di prevenzione generale, che si esercita mediante V intimidazione derivante dalla minaccia e dairesempio, e la funzione cosi detta sati sfattoria, che è anche, in un certo senso, di prevenzione generale, perchè Ut soddisfazione„ che il sentimento pubblico riceve daU/appli - L'azione della, pena, evita le vendette e le rappresaglie, causa gravissima di disordini e occasione di nuovi delitti. Botto questo punto di vista, nessuna, pena ha Uefficacia della pena di morto, nessuna intimidisce di più, sia nel momento della" minaccia, sia in quello deUesecuzione; nessuna placa mèglio il sentimento offeso del parenti, degli amici della vittima e soddisfa più completamente l'opinione pubblica indignata. Ma anche la funzione di prevenzione indi vici naie, che la pena indubbiamente adempie, trova nella pena capitale uno stru¬ mento, diremmo quasi perfetto, giacche nessuna pena è piu di questa completamente eliminati va. Eene è vero che la pena di morte rende Impossibile remenda e la rieducazione del reo, ma noi non crediamo che siano queste le funzioni essenziali delia pena; si tratta invece di stopi secondari od accessori, i quali, d'altro canto., non potrebbero trovare applicazione nel campo riservato alla pena capitale* che è quello appunto dei più atroci delitti e dei più perversi delinquenti, per cui sarebbe evidentemente vano parlare di emenda e di rieducatone. Me. la necessità della pena di morte non si desume soltanto dalla sua innegabile efficacia, ma anche dal fatto che la. coscienza pubblica in un determinato momento storico la re¬ clami come necessaria. Quando ciò avviene, solo la pena suprema è capace di soddisfare il sentimento pubblico e di evitare le reazioni extra legali contro il delitto. Tale e ap¬ punto il caso delibi tt li a le momento storico, come dimostra l’esperienza di questo ultimo anno, esperienza cosi conclu¬ siva, che essa ha convinto perfino, sia pure parzialmente e per motivi contingenti, decisi ed antichi avversari della pena di morte, conio Enrico Ferri, — 110 — Così prospettata la questione, cadono tutte le obbiezioni che la polemica degli abolizionisti aveva messo innanzi, e che si trovano riassunte in maniera chiara e perspìcua nella relazione Zanardelli al progetto del vigente Codice penale. Le obiezioni sono: 1°) la pena di morte, mentre 0 ima pena barbara e ri¬ pugnante per una coscienza civile, non ha virtù intinudatriee. Le esecuzioni capitali, lungi dall'essere di esempio terribil¬ mente solenne e salutare, finiscono sempre (sol riuscire im¬ morale e disgustevole spettacolo, atto a svegliare istinti san¬ guinar] nella foli a, die vi assiste con morbosa curiosità : 2 n ) la pena di morte non è necessaria, perchè soppri¬ mendo i delinquenti, non si sopprime il delitto, Questo ar¬ gomento delle relazione Zanardeìli è stato posteriormente ri¬ preso da Enrico Ferri, che ha affermato la inutilità della pena di. morte di fronte al progressivo diminuire della delin¬ quenza pei piu gravi reati di sangue in tutti i paesi, ma specialmente nel nostro, 3") la pena di morte ha per effetto non solamente dì sopprimere un delinquente, ma anche di annientare un essere umano, forse suscettibile di emendamento, ed è perciò in cori' traddizione con gli scopi educativi della pena, 4°) La pena di morte è irreparabile, mentre la lire- parabilità non dovrebbe mal accompagnarsi ai pronunciati di una giustizia fallibile. Nessuna di tali obiezioni è decisiva. Infatti: 1 D ) Circa la pretesa barbarie della pena di morte, si potrebbe anzitutto rispondere che quando la difesa dello Stato Io richiede, non vi è mezzo o provvedimento clic possa scar¬ tarsi perchè apparisca crudele dal punto di vista individuale: abbiamo ricordato l’esempio della guerra. Ora in questa ma¬ teria non è il punto di vista individuale che deve prevalere, ma quello sociale; del resto anche individualmente non è vero che la pena di morta sia piu crudele di altre pene, ohe pur* sono accolte senza difficoltà, come l'ergastolo e la segrega- — Ili zione cellulare. Lo stesso Beccaria affermava: « Chi dicesse che la schiavitù perpetua è dolorosa quanto la morte, e per¬ ciò egualmente crudele, io risponderò che, sommando tutti i momenti infelici della schiavitù, lo sarà anche di più ». Circa l’efficacia della pena di morte dal punto di vista del- T intimidazione, anche i più risoluti abolizionisti, le riconob¬ bero una particolare efficacia di esemplarità. Così il Lucas, autore di un libro sulla pena di morte, che fu premiato al concorso di Ginevra, organizzato per promuovere nei vari Stati un movimento abolizionista. E un altro criminalista francese, il Tarde, aggiunge, a proposto degli argomenti de¬ sunti dalle statistiche della criminalità: « Ma quale bisogno ab¬ biamo noi di domandare alla statistica ciò che gli statuti delle associazioni dei criminali ci fanno conoscere molto meglio, se ne fosse il bisogno ? Quando i malfattori si associano, si sottomettano di solito a un codice draconiano, la cui sola penalità è la morte. Ora non vi è alcuna legge più obbedita che la loro, malgrado la sua severità ». Sono dunque gii stessi delinquenti che ammettono l’efficacia intimidatrice della pena di morte. 1 !.. ; • 2°) Quando si afferma la inutilità della pena di morte con l’argomento che, sopprimendo il delinquente non si sop¬ prime il delitto, in realtà non si fa che affermare l’inutilità della pena per sè stessa considerata. È proprio vero, infatti, che non la sola pena di morte, ma tutte le pene non soppri¬ mono il delitto. Dalle leggi di Hammurabi in poi, cioè da più di quattromila anni, vi è stata la pena e vi è stato il de¬ litto. Ma ciò non basta per dedurne la inutilità della pena, la cui efficacia non va misurata dai delitti che si commettono, ma da quelli molto più numerosi che non si commettono, e che si commetterebbero, se la pena non esistesse. L’argomento è dunque del tutto inconcludente e dimentica che la funzione essenziale della pena è quella di prevenzione generale. Nè è vero che l’abolizione della pena di morte è praticamente senza influenza sulla criminalità. In Francia, vi è stato un periodo, - 112 - dal lf>02 al 1907, In cui la pena di morte fu praticamente sop¬ pressa, perchè il Capo dello Stato esercitò sistematicamente in tutti i casi il diritto di grazia. Ebbene, in Questo periodo, i delitti più gravi crebbero in moda impressionante; si passò da 140 defitti punibili con la pena di morte commessi nel 1902 a 181 commessi nel 1907, e gli omicidi commessi a Parigi, che furono 795 nel 1990 divennero 1314 nel 1907. Del resto, tutte le volte che m è cercato di abolire la pena di morte, la prova è stata tale che essa fu dovuta ripristinare. In Russia essa fu abolita da Elisabetta, ma fu ripristinata da Caterina che le succedette. In Austria P imperatore Giu¬ seppe lì abolizionista dovette ricredersi. In Finlandia fu soppressa ma poscia ripristinata . In Toscana la pena di morte abolita con legge 30 dicembre 1789, fu ripristinata con la legge del 30 agosto 1795. La diminuzione della criminalità di sangue verificatasi in Italia malgrado Fa boli- zione della pena di morte, diminuzione del resto ohe ha avuto periodi di sosta c che non impedisco ancora all' Italia dì avere un triste primato in questo genere di reati, non prova nulla a favore dell'abolizione. Bisognerebbe poter dimostrare che essa, dovuta evidentemente a cause sociali ed economiche, non sarebbe stata molto maggiore senza Pabolizione. Ed in verità l’esperienza fatta negli Stati, che hanno ripristinato la pena di morte dopo averla abolita, starebbe a dimostrare pro¬ prio il contrario di ciò che si vorrebbe dai nostri abolizionisti, 3°) L’argomento desunto dal fatto che la pena di moito, sopprimendo la personalità umana, rende impossibile Fornendo del reo, parte dal falso supposto che la funzione di rieducazione e di emenda sia essenziale nella pena. Si tratto di una concezione individualistica., che disconosce il carattere eminentemente sociale della pena, e quindi la preminenza della sua funzione infimidatriee e sa ti sfattoria. 4°) Rimane Furgoni ente della irreparabilità, che è torsi quello più atto ad impressionare. Ma neppure? esso è deci¬ sivo. L’errore è purtroppo inseparabile dalla natura umana, — 113 — e se il timore di incorrervi dovesse trattenere dall azione, tutta la vita individuale e sociale ne resterebbe paralizzata. Oli errori dei medici e dei ^hirurgi, che cagionano la morto del malato, sono assai piu numerosi degii errori giudiziari, ep¬ pure nessuno ha mai pensato di sopprimere la medicina c ia eh ir orgia. Del resto, non la sola pena di morte, ma tutte le. pene sono in se irreparabili, perchè vi sono conseguenze delle condanne, che nessuna riparazione vale a cancellare. U irreparabilità della pena, non può condurre che ad una sola conseguenza; quella dì subordinarne Pesecuzione a par¬ ticolari cautele. Cosi deve avvenire certamente anche per la pena di morte, la quale non deve essere eseguita, se non quando le prove siano evidenti e la responsabilità del colpe¬ vole rigorosamente accertata. In ogni altro caso, interverrà la clemenza del Re ad evitare anche la più lontana possi¬ bilità di quello che si è convenuto chiamare un errore giu¬ diziario. H, Nd disegno di legge, die vi presentiamo, la pena di morte è comminata soltanto per alcuni gravissimi delitti con¬ tro la sicurezza dello Stato. Conformemente alla occasiono e ai fini del provvedimento abbiamo considerato soltanto i delitti contro la Stato, rinviando alla riforma del Codice pe¬ nale il problema della repressione, mediante la pena capi¬ tale, dei più atroci delitti comuni. T delitti che il disegno di legge punisce con la pena di morte sono : 1°) l 7 attentato contro la vita, V integrità o la libertà personale del Re, del Reggente, della Regina, del Principe Ereditario e del Capo del Governo ; 2°) =li attenta fi contro P indipendenza e l’unità della Patria (Codice penale articolo 104); « - 114 - go) la violatone di segreti concernenti la sicurezza dello Stato (articolo 107, 108 del Codice penale); 4P) gii attentati contro la pace interna, cioè i fatti diretti a far sorgere in armi gli abitanti del Regno contro i poteri dello Stato, a suscitare la guerra civile 0 a portare la devastazione, il saccheggio o la strage in qualsiasi parte del Regno (articolo 120 e 252 del Codice penale). K questi vari tipi di attentati contro la sicurezza dello Stato sono dedicati i due primi articoli del disegno di legge, i quali non hanno bisogno di illustrazione. La novità, in confronto del diritto vigente, sta eopratutto nella pena; sì fratta di reati già gravemente puniti dal Codice penale e dalla legge 24 dicembre 1925. n, 2263, circa le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo. Ma, mentre il passaggio daiPergastoìo alla pena di morte per gli attentati contro i Sovrani, il Principe Ereditario e il Capo del Governo (art. 117 del Codice penale, art. 9 della legge 24 dicembre 1925) appare senz 7 altro giustifi¬ cato, come appare senz’ altro giustificato il passaggio dal¬ l'ergastolo alla pena di morte per gli attentati contro l’unità o I" 1 jndipendcnza della Patria (Codice penale ar^ ti colo 104), può forse a taluno apparire troppo severo il passaggio dalla redimono e dalla detenzione, comminata in qualche caso in misura assai tenue dal Codice penale vigente per I delitti di rivelazione dei segreti concernenti la sicurezza dello Stato e di attentato alla pace pubblica (Codice penale articoli 107, 108, 120, 252) alla pena di morte. Ma in realtà bisogna considerare che le pene inflitte dal Codice por tali reati sono veramente troppo miti e che ancor piu miti appaiono nel presente momento storico, in cui è necessaria la piti ri¬ gida tutela dei diritti dello Stato. Per quel che concerne la rivelazione dei segreti politici 0 militari, la evoluzione del fenomeno bellico, per cu 5 non più il solo esercito ma tutta la Nazione combatte, e per oui la preparazione alla guerra deve essere fatta da tutta la — 115 — barione in ogni momento, rende molto più pericolosa la ri¬ velazione dei segreti concernenti tale organizzazione. D’altro canto i servizi di informazioni che gli Stati maggiori di alcuni paesi hanno organizzato anche in tempo di pace ren¬ dono più difficile la difesa* e piu necessarie sanzioni severis¬ sime contro forme di attività, che ^esperienza della guerra passata insegna molto frequenti e perniciosissime per la si¬ curezza dello Stato. Alcuni recenti processi svoltisi a Napoli e a Roma hanno dimostrato la necessità in questa materia di una repressione severissima. Quanto agli attentati contro la pace interna, previsti da¬ gli articoli 120 e 252 Coti. pen., la pena di morte appare san¬ zione pienamente giustificata, non solo per quel che concerno la insurrezione armata, o la guerra civile, ma anche per que¬ gli atti di grave intimidazione collettiva consumati mediante esplodono di depositi di munizioni, distruzione di navi, di argini, di mitraglio ni e via dicendo, capaci di portare la deva¬ stazione e la strage in una determinata località del Regno, che rientrano certamente sotto Fani pia direzione dell'arte 252, e che tanto il Codice penale, quanto la legge 19 luglio 1894, n. 314, puniscono io modo insufficiente. Come si vede, il disegno di legge non contempla tutti i delitti contro la sicurezza dello Stato, Ne restano fuori alcuni, anche gratissimi come quelli contemplati dagli arti¬ coli 105 e 106 del Codice penale, ed altri, come quello punito dall'artico lo 110, che pure ha rapporti di connessione con delitti contemplati dal disegno di legge. Ma si deve considerare che si tratta di una legge eccezio¬ nale e temporanea, la quale ha di mira sopratutto la repres¬ sione dèlie attività criminose, che maggiormente turbano la coscienza pubblica nel presente momento storico. Di qui la sua portata limitata e Reselusione da essa di forme delittuoso, corno quelle contemplate dagli articoli 105 e 106 del Codice penale, che, sebbene gravissimo, presuppongono lo stato di guerra, e quindi l’applicazione delle norme che la dichiara- zione di tale stato conduce inevitabilmente con sè; e tome quelle contemplate dall'articolo 110, che, eoa lo sviluppo dei¬ pari® militare e dei mezzi di difesa e di offesa, ha perduto ormai molto della sua importanza pratica. L'articolo 3 del disegno di legge punisce il complotto di¬ retto a commettere i delitti preveduti nei precedenti articoli, e T istigazione a commetterli, nonché Fapolpgia dei medesimi. Nel disegno di legge non sono esprèssamente richiamate io disposizioni degli articoli 131 e 134 del Codice penale, die prevedono e puniscono la costituzione di bande armate, e il complotto diretto a tale costituzione. Un esplicito richiamo di tali disposizioni sarebbe stato superfluo, perche la forma¬ zione di bande amiate, quando non integra hi figura di un atto preparatorio dei delitti contemplati dagli articoli 104, 120 e 252 del Codice pénale, rientra certamente nella nozione del complotto. La disposinone degli articoli i e 2 e dell'ar¬ ticolo 3, prima parte, dei disegno di legge sostituisco gli er¬ coli 131 e 134 del Codice penale in rappoi'to ai delitti preveduti nei precedenti articoli 1 e 2, L'articolo 4 reprime L’attività criminosa delle organizza¬ zioni sovversive. Sono note le discussioni intorno alla punibi¬ lità delle organizzazioni comuniste ed anarchiche, e lo oscil¬ lazioni della giurisprudenza a questo riguardo. Da taluno è stata proposta F introduzione nel nuovo Codice penale di una norma che tendesse a definire giuridicamente Fattività sovversiva, che la legge vuol vietare e punire. Vi sono stati perciò tentativi di definire giuridicamente il comuniSmo e Fan archi a, come dottrine, la cui attenzione per mezzo dell or¬ ganizzazione e della propaganda, deve considerarsi criminosa. Il disegno dì legge risolvo la questione in un modo assai semplice. Esso si astiene da definizioni difficili e sempre pe¬ ricolose, e considera come reato la ricostituzione di associazioni e organizzazioni disciolte per ordine della pubblica, autorità, e la propaganda delle dottrine e dei metodi d’azione da esse propugnati.. Si ha così una formula ben netta e precisa, e — 117 — una base non contestabile per la incriminabilità di queste forme delittuose. Arbitra nel decidere se una determinata forma di organizzazione sia pericolosa per Pordine pubblico e per la pace pubblica è Pautorità politica, a cui la legge di pubblica sicurezza testé emanata dà i poteri necessari. È evidente che la ricostituzione delle organizzazioni disciolte per si grave motivo e la propaganda delle loro dottrine e dei loro metodi non può ritenersi, come sarebbe a termini del Codice vigente, una semplice contravvenzione, ma costituisce un grave reato, che anche normalmente dovrebbe essere pu¬ nito in modo severo, ma che le contingenze del momento ren¬ dono necessario di reprimere con le pene assai gravi dell'ar¬ ticolo 4. L'articolo 5 del disegno- di legge non fa in sostanza che dare forma più precisa e più organica ad uh provvedi¬ mento già adottato nella nostra legislazione con la legge 31 gennaio 1926, n. 108. Si tratta di reprimere l'attività criminosa dei cosi detti fuorisciti, piaga storica della Na¬ zione italiana. La propaganda e l'azione antinazionale, quando assuma le forme gravi prevedute dall'articolo 5, deve essere punita, non solo con la perdita della cittadinanza e con la confisca o il sequestro dei beni, ma con pene restrittive della libertà personale e con l'interdizione dai pubblici uffici. Anzi, ammesso il principio della punibilità di tali azioni contrarie agli interessi della Patria, le due altre sanzioni che la legg-e sui fuorusciti commina: la perdita della cittadinanza e la confisca dei beni, possono essere considerate come pene ac¬ cessorie, da applicarsi in caso di contumacia, e destinate a venir meno col cessare della contumacia. Il concetto della legge è ben chiaro. Il cittadino, che si sottrae alla giustizia punitrico dello Stato, paga il suo debito con la perdita della cittadinanza e la confisca o il sequestro dei beni; è il contrapposto perfetto del noto principio « qui non luit in aere luat in corpore ». In altri termini, la perdita della cittadinanza e la confisca o il sequestro sono il sostitutivo — 118 — della pena afflittiva che non si può eseguire; essi pertanto vengono meno quando l'esecuzione della condanna può aver luogo. L’articolo G risolve il grave problema dello diminuzioni di pena da accordare quando il fatto sia di lieve entità o quando concorrano cause che, a termini del Codice penalo, diminuirebbero la responsabilità (minore età, infermità di mente, attenuanti, ecc.). La. diminuente dovuta alla lieve entità del fatto, ben¬ ché abbia alcuni precedenti nella nostra legislazione penale, è assunta qui come causa generale di attenuazione della pena* Gli attentati, infatti, che il presente disegno di legge reprimo, possono assumere forine gravissime, ma possono anche In taluni casi assumere forme relativamente lievi, per le quali le fortissime pene comminate dal disegno di legge potrebbero sembr ar e esorbitai* ti. Tanto nel caso, perciò, che concorrano cause diminuenti della responsabilità già considerate dal Codice penale, quanto nei caso, che il fatto sia nella sua essenza e nelle sue conse¬ guenze di scarsa importanza, il disegno di legge dà facoltà al giudice di mitigare la pena, sostituendo alla pena dì morte la reclusione da quindici a trenta anni, alla interdizione per¬ petua, la in ter dizione temporanea dai pubblici uffici e di diminuire le altro pene restrittive della libertà personale fino alla metà. Si notino due cose: lo) che la legge dà al giudice facoltà, ma non gli im¬ pone obbligo di diminuire la pena: in tal modo si concede al giudico ^attitudine di apprezzamento necessaria por valutare tutte le infinite varietà dei casi; 2°) che alla pena di morto non si sostituisce l’ergastolo, che è in fondo una pena di morte larvata, ma la reclusione temporanea. Un’altra innovazione deli Articolo G è quella contenuta nel capoverso, por cui i complici sono parificati agli autori principali; nel genere di delitti puniti dal disegno di légge è molto difficile graduare la misura della parti cip azione al delitto, e resperienza insegna che coloro., i quali apparen¬ temente vi ebbero una parte secondaria, sono bene sposso invece i principali responsabili. L'articolo 7 infine istituisce un giudice speciale per i delitti contemplati dai disegno di legge. Esso prevede la costituzione di un tribunale, formato da un presidente e da cinque giudici scelti, quello fra gli ufficiali generali delie forze armate dello Stato, questi fra i consoli della rdilizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, II tribunale special? previsto dall' articolo 7 è unico per tutto il Regno, ma può dividersi in piu sezioni e può tenere lo suo udienze,, tanto nella sede assegnatagli quanto In qualunque co¬ mune del Regno* Si tratta in fondo di un tribunale militare, ed è logico pertanto che si seguano le norme della procedura penale militare. Il disegno aggiunge che la procedura è quella del Codice penale per Vesercito per il tempo di guerra. Ed è naturale; per piu rispetti la lotta che lo Stato ha intrapreso contro i suoi nemici c simile a quella che esso deve sostenere in tempo di guerra: uguale la neces¬ sita di una procedura rapidissima., uguale quella di una se¬ verità esemplare. Quanto più energica è la repressione, tanto piu essa potrà essere limitata e breve. L superfluo aggiun¬ gere in ultimo che lappi ioa zio no delle norme per la proce¬ dura penale in tempo di guerra non influisce in alcun modo sulle prerogative sancite dallo Statuto a favore dei Ministri, dei Senatori e dei Deputati, L'ultimo capoverso deli-arti colo 7 risolve il dibattuto pro¬ blema della retroattività della legge speciale, limitandola al campo processuale. Non già che insormontabili argomenti giu¬ ridici si opporrebbero al principio della retro attività della pena. Indubbiamente la retroattività integrale della norma penale è difficilmente ammissibile, perchè non può punirsi come reato un fatto che tale non era al momento in cui fu € 0 m m esso. Siamo qui verunien te nel campo dei diritti a c qu ìs iti, - 1.20 - e come è noto la teoria della retroattività della legge non è che la teoria dei diritti acquisiti. Invero quando un fatto è dichiarato lecito dall’ordinamento giuridico, vi è veramente un diritto a compierlo. Ma altra cosa è la retroattività della legge penale quanto alla creazione dei delitti, altra cosa la sua retroattività quanto alla pena. Allorché un fatto è già punito dalla legge, nulla vieta in principio, che una legge suc¬ cessiva aggravi la pena. Se ciò non si ammettesse, bisogne¬ rebbe riconoscere al delinquente un diritto ad essere punito in una determinata misura, cioè un diritto a una certa pena, ciò che trasformerebbe il rapporto fra il reo e lo Stato in uno strano rapporto contrattuale, per cui il cittadino acquiste¬ rebbe il diritto di commettere il reato a condizione di assog¬ gettarsi alla pena. L’esclusione della retroattività nel no¬ stro caso è dunque dovuta unicamente a considerazioni di opportunità politica. Onorevoli colleghi, il Governo confida nella vostra unanime approvazione dell’attuale disegno di legge, che sarà fra i più efficaci strumenti di quella pacificazione che il Governo Fa¬ scista fermamente vuole e che realizzerà ad ogni costo. — 121 - Provvedimenti per la Difesa dello Stato DISCORSO AL SENATO (*). ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto . (Segni di attenzione). Non. farò un discorso, che l’ora e l’oc- casione non lo consentono. Non farò P illustrazione giuridica o il commento del disegno di legge, per cui credo sufficienti la mia relazione e quella dotta e convincente delP Ufficio centrale. Dirò qualche cosa soltanto della ragione politica dei provvedimenti e risponderò ad alcune obbiezioni mosse qui e fuori di qui, sia al disegno di legge in sè, sia a talune delle sue disposizioni. Circa la necessità e l’opportunità delle proposte, certa¬ mente gravi, che il Governo sottopone al vostro esame, è stato detto, specialmente fuori cP Italia, che esse sono la prova della debolezza del regime e del bisogno che esso ha per sostenersi, di ricorrere a provvedimenti eccezionali. An¬ che in Italia qualche censura è stata mossa da amici del fascismo, i quali, convinti della forza incrollabile del regime, trovano che esso non deve dare neppure l’impressione della debolezza o del timore. Chi muove queste obbiezioni non conosce il nostro Paese,, o non ha inteso la ragione dei provvedimenti. Signori, il re¬ gime fascista non è mai stato così solido, mai il consenso delle popolazioni, guadagnate giorno per giorno dal Governo con (*) Pronunciato nella seduta del 20 Novembre 1926. — 122 — una politica previdente, dì largo respiro, che non ha mai contato un insuccesso, è stato più universale. Venti milioni di italiani, iscritti ai partito, alla milizia, alle organizzazioni giovanili, alle copulazioni, sono inquadrati gatto le insegne del Littorio, Le opposizioni sono frantumate. Politicamente, esso non esistono più. Ma appunto perchè la lotta contro il regime, battuta sul terreno politico, si è ripie¬ gata sul terreno della criminalità, occorrono mezzi speciali per combatterla sul terreno che ossa ha scelto: occorrono cioè leggi penali e di polizia. Se riandiamo col pensiero alla storia politica degli ultimi quattro anni è facile rilevare che la tregua concessa al fa¬ scismo dai suoi variopinti avversari, sovversivi e pseudo costi¬ tuzionali, dnrò poco più di un anno. Illusi di avere di fronte non un regime, ma un ministero, si attese elio terminasse il periodo normale di vita di un ministero. Alla fine elei 1923 e al principio del 1921 si preparò l’attacco, organizzate e diretto dalle solite forze occulte, operanti agli ordini e sotto la suggestione dello straniero. L'attacco politico era da tempo in preparazione e doveva sferrarsi dopo le elezioni generali del 1924, L’organizzazione fu accuratissima: mai battaglia politica in Italia, neppure quella scatenata contro Crispi nel 1895-96, fu condotta con più accurata preparazione c con mezzi più formidabili. La stampa a catena mobilitata; or¬ ganizzata la secessione parlamentare; organizzato e adope¬ rato il dissidentismo fascista; con. sottile e lungo lavorìo tur¬ bato lo spirito dei combattenti e dei mutilati; sfruttate il naturale spirito di critica e la naturale avversione alle novità di alcuni ceti intellettuali. Fra le grandi battaglie politiche combattute in Europa forse solo quella che va sotto il nome di affare Dreyfus, da cui la Francia uscì disfatta e moral¬ mente prostrata, è comparabile a questa. Ebbene il fasciamo restò incrollabile al suo poste, blocco di granito. Dopo meno di un anno, il regime trionfava: la grande battaglia era perduta dal nostri avversari. — 123 Perduta la battaglia politica, venne il tentativo di insur¬ rezione armata. I gruppi «Italia libera» alTinterno, le or¬ ganizzazioni pseudo-garibaldine ai confini dovevano essere gli strumenti del folle tentativo, terminato nel ridicolo per gli energici provvedimenti del Governo e per la viltà e Pavidità degli organizzatori. Nell’ottobre del 1925 anche la fase insurrezionale era li¬ quidata. Si iniziò allora la terza fase: quella degli attentati criminali contro la persona del Capo adorato e venerato, caro a tutti gli italiani, necessario all’Italia. (Applausi prolungati). Signori, rifugiatisi sul terreno criminale i relitti del¬ l’antifascismo debbono essere combattuti sul terreno criminale. Questa legge è pertanto la prova più evidente, non della debolezza, ma della forza del regime. Essa è una legge pe¬ nale, non un provvedimento politico. Essa significa che i nostri avversari non sono politicamente più nulla: che sono incapaci di fare la lotta politica: che sono incapaci perfino di tentare la insurrezione; e possono soltanto armare la mano di incoscienti e di sicari. Questi tentativi criminali, lo sappiano bene, non sono riusciti, e non riusciranno. Benito Mussolini, per volontà della Provvidenza divina, è stato, è, e sarà sempre invulnera¬ bile. Ma essi turbano lo spirito del popolo, gettano, sia pure per pochi giorni o per poche settimane, 1 inquietudine nelle masse, e, sopratutto, provocano inevitabili reazioni e rappre¬ saglie. Questo è un punto di vista, che non si può dimenti¬ care. In questa provocazione sta forse il pericolo maggiore dei tentativi criminali. Ebbene, le reazioni popolari non si possono evitare che in un modo: dando al popolo italiano la sensazione netta che lo Stato è sufficientemente forte ed ar¬ mato per prevenire e per reprimere i crimini; che la pena sarà adeguata al delitto e tale da soddisfare il sentimento popolare, e che sarà applicata prontamente, con inesorabile energia. Questa è la ragione, questa la portata dei provvedimenti, che sono prova della inflessibile volontà dello Stato fascista di non dar tregua agli avversari sul terreno criminale, dove si sono rifugiati, e di riservare allo Stato, unicamente allo Stato, il doveroso compito della repressione. Definiti così gli scopi politici e giuridici dei provvedi¬ menti, rimane escluso ciò che, in buona o in malafede, è staio detto all’estero, che essi avessero comunque intento di persecuzione contro gli stranieri. Degli stranieri non si parla nel disegno di legge. Anzi, una delle disposizioni, quella che concerne l’attività anti italiana dei fuorusciti, è formulata esplicitamente in modo da comprendere solo i cittadini. Ed è naturale. Solo gli italiani hanno obbligo di restare, fuori d’Italia, italiani. Nè mai, durante la elaborazione del disegno di legge, si è pensato di colpire, sotto questo punto di vista, gli stranieri. Si pensò, è vero, in un certo momento, di introdurre una di¬ sposizione che consentisse di perseguire in Italia gli attentati contro la vita dei Reali o del Capo del Governo e contro la sicurezza dello Stato, organizzati all’estero da stranieri; ma tale disposizione apparve superflua, perchè già contenuta nell art. 4 del Codice penale. Per questa ragione, e solamente per questa ragione, essa fu eliminata dal progetto definitivo. Ho appena bisogno di dichiarare che le notizie date da taluni giornali circa pressioni esercitate da Stati stranieri, per togliere dal testo del disegno di legge l’art. 6, sono sem¬ plicemente fantastiche ed assurde. Non c’è stato nemmeno il più vago e più indiretto tentativo di tale natura; e, se ci iO»se stato, il Governo lo avrebbe fermamente e nettamente respinto. Ma, ripeto, si tratta di favole che rientrano nella solita campagna denigratrice della stampa avversa al Regime g sopratutto all’ Italia. (Approvazioni). La condizione degli stranieri sarà pertanto, dopo l’appro¬ vazione del disegno di legge, identica a quella che era prima. Liberi, salva la sanzione universalmente ammessa dell’espul¬ sione, anche di dir male dell’Italia, anche di far propaganda — 125 — an ti-italiana. Soggetti alle leggi penali italiane per gli atten¬ tati criminali contro la vita dei Sovrani e del Capo del Go¬ verno e contro la sicurezza dello Stato dovunque commessi. Niente di più, niente di meno di ciò che esiste in tutte le legislazioni del mondo. Ciò che è naturale. La immensa maggioranza dei fore¬ stieri che vengono in Italia sono nostri amici graditi: e noi desideriamo che essi trovino tra di noi la più larga e simpatica ospitalità. Mi rimane a dire qualche cosa su alcune disposizioni sul disegno di legge, su cui è stata richiamata in modo particolare l’attenzione del Governo. È sembrato a taluni che fosse eccessiva la pena di morte comminata contro i colpevoli di violazione dei segreti concer¬ nenti la sicurezza dello Stato. Ma l’esperienza dell’ultima guerra insegna che la preparazione degli atti di guerra più terribili e più pericolosi si fa fin dal tempo di pace; e che da atti di spionaggio compiuti in tempo di pace può dipen¬ dere la vita di migliaia di persone, non solo nell’eseìr- cito combattente, ma fra i pacifici cittadini. Una seconda obbiezione, di cui l’Ufficio centrale si fa autorevole espositore, è che una interpretazione troppo rigida dell’ultimo capo verso dell’art. 4 del disegno di legge condur¬ rebbe a punire penalmente la propaganda di dottrine politiche non sovversive, come la dottrina liberale, che fu fino a ieri la dottrina ufficiale dello Stato italiano. Mi affretto a rispon¬ dere, ciò che risulta del resto già dalla mia relazione, che l’ultimo capoverso dell’articolo 4 ha di mira la propaganda cosi detta sovversiva, e che esso non tocca quelle dottrine che tradizionalmente sono state ritenute compatibili con la costi¬ tuzione politica ed economica dello Stato italiano. Una terza obbiezione concerne la presunzione di frode san¬ cita dal penultimo capo ver so dell’art. 6 per gli atti compiuti dai colpevoli del reato ivi previsto, .nell’anno antecedente al reato medesimo. Ma la risposta è nella stessa formulazione - 126 - della norma. Si tratta di una presunzione semplice, iuris tantum , che ammette la prova contraria. Infine sono stati sollevati, come era prevedibile, dubbi circa la costituzione del tribunale speciale. La dotta relazione dell 7 Ufficio centrale dimostra esaurientemente che non vi è in questa costituzione violazione del principio statutario che nessuno può esservi distolto dai suoi giudici naturali. Inoltre, il tribunale essendo unico, e con sede a Roma, è eliminato ogni timore di minor serenità dovuta all’influenza degli am¬ bienti provinciali. Infine, non può, nè deve preoccupare il fatto che siano chiamati a farne parte ufficiali della M. V. S. N. di grado elevato. La milizia, signori Senatori, non è, come si afferma ripetendo una vecchia accusa, una milizia di parte, è una delle forze armate dello Stato, e, sempre, da che esiste, si è come tale comportata. ( Approvazioni ). Ma nessuna diffi¬ coltà può esservi ad accogliere il voto dell’Ufficio centrale, che per maggior garanzia, siano chiamati a far parte del tri¬ bunale speciale consoli, che abbiano rivestito nel Regio eser¬ cito o nella Regia marina, grado di ufficiale superiore, o che siano forniti di laurea in legge. Onorevoli Senatori, il disegno di legge, che sottoponiamo alla vostra approvazione, è certo di carattere eccezionale, ma esso è dovuto, più che alla eccezionalità delle circostanze, alla insufficienza della legislazione vigente, e alla tendenza invalsa anche in essa per decenni, di diminuire la forza dello Stato e di limitare l’esercizio della sua sovranità. Il nostro voto è che, riformate le leggi normali, possa venir meno una delle eccezionali ragioni di questo eccezio¬ nale provvedimento. Il quale è si, nei suoi mezzi, una legge di lotta e di difesa, ma nei suoi fini è provvedimento di re¬ staurazione dell’ordine sociale e di pacificazione nazionale. (Vivissimi applausi, congratulazioni). II. LA RIFORMA COSTITUZIONALE. 1. LEGGE SULLA FACOLTÀ DEL POTERE ESECU¬ TIVO DI E MAN ALE NORME GIURIDICHE. 2 . LEGGE SULLE ATTRIBUZIONI E PREROGATIVE DEL CAPO DEL GOVERNO, PRIMO MINISTRO SEGRETARIO DI STATO. - 129 — 1 . LEGGI] SULLA FACOLTÀ DEL POTERE ESECUTIVO DI EMANARE NORME GIURIDICHE. relazione sul disegno di legge (*) Onorevoli coiz.ec hi! — 11 principio della separazione dei potori, che è certo fondamentale nell "ordinamento dello Stato moderno, non è però assoluto ed inderogabile, E ciò si com¬ prende. La distribuzione della competenza, per Feseremo delle diverse attività statali, fra organi diversi dello Stato, ri¬ sponde infatti alla necessità di garantire agli individui ed agli enti minori quella sfera di Libertà, che lo Stato ritiene opportuno riservare loro, nell interesse di mi compiuto ed armonico sviluppo dì tutte le fors?e e di tutti gli elementi della vita sociale, affinchè essi non abbiano, di regola, a trovarsi di fronte ad organi investiti della totale sovra¬ nità, cioè di un potere assoluto e soverchi ante. Ma tale ne¬ cessità non può distruggere Funità organica dello Stato e della sua sovranità, e deve, in ogni caso, trovare un limito f*) Prescritta dal Ministro della Giustizia e degli altari di culto (Rocco) nella seduta della Camera dei dopatati del 26 maggio 192d. 9 — 130 - nell' al tra, più alta e più assoluta necessità, di garantire allo. Stato le condizioni essenziali della sua vita e del suo sviluppo. I.a regola pertanto della separazione dei poteri non può non subire, nella pratica, eccezioni; e ne subisce nell’ordi¬ namento di tutti gli Stati civili, ed anche nel diritto vìgente irt Italia, Accade cosi che funzioni giudiziarie od am ministrative siano affidate ad organi investiti normalmente dell’eserci¬ to della funzione legislativa, come nel caso del Senato costi¬ tuito in Alta Corte di giustìzia (Statuto del Regno articolo 36), nel caso dì accusa dei ministri del Ite pronunciata dalla Ca¬ mera dei deputati (Statuto artìcolo 47), nel caso dei bilanci e dei conti delio Stato, che sono in sè atti a in ministra tivù, ma che debbono essere approvati dallo due Camere (Statuto, articolo 10); nel caso dell’ordinamento e del funzionamento dei vari uffici amministrativi del Senato e della Camera c della amministrazione dei fondi ad essi assegnati (Regolamento della Camera, artìcoli 14, 16 e 17, 144 e segg., 153 e segg.; Regolamento del Senato articoli 13, 15, 134, 173 e seggo). Accade così, anche, che funzioni amministrative siano af¬ fidate ad organi del potere giudiziario, come nel caso della volontaria giurisdizione e delle altre molteplici incombenze di carattere amministrativo, che sono dalle varie leggi attri¬ buite ai magistrati: senza contare i casi, di cui il pretore ro¬ mano ci offre un classico esempio, e di cui un esempio mo¬ derno ci dà la costituzione degli Stati Uniti d’America, di funzioni legislative esercitate da organi giudiziari. E cosi, in¬ fine, accade che funzioni legislative siano affidate ad organi amministrativi, ossia ad organi del potere esecutivo. L’esempio tipico è quello dato dalla facoltà regolamentare elle spetta indubbiamente al potere esecutivo, secondo, si può dire, tutte le costituzioni moderne, ctì anche secondo la nostra (Statuto, artìcolo G) e che importa appunto la emanazione di norme giu¬ rìdiche da parte del Governo, ossia l’esercizio, da parte del ito- tero esecutivo, di una funzione legislativa. — 131 — Sorge cosi la distinzione ben nota nella dottrina del diritto pubblico, fra le leggi in senso sostanziale e le leggi in senso formale. Le prime sono costituite dalle norme giuridiche, senza aver riguardo all’organo da cui derivano, e comprendono perciò così le leggi del Parlamento, come le leggi emanate dal po¬ tere esecutivo. Le leggi in senso formale sono invece gli atti del Parla¬ mento, contengano o non contengano norme giuridiche, siano cioè, sostanzialmente, leggi o atti amministrativi, come ad esempio la legge del bilancio. Vi sono, pertanto, leggi che sono tali in senso sostanziale e formale; leggi che sono tali solo in senso sostanziale, e leggi che sono tali solo in senso formale. Secondo, pertanto, la costituzione italiana, e la costitu¬ zione di tutti gli Stati civili, il potere esecutivo ha facoltà di emanare norme giuridiche, che sono leggi in senso sostan¬ ziale. Solo, per la posizione subordinata che, in questa ma¬ teria, il potere esecutivo ha di fronte al Parlamento, questa facoltà trova un limite nelle leggi votate dal Parlamento. Il cne si risolve nel principio enunciato espressamente dall’arti¬ colo 6 dello Statuto, che le norme giuridiche emanate dal potere esecutivo, le leggi in senso sostanziale soltanto, non possono mai derogare alle norme giuridiche emanate dal Par¬ lamento, alle leggi in senso formale. * * * Il disegno di legge che il Governo presenta oggi alia Ca¬ mera non ha che questo scopo: disciplinare in modo organico e completo la materia delle leggi in senso sostanziale soltanto, la facoltà cioè del Governo di emanare norme giuridiche. Tale facoltà esiste, sempre è esistita, esisterà sempre in tutti gli ordinamenti giuridici. Il problema della sua disciplina non può essere che un problema di forme e di limiti. 132 — Che il problema sia divenuto in Italia, ormai, Urgente, è cosa da tutti riconosciuta. La Quantità enorme di decreti-legge, die il Governo è costretto ad emanare, e che ingombrano, per la loro conversione, gli ordini del giorno delle due Camere, sta a dimostrarlo. «È costretto,: è questa la vera parola. Non è affatto con animo lieto che il Governo ricorre a uno strumento giuridico cosi pieno di inconvenienti, come d decreto- legge. Ma, in verità, senza i decreticele non sarebbe o-gi possibile, nonché governare, neppure fare la più semplice deio amministrazioni ordinario. . . , E ciò principalmente per tre fondamentali ragioni, errilo mentre, da nn canto, l’Italia si andava demograficamente, economicamente, politicamente sviluppando, e il piccolo StahI uscito da) moto del Risorgimento era divenuto una grani e Potenza mondiale, mentre le funzioni dello Stato, per una evoluzione comune a tatti gli Stati moderni, si andavano mol¬ tiplicando, e la sua azione diventava sempre piu continua, multiforme e complessa, il campo della logge in senso formale, che avrebbe dovuto logicamente restringersi, si è andata man mano allargando in. modo smisurato. Bastava infatti che, o per motivi contingenti, o per er¬ rori tecnici degli uffici incaricati di preparare te leggi, o per Paniere delle minuzie e dei particolari che è molto comune ni Italia, o per la smania di tutto garantire e di vincolare ‘m ogni modo l’azione del potere esecutivo, ohe è stata caratteri¬ stica degli ultimi decenni, una materia fosse una volta regolata per legge o per decreto-legge, perchè essa non potesse essere toccata che da una legge. Particolarmente ha aggravato Questa situazione in modo intollerabile il largo uso dei decreti < e Sg¬ elativi fatti durante la guerra, e dei decreti-legge fatti i ti¬ rante la guerra e nell’immediato dopo guerra. In questi de¬ creti, per la facilità stessa con cui potevano essere emanati, venne spessissimo conglobata materia di legge e materia di regolamento; che, per il fatto solo di essere mia volta regolata per legge, diveniva definitivamente materia legislativa, in — 133 — modo ohe la sua disciplina giuridica non poteva piu essere mutata ohe per legge. Si giunse cosi alle più strane conse¬ guenze, e pr ilici palmento a Questa elio, in moni, nti di rapide trasformazioni economiche e sociali come Quelle che tutto il mondo attraversa, le quali richiedono il continuo intervento dello Stato, e un continuo evolversi della sua attività, ogni decreto-legge, vincolando alla disciplina legislativa la materia, creava la, necessità di nuove leggi o di nuovi decreti-legge. Siamo oggi così in un circolo vizioso, da cui non si 'può uscire che con una totale ed organica revisione di tutta la materia, . Il Governo è d’avviso che, per limitare entro i più * My ti confini l’uso dei decreti-legge, come non sono state sufficienti le predicazioni delie vestali del diritto costituzionale, cosi non sarebbero sufficienti i più severi divieti c le più severe sanzioni legislative. Il fatto su parer ebbe sempre la norma di diritto. Bisogna dunque, se si vuol veramente ricondurre l’ordine in questa materia, affrontare radicalmente il pi obli ina., il co (mudare, anzitutto, collo sgomberare il campo della legge propriamente detta, della legge in scuso formale, da tutte le materie, che hanno in sé scolpito il carattere regolamentare e da quelle che non sono neppure oggetto di legge ili senso sostanziale, ma sono semplici atti amministrativi di appro¬ vazione. A questo scopo intendono gli articoli I e 2 del di- segno dì legge. * * * Coll’articolo 1 si delimita il campo della facoltà rego¬ lamentare del Governo, e ciò senza esorbitare dalla dottrina e dalla pratica tradizionali, anzi, ritornando alla pratica dei primi decenni dell’applicazione dello Statuto, alla quale solo da alcuni si è venuto meno* Nell’articolo 1 si stabilisce, pertanto, che il Governo ha .facoltà di emanare norme per tutti obbligatorie (vale a dire — 134 — norme giuridiche in senso sostanziale) nei tre casi in cui tale facoltà gli era riconosciuta dalla dottrina e dalla pratica tradizionali. In primo luogo, per disciplinare l'esecuzione della leggi. È il caso già espressamente preveduto dall'articolo 6 dello Statuto del Begno, e in cui gli altri si possono, in fondo, far rientrare, perchè è il caso più generale. La disposizione del n. 1 dell articolo 1, oltre che un valore di principio si¬ stematico, renderà pure, d'ora innanzi, superflua quella dispo¬ sizione di stile, per cui il Governo del Be viene autorizzato a emanare per decreto Beale le norme esecutive delle varie leggi. Ai regolamenti contemplati in questo primo numero del- 1 articolo 1 corrispondono quelli, che nella dottrina si soglion chiamare «regolamenti esecutivi», di cui non sono che una sottospecie i « regolamenti delegati ». Si riconosce, in secondo luogo, facoltà al Governo di ema¬ nare norme giuridiche «per disciplinare l’uso delle facoltà deferite al potere esecutivo dalle leggi e dalle consuetudini ». Sono questi, i così detti «regolamenti indipendenti ». La loro legittimità non può essere dubbia perchè è chiaro che, dove c'è una facoltà, del Governo, ivi deve, a fortiori, esservi anche, la facoltà di autolimitarla e autodisciplinarla. Si è accennato, oltre che alla legge, alla consuetudine, perchè, nel campo del diritto pubblico, la consuetudine legis habet vigorerà: nel di¬ ritto pubblico italiano ad esempio il regime parlamentare fu sostituito al regime costituzionale, in deroga allo Statuto, appunto in forza di una consuetudine. Il n. o dell articolo 1, infine, riconosce espressamente al Governo la facolta di disciplinare, per regolamento, l'orga¬ nizzazione dell'amministrazione dello Stato e degli enti au¬ tarchici, eccettuati gli enti autarchici maggiori, come i comuni, le provincie, le istituzioni pubbliche di beneficenza, che, per la loro particolare importanza storica e politica, si ritiene op¬ portuno che siano in ogni caso regolati per legge. Siamo qui nel campo dei così detti « regolamenti di orga- — 135 — nizzazione », in materia cioè tipicamente regolamentare e che solo per motivi contingenti e di opportunità era, in fatto, divenuta in Italia da alcuni anni, materia di legge, mentre in Francia è, in gran parte, considerata come materia regola¬ mentare e disciplinata dai cosi dotti règlements d’adwiinìs tra - tion publique. Eppure, è questo il campo più fertile della legi¬ slazione, e quello che dà oggi il massimo contributo ai decreti- legge. Se si sfoglia, infatti, la Gazzetta Ufficiale , i nove de¬ cimi dei decreti-legge che vi sono pubblicati concernono ap¬ punto l’ordinamento degli uffici, gli organici, l’esercizio delle aziende statali, le loro tariffe, ecc., tutte materie che, in un grande Stato, che è anche una grande amministrazione, non è praticamente concepibile che siano regolate per legge. Nean¬ che in una grande società anonima l’ordinamento degli uffici, il trattamento del personale, i prezzi delle merci vendute o dei servizi resi al pubblico, sono sottoposti alla approvazione dell’assemplea dei soci, ma sono, di regola, materie riservate alla Direzione, o, al più, al Consiglio di amministrazione. E sarebbe da meravigliare che un principio cosi evidente, come quello enunciato nel n. 3 dell’articolo 1 del disegno di legge, già ammesso e riconosciuto in tempi, in cui lo Stato italiano era un piccolo Stato e l’amministrazione italiana una relativamente ancora piccola amministrazione, sia stato poi dimenticato proprio quando la struttura e l’azione dello Stato italiano incominciavano a divenire più complesse e più vaste. Ma il passaggio di molte di queste materie dalla facoltà le¬ gislativa del Parlamento si spiega col desiderio, che fu sentito da alcuni uomini di Governo più rigidi ed austeri, come il Sonnino, di porre un freno al moltiplicarsi degli uffici e delle funzioni dello Stato e all’allargarsi degli organici, sotto la duplice pressione delle tendenze prevalenti néll’opinioné pub¬ blica del tempo e della forza espansionistica della burocrazia. E fu, certamente, questo, proposito saggio ed opportuno. La -necessità dell’approvazione per legge costituiva infatti una • remora all’emanazione di provvedimenti, da cui potevano deri- - 186 - vare spese, sopratutto per le formalità necessarie all’approva¬ zione di una legge e alla necessaria lunghezza della procedura parlamentare. Si deve però riconoscere che i vantaggi inerenti a questa più lunga procedura sono oramai venuti meno, coll’introdu¬ zione della consuetudine dei decreti-legge, mentre all’aumento delle funzioni e delle spese costituisce freno piu efficace il generale indirizzo della politica governativa, e sopratutto il maggior prestigio e la maggiore autorità conquistata dallo Stato, che ne rende più valida la resistenza di fronte alla pressione degli interessi particolari. Sebbene il dubbio possa apparire infondato, si è reputato opportuno aggiungere, a maggior chiarimento dei limiti della disposizione contenuta nel n. 3 dell’articolo 1, che la facolta del Governo di disciplinare l’organizzazione e il funzionamento dei pubblici uffici, e l’ordinamento del personale ad essi ad¬ detto, non si estende all’ordinamento giudiziario, alla com¬ petenza dei giudici e alle guarentigie dei magistrati e degli altri funzionari inamovibili. Circa l’ordinamento giudiziario e la competenza dei giudici debbono conservare pieno vigore gli articoli 70 e 71 dello Statuto. Circa la guarentigia dei magistrati e degli altri funzionari inamovibili è chiaro che l’inamovibilità non avrebbe senso, se il potere esecutivo potesse a suo arbitrio mutare le norme che la disciplinano. Allo stesso modo si è dichiarato espressamente che la fa¬ coltà del Governo del Re di regolare l’ordinamento dei pubblici uffici, servizi e istituti e del personale ad essi addetto, non importa la facoltà di variare, con decreto Reale, la legge del bilancio. Quando i provvedimenti contemplati nel n. 3 del¬ l’articolo 1 importino un maggiore onere per il bilancio, la maggiore spesa deve essere in esso iscritta e approvata con la legge, che approva il bilancio. Si è voluto infine, con una chiara disposizione legislativa, consacrare ed accrescere le garanzie stabilite dai vigenti or¬ dinamenti per l’esercizio della facoltà regolamentare, stabi- — 137 — lendo, con l’ultimo comma dell’articolo 1, che le norme giuri¬ diche in esso contemplate non possano essere emanate, se non previa deliberazione del Consiglio dei ministri, in ogni caso necessaria e, salvo in caso d’urgenza, anche previo parere dei Consigli consultivi tecnici esistenti presso i varii Ministeri, competenti per la materia, e del Consiglio di Stato. L’articolo 2 disciplina una materia diversa, ma le ragioni che lo giustificano sono analoghe a quelle che hanno suggerito l’articolo 1. La facoltà di amministrare, che è propria del po¬ tere esecutivo, non può non comprendere la facoltà di contrat¬ tare. Oltre che esigenze pratiche evidenti, stanno a favore di questa tesi anche evidenti ragioni di principio ed appunto, in modo particolare, il principio della separazione dei poteri, per cui al potere amministrativo deve essere lasciata libera la fa¬ coltà di amministrare. Si viene così a modificare, fra 1 altro, le norme dell’articolo 21 della legge di contabilità generale dello Stato, che stabilisce la necessità dell’approvazione, per legge, dell’alienazione degli immobili dello Stato. Vecchia di¬ sposizione, che rispondeva a vecchie condizioni della economia e della finanza pubblica, quando si attribuiva alla proprietà immobiliare una importanza, rispetto alla mobiliare, che ha oggi completamente perduto, e quando i redditi patrimoniali rappresentavano una parte notevole delle entrate dello Stato, ciò che oggi non è affatto più vero. Ed è in realtà strano ed incongruo che il Governo possa vincolare contrattualmente lo Stato, per il valore di centinaia di milioni, quando si tratta di mobili, e non possa alienare immobili di infimo valore. La garanzia del parere dei Consigli tecnici, e del Consiglio, di Stato, non che della deliberazione del Consiglio dei mini¬ stri, prescritta dal 2° comma dell’articolo 2, sembra per¬ tanto, sufficiente. * * Fj.ii qui il problema dell’esercizio del vero e proprio po¬ tere legislativo da parte del Governo non è toccato. Si tratta sempre dell’emanazione di norme giuridiche non aventi forza di legge, vale a dire che non possono derogare ad una legge del Parlamento. Per le leggi che il Parlamento emanerà in avvenire, s’intende, chè per quelle emanate in passato, quando abbiano per oggetto materie deferite d’ora innanzi definitiva¬ mente al potere esecutivo, la possibilità della deroga è im¬ plicita in questo deferimento: e l’articolo 1, n. 3 lo dice espressamente, stabilendo che il potere esecutivo potrà rego¬ lare queste materie, quand’anche si tratti di materie fino ad oggi regolate per legge. Con queste disposizioni si viene, certo, praticamente, a limitare il bisogno delle possibili invasioni del potere esecu¬ tivo nel campo legislativo propriamente detto, ma rimane ancora aperta la questione se, ed in quali casi, il Governo possa emanare norme aventi forza di legge , norme cioè ca¬ paci di derogare a leggi del Parlamento. Gli articoli 3 e 4 del disegno di legge risolvono la que¬ stione. Per l’articolo 3, oltre che nel caso di delegazione (sul quale non può cader dubbio, e che è ricordato solo per ragioni sistematiche), viene riconosciuta al Governo la facoltà di ema¬ nare norme aventi forza di legge, quando si tratti di dare esecuzione, nel Regno, a trattati o convenzioni internazionali, eccettuati i trattati che importino variazioni nel territorio dello Stato, oppure oneri finanziari, pei quali l’articolo 5 dello Statuto prescrive la presentazione alle Camere. Come tutti sanno, l’articolo 5 dello Statuto stabilisce che il Re « fa i trattati di pace, d’alleanza, di commercio ed altri dandone notizia alle Camere tosto che l’interesse e la sicurezza - 189 — dello Stalo il permettono » o richiede Fassemo delle Camere ’^-dn per 1 trattati << che importassero un onere alle finanze o variazioni di territorio dello Stato ». In. realtà la prerogativa sovrana sancita dall'articolo, era in pratica, annullata, o, per lo meno, paralizzata dalla interpretazione clic a tale articolo hanno dato la dottrina e la pratica costituzionali. Sta bene, si è detto, che il ite possa stipulare trattati internazionali : con tali stipili azioni lo Stato italiano assume una obbligazione giu¬ ridicamente perfetta verso lo Stato straniero contraente; ma, se T per avventura, il trattato Importa una modificazione alla legislazione interna, esso non avrà effetto, finché non sia in¬ tervenuta una legge del Parlamento. Sarà bensì, perfetto 1/obbligo per lo Stato italiano di fare Questa legge : ma per effetto del trattato la legislazione interna non è, senz’altro, modificata. Accade cosi che gli ordini del giorno del due rami del Parlamento siano quotidianamente ingombri dai disegni di legge di ratifica di una quantità grande di trattati e conven¬ zioni internazionali, spesso di poca o ninna importanza, che si approvano senza discussione. E anche in questo campo inter¬ viene normalmente il decreto-legge. Consacrando legislativamente la facoltà del Governo di dare esecuzione, con un decreto, ai trattati internazionali, che è di sua competenza approvare, si dà efficacia pratica ad una disposizione statutaria e si sgombra il campo legislativo propriamente detto da un'altra materia che alimenta, senza una sufficiente ragione, il getto contìnuo dei decreti-legge. Eliminate cosi le scorie, restano le sole materie essenziali, che debbono riservarsi al Parlamento: le materie veramente legislative: tutela delle libertà individuali, imposizione dei tri¬ buti, stanziamenti dì spese, coscrizione militare, disciplina dei rapporti privati, trattati internazionali importanti variazioni dì territorio o spese, e via dicendo: tutte, insomma, le ma¬ terie non contemplate negli articoli 1, 2, 3. Per queste materie cosi ridotte, deve tenersi forma la regola della competenza esclusiva del Parlamento. Sono ma¬ terie da regolarsi per legge, e la cui disciplina giuridica non può essere variata che da un'altra legge. Tuttavia, poiché come si è detto, nessuna norma può es¬ sere superiore alla legge suprema della necessità, anche in questi casi non può escludersi la facoltà del Governo di as¬ sumersi i poteri del Parlamento, e di emanare norme aventi forza di legge, quando urgenti necessità di Stato richiedono . Salus valica suprema lex. Il sentimento, diffuso nella pubblica coscienza, che oc¬ corra senza indugio definire i limiti entro i quali possa, se¬ condo Pordinamento giuridico in vigore, ammettersi una spon¬ tanea ed autonoma sostituzione del Governo al Parlamento, nei casi di necessità urgente, per regolare materie discipli¬ nabili solo per legge, indusse già un numero cospicuo di membri del Senato a presentare, nella decorsa legislatura, una proposta di legge sulla conversione dei decreti-legge (1). Tale proposta, svolta e presa in considerazione nella tornata del 15 marzo 1922, diede luogo ad una elevata discussione in seno a quel ramo del Parlamento, nelle sedute dal 26 al 31 maggio e del 14 e 15 giugno 1923, e fu da esso approvata; ma il disegno, trasmesso alla Camera dei deputati, decadde con la chiusura della legislatura e non fu più ripresentato. Come è noto, la legislazione italiana non prevede espres¬ samente la forma di legiferare, mediante decreto-legge, ma questa, sotto Passillo delle necessità pratiche, si è venuta m fatto svolgendo sino dai primi anni della costituzione del Regno, alPinizio in esigua misura, poi in proporzioni sem¬ pre crescenti fino a raggiungere in qualche anno il numero di parecchie centinaia di decreti-legge, sulle più diverse ma¬ terie del diritto pubblico e del diritto privato, esclusa sol- (1) Atti parlamentari del Senato del Regno , Legislatura XXVI,. la Sessione 1921-22, Doc. n. 345. — 141 — tanto l’approvazione dei bilanci e la materia elettorale nella parte più essenziale (1). * * * In molte legislazioni straniere, è invece consentito espres¬ samente al Governo l’esercizio straordinario del potere le¬ gislativo, con diversi limiti di contenuto o di forma e con varia efficacia. Le vecchie costituzioni della Germania (esclusa quella dell’ Impero del 16 aprile 1871) prevedevano, in generale, la facoltà della emanazione di ordinanze d’urgenza da parte del Governo, con forza di legge (2). Anche la legge fonda- dì Per una elencazione e distinzione dei decreti-legge a seconda dell’ anno di emanazione e della materia disciplinata, vedasi la relazione dell’ Ufficio centrale del Senato sulla ricordata proposta di legge per la conversione dei decreti-legge. Atti parlamentari del Senato del Iteqno la Sessione 1921-22, Doc. n. 346 -a, relatore Scialoja. L enorme quantità di decreti ha indotto il Parlamento, a due «prese per sgombrare il terreno dei lavori, alla convalidazione in blocco di quell ormai non più in vigore, o aventi contenuto già superato dal tempo^ ovvero di scarsa importanza : ciò che fu fatto con le leggi « « > “'“r del 18 luglio, 31 agosto 1859, § 20, e dell’ Ondenburg del 22 “° ve “ bre 1852 articolo 132. La Costituzione della Sassonia del 4 Settembre 18 , di emanare ordinanze, da presentarsi alla ratifica parlamentare nella mima rTunione, quando fossero richieste dal bene dello Stato, che non immettesse indugio e purché non modificassero la Costituzione o le le 6 cap. 1); del? Oldenburg, del 11 giugno 1919 (§ 37); del Wiirtemberg, del 25 settembre 1919 (§ 46); dell 1 Assia, del 12 dicembre 1919 (art. 9); del Meekkmbiug-Scbwcrin, del 17 maggio 1929 (| Gl); della Tu ri ngia, dell 1 11 marzo 1921 (§ 33) o deU'Ànhalt del 18 luglio 1919 0 44). In aitei Stati di Europa» sono attribuite ai Governi ana¬ loghe facoltà. Nella. Svizzera, il Consiglio federalo, in caso di urgente ne¬ cessità, può, a Camere chiuse, chiamare k truppe sotto le anni e provvedere per la sicurezza c lordine dolio Stato, salva la immollata convocazione d- IT Assemblea foderale (Co¬ stituzione federale svizzera del 29 maggio 1874, §■ 102). Nel Portogallo, la nuova Costituzione del 21 marzo 1911 (art. 87) dà al Governo la facoltà di emanare, a Congresso- chiuso, con forza di legge, i provvedimenti che riterrà ue- nessari ed urgenti per le provincia di oltremare, salvo ren¬ derne conto al Congresso, alla sua riapertura* Sìmili dispo¬ sizioni conteneva l'ateo aggiuntive del 5 luglio 1852 (art. 15) alla precedente costituzione monarchica del 19 aprile 1826; e onesta, a sua volta, aveva sulla materia l’articolo 115 (§ 34)* La Costituzione spaglinola del 30 giugno 1876 (art, 17) consente al Governo, nel caso di grave e notoria urgenza e quando le Cortes non siano riunite, il potere di sospendere le garanzie stabilite dagli articoli 4, 5, 6. 9 e 13 (§ 1, 2 e 3) (1); purché ciò sia richiesto in circostanze straordinarie dalla si¬ curezza dello Stato e il provvedimento sia sottoposto il piu presto possìbile all 1 approva zio ne delle Cortes. La Costituzione danese del 5 giugno 1849 (§ 25) attribui¬ ate al He, in casi di particolare urgenza, a Parlamento chiuso, (1) Tali garanzìe sono la libertà personale, inviolabilità del domi- ■ silio, la scelta di residenza, la libertà di parola, di stampa, di ri unione 9 dì asso ci azione* — 145 — la facoltà di emanare leggi temporaneo, non contrarie allo Stato, salvo Pobbligo di presentarle al Parlamento alla prima convocazione. Fra le Costituzioni più recenti, quella della Repubblica polacca del 17 marzo 1921 (art, 124) consente al Consiglio dei ministri di decretare, con rautorizza-zioue del presidente della Repubblica, la sospensione temporanea dei diritti di libertà individuale, di stampa, di coalizione e di associazione (articoli 47, 10 Q t 105 r 103 e 108) nel caso di guerra o di pe¬ ricolo di guerra o nel caso di gravi torbidi e conflitti interni. Il decreto, che promulga lo stato dì guerra, deve, essere imme¬ diatamente sottoposto alla sanzione della Dieta, la quale può riunirsi di diritto: e cessa di aver vigore se ne è rifiutata Fapprovazionc. Notevole è la Costituzione della Cecoslovacchia del 29 feb¬ braio 1920 ($ 54), la quale affida a un Comitato permanente, eletto dalla Camera fra I deputati e i senatori e che sosti¬ tuisco 1 ? Assemblea nazionale durante il periodo in cui è chiusa, la facoltà di deliberare, su proposta del Governo, con Tap- provaziono del presidente della Repubblica, disposizioni ur¬ genti, aventi forza provvisorio, di legge, tranne che per* mo¬ dificare le leggi costituzionali, eleggere il presidente della Repubblica o dichiarare la guerra ed escluse le materie finan¬ ziarie. 11 presidente del Comitato, nel La prima seduta del Par¬ lamento, deve rendere conto dei provvedimenti presi; e que¬ sti cessano ipso jure di avere forza di legge se iloti sono ratificati enfio i successivi due mesi. Anche non pochi Stali fuori di Europa consentono al Governo, in date contingenze* Pomari azione dì provvedimenti, aventi forza provvisoria di legge (1). (1) In genere si tratta di provvedimenti intesi i\ sospendere le garanzia costituzionali, per gravi esigenza di ordine pubblico : costitu¬ zioni della Repubblica Argentina, del 22 settembre 1860 (art. 8G* n. 19); della Bolivia del 1,7 ottobre 1880 (art 2G)- del Brasilo, del 24 teb- \o — 146 — In Inghilterra* U BUI dei diritti deìhanno 1689, capi¬ tolo XII, stabilì solamente che il Governo non potesse sospen¬ dere le leggi o la esecuzione dì esse e dichiarò illegale il preteso potere di dispensa dalle leggi per autorità regia. Tuttavia, ammise che tale facoltà spettasse al Governo quando fosse permessa da uno Statuto e nei casi che fodero singolar¬ mente previsti in ima o più leggi da emanarsi nelP allora cor¬ rente sessione del Parlamento. Però, la legge speciale non fu mai fatta; ed il Governo provvide, sotto la sua respon¬ sabilità, ad emanare, anche in seguito, ordinanze della Corona in Consiglio dei ministri da presentarsi al Parlamento per la ratifica: cd il Parlamento assolse, caso per caso, mediante un braio 1891 (art. 80 ]; del Paraguay, del 25 novembre 1870 (art. 1G2 n. lì)', del Guatemala, dell 1 11 dicembre 1879 iart L 77, n. 118); deb PEquntore, del 98 dicembre 1906 lari. 81 e 83).; del Nicaragua, del 80 marzo 1905 (art. 80); del Salvador, del 13 agosto 1886 farL 90, n. 16) ; della Columbia, del 4 agosto ISSI l'art. 1$1) ; di Cuba, del 21 feb¬ braio 1901 (ari 40, 92 e 68, n. 11); e degli Stati Uniti del Venezuela, del 27 aprile 19Q4 (art. 90). Degna di nota è la Costituzione Messicana, del 5 febbraio 1857 (art. 291, la quale conferisca al Presidente dalla Repubblica, d’accordo col Consiglio dei Ministri e con l’approvazione di una Deputazione permanente, composta di un Deputato per ciascuno Stato o territorio (nel caso che il Congresso non sia riunito}, la facoltà di sospendere temporaneamente le garanzie costituzionali nel caso di gravi contin¬ genze. La Repubblica di Costarica (Costituiione del 7 dicembre 1871, riformata nel 1905, art. 92 o 98) attribuisce direttamente ad una Com¬ missione permanente, durante la chiusura del Congresso legislativo, la facolta di sospendere gli ordini costituzionali, in caso di guerra o sommossa, nonché di emanare, su proposta del potere esecutivo, de¬ creti urgenti da sottoporsi al Congresso nella sua prossima riunione. Il Giappone (Costituzione dell 1 11 febbraio 1889, articolo 8) rico¬ nosce all’imperatore, dorante gli intervalli delle sessioni del Parla¬ mento, nei casi di urgenti necessità, per mantenere lordine pubblico o per evitare una pubblica calamità, il potere di emanare ordinanze imperiali con forza di legge. Esse però debbono essere sottoposte ni Parlamento nella sua prima seduta e debbono dichiararsi decadute dal Governo se il Parlamento non le approva. — 147 - bill d* indennità, i ministri dalle responsabilità assunte, di derogare alle leggi e di sospendere l’osservanza, I de ereti¬ cateli aedo, in materia doganale, si sogliono poi emanare nel giorno stesso in cui il disegno dì legge viene presentato al Parlamento e approvato in prima lettura. In Francia, la costituzione del 1830 (a differenza di quella del 1814, che aH'artÌGolo 14 attribuiva al Governo, accanto al potere regolamentare, la facoltà di emanare le ordinanze ne¬ cessarie per la sicurezza dello Stato) stabili recisamente, al¬ iarti colo 13, che il Re fa ì regolamenti o le ordinanze ne¬ cessarie per resocnzione delle leggi senza potere mai nè sospen¬ dere lo leggi stesse, nè dispensare dalia loro esecuzione. Però, nonostante il divieto, si ebbero anche successivamente decreti- logge; e vi ha la tendenza in dottrina a consentire ai Governo, in circostanze assolutamente eccezionali, quando il Parlamento non possa o non voglia riunirsi, il potere di emanare provve¬ dimenti d'urgenza, aventi forza di legge, presentandoli al Parlamento appena si riunisca, per la ratifica. Di tale potere è stato fatto uso molto limitato. * # iK L-esame sintetico delle legislazioni estere sull Argomento mette in luce, che, in molte di esse, l'ordinanza d’urgenza è prevista in relazione allo stato d'assedio, ipotesi che si è ri¬ tenuto non richieda in Italia l'emanazione di decreti-legge, rav¬ visandosi a ciò sufficiente Pinterpretazione analogica del Co¬ dice penalo militare e del regolamento sul servizio di guerra. Di solito, è ammessa la facoltà di legislazione straordi¬ naria, nel Governo, solo a Parlamento eliiuso (1), con bobbi igo, (X) Costituzioni della Spagna, Svizzera, Danimarca, Ànhalt, Assia, Baden, Baviera, Mecklenburg — Schwerln, Oldenburg, Prussia, Sasso¬ nia, Turinola, WiLrfceibberg, Argon tim. Brasile, Cuba, Paraguay, Sal¬ vador e Giappone, II — 148 - assoluto* di presentare Porrìinanza d'urgenza al Parla¬ mento, alla sua prima riunione, e spesso anche con la preserie rione della revoca immediata dell'ordinanza eh ■ non sia stata ratificata. Talora è pòi comminata la decadenza della effica¬ cia legislativa delTordinanza* sp non sia stata ratificata entro un dato tempo. lì silenzio delta legislarione italiana ha fatto sorger,: e discutere Largamente la questione se sia ammissibile Tema- nazione di decretideg'ge da par tri del Governo e se ^autorità giudiziaria possa dare ad essi applicazione (1). Una tendenza dottrinale nega assolutamente la legalità e Tappi inabilità giudiziale dei decreti-legge. Tale opinione, salvo vedute speciali, è accolta dal seguenti scrittori; G am¬ be rtni, / decreti d'ur&emth Bologna, 19413, pag, 5fi e segg.: fi) Un 1 ampia bigi io grafi a sull 1 argomento è esposta nella relazione della Commissione della Camera elei deputati , dottata dal deputato Codaeci-PÌEaue]li r sul disegno per la conversione in legge, con appro¬ vazione complessiva, di decreti luogotenenziali e Regi aventi per oggetto argomenti diversi. Atti Parlamentari delia Camera dei depu¬ tali, Legislatura XXVII, Sessione 1924, Documento n, 4G-À a pagina XL-IV. Agli scrittori ivi elencati devonsi aggiungere, tea gli altri; D 1 Ama rio, L’ordinanza, d’urgenza, Torino 191)7 ; Sabini, La funzione legislativa e i decreti-legge, Roma 1923; U&entì, / decreti-legge in materia penale, in t Riv. di dir, pròc. pon. », 191.5, I, 705 ; Bbnsa, Dei Sindacato giudiziario rispetto ai decreti legge in « La Corte di Cassazione», 1924,11, pag. 149; Curisi, Regolamento giuridico del Governo Parlamentare in * Riv, di dir. pub », 1925, I, pag, 175; Orlando, Ancora dèi decreti-legge, in a Riv. di dir, pub, », 1925, I, pag. 209 ; Brunsbli, / decreti legge e il potere giudiziario in « Riv, di dir, pub, », 1925, I, pag. 210, e 8 t D' Amelio* Ancora dei decreti-legge, e Sulla polonica circa i decreti-legge, in * Riv, di dir. pub, », 1925, L pag. 8S e segg, e 224 e segg,, oltre ohe in varie note a sentenza nella stessa Rivista. 149 — Galeotti, Facoltà legislativa del Governo, in Legge 1890, pag\ 171 e segg. : Cammeo, Della manifèstazione della vo - lontà dello Stato nel campo del diritto PW'i? irai ivo , Mi¬ lano, 1901, nel volume III del Primo Trattato completo di diritto amministrativo, diretto <1 ni 1 1 0 elamd o, pag. 193 e segg.; Lrssona, La legalità della norma e il potere giudiziario, Firenze, 1900, pag, 39: Lucchini, Il decreto-legge mi prov¬ vedimenti politici, in « Rìv. pcn. i> 1899, pag. 125 e seggo ; Racioppi, Il potere giudiziario nel Governo costituzionale, Roma, 1900, pag* 32 e segg., e Commento allo Statuto del Re¬ gno, Roma, 1901, pag. 396 e segg, ; Oerctello* L ! amrnissibPJfà dei decreti-legge, ece ,, in «. RIv. di diritto pnbb. », 1921, fase. 5-6, v La questione dei deereMÀegge, in « Giur. ifc. », 1922* IV, fase* 114; Biotto-Pintor, Correnti di pensiero dot¬ trinali, parlamentari e giurisprudenziali a proposito dei de¬ creti-legge, in «Foro iti.» 1923. col. 2 e segg.; Lombardo- Pellegrino, Il diritto di necessità nel costituzionalismo giu¬ ridico, Roma, 1903; Plesltti, istituzioni di dir. cosi., Napoli; 1922, 152 pag. 224-225: Okrei, Regolamento giuridico del Governo porla)ventare in «Rivista di diritta pubblico », 1925. I, pag. 175. Altri autori, invece, ammettono, in genere, la legittimità dei decreti-legge nel caso di necessità, salve particolari vedute sulla esistenza di questo requisito: Copacci-Pisanelli, Sid- Tordinanza diurgenza, negli « Scritti di dir. pub. » Città di Castello, 1900, pag. 77 e segg, ; Orlando, Principi di dir. cosi., Firenze, 1915, n. 299 e 300, e Àncora dei decreti-legge in « RIv. dì dir. pubb, », 1925, I, pag. 209 c segg.; R Rum alti. Dir. cosi., voi. II. p. 942 e segg. e 958 e segg.; Vacche lli, La difesa giurisdizionale dei diritti del cittadino r ece., m voi. rii, Trattato dell 1 0 blando. pag. 333 e fseg-g.; o 485; L. Rossi, Il decreto-legge, eco.» in «Tomi», Veneta, 1899; pag, 509 e seg. e 525 e s egg*; timo venda. Principi di diritto proces¬ suale, pagina 383; Bolivelli, I decreti-legge, eco.* in « Riv, dir. pubb, »* 1925, T, pag, 219. — 150 — Ammettono del pari la legittimità dei decreti-legge nel cato di urgenza o di necessità e non consentono neppure il sindacato giudiziario o lo consentono solo ìli limiti angusti: Rane eletti, La polizia di sicurezza, nel Voi- IV, Parte prima del Trattato dell 1 Orlando, pag, 1202 e segg, 1200, 1245 e Lezioni di diritto amministrativo, Napoli, 1921, rag. 47 e segg.; Morelli, II Re, Bologna, 1899, pag, 703 e segg\: S. Romano, Saggio di una teoria sulle leggi di ap protrazione, Milano, 1898, pagE 19, 37 a 39 e / decreti-legge, eec.; in «Riv. di dir. pubb. » 1909, I, pag. 269 e segg., 270 e segg.; Mortala, Ownmentario, Voi. I. n. 91, e segg. ; Rovelli; Su, Itt legittimità dei decreti-legge, in Foro it, » 1922, I, 562 ; e lì valore dei decreti-legge in alcune sentenze, Pavia, 1923; V. Scialo.ia, Relazione citata', Tommasqne, In tema di de credi- legge t nella « Riv. di politica economica Roma, 1922; e S. D'Amelto negli scritti pubblicati in tc Riv. di dir. pubb. » T 1925, pag. 88 e segg., e 224 e segg. A confortare ropinione della legittimità dei dm-reti-legge nella legislazione italiana, si è affermato che essi possono ritrovare l ? addentellato costituzionale nell'articolo 6 dello Sta¬ tuto, nella cui redazione (che riproduce quasi letteralmente Partitolo 13 della Costituzione franesao del 1839), a differenza della costituzione di Napoli e di Toscana del 1848, è stata aoppressa la parola giammai del testo francese. Col tempe¬ rare la recisione del divieto, posto al Governo, di sospendere Fosservanza delle leggi o di dispensarne, si sarebbe inteso di mantenere la possibilità di atti eccezionali, i quali avessero lo scopo, non di mutare la Costituzione, ma di jìiovvedcrc a straordinarie esigenze, non suscettibili delle forme legislative ordinarie. A codesta asserzioìie si è opposto non solo che dal processo verbale del Consiglio di Conferenza, convocato dal Re Carlo Alberto II 7 febbraio 1848, non risulta affatto Tin- tendìniento presunto, ma che ne risulta uno contrario. D'altra parte, se anche così non fosse, rargomento potrebbe giusti fi - Care soltanto la eccezionale sospensione della legge vigente, — 151 — non la co sii tu rione di una legge nuova, ciò che di solito produce il decreto -legge. A sostegno della stessa opinione, si è detto elio i decreti - legge costituiscono una semplice anticipazione dell’atto legi¬ slativo con valore provvisorio, condizionata alla ratifica parla¬ mentare. Ma si è osservato in contrario ohe, anche cosi con¬ cepito, Il dee reto-legge importerebbe pur sempre una sospen¬ sione della legge vigente prima della sua emanazione, so¬ spensione vietata dall'articolo ti dello Statuto, Inoltre, anche il concetto di legge condì rionale è apparso contrario allo Statuto, il quale non ne ammette la nozione; ad ogni modo non potrebbe un decreto-legge, sotto questo profilo, legitti¬ mamente costituire, abrogare o modificare leggi e creare per¬ sino giurisdizioni speciali, come in pratica è largamente avvenuto. Hi è inteso per altra via di ricondurre 1 decreti-legge alio Statuto con raffermare che, nel caso d urgenza, il Gabinetto assume la rappresentanza del Parlaménto, del quale è una. emanazione. Ma si è obbiettato : che il. Gabinetto è solo in¬ direttamente una emanazione del Parlamento, anche nell 1 at¬ tuale regime, e che dallo Statuto non si può derivare, anzi resta escluso 'qualsiasi mandato espresso o tacito, di as- sun rione straordinaria di facoltà legislativa da parte del Governo * D'altra parte, male si attaglierebbe, poi, ai rapporti fra potere legislativo e potere esecutivo, nella materia concreta, la figura giuridica delia gestione degLi affari altrui, Nè In¬ fine si è ravvisata fondata la concezione per la quale il de- orato-legge è da considerare come un atto legislativo, se¬ condo lo spirito dello Statuto, per la ragione che il Ite, quando l approva un decreto-legge, esplica la sua potestà di parte del potere legislativo, e non già di Capo del potere esecutivo. In¬ vero, la forma delimito e la dichiara rione, in esso eon tenuta, della presentazione al Parlamento por la conversione in logge, escluderebbero la intenzione Regia di sanzionare una legge e MB — 152 — dimostrerebbero quella* diversa, di emanare un ordine come capo del potere esecutivo, Eifcenuti sterili i tentativi di fondare su testi positivi di legge la facoltà governativa di emanare decreti-legge, si suole in generale ammettere che i decreti-leggo es.ono dalla cerchia delle particolari attribuzioni costituzionali del Governo, però essi trovano, in fatto, la loro guistin e azione nella necci* sita, k quale diventa suprema ragione di agire per il Governo nell'interèsse dello Stato. E codesta concezione e state autore¬ volmente integrata da un’altra costruzione giuridica (1) : Topimo iurh atque mcesdiMix t con cui la coscienza giuri¬ dica dei popoli accompagna questi atti di legislazione straor¬ dinaria del potere esecutivo, li a creato una nonna costitu¬ zionale, non scritta, che attribuisce al Governo la facoltà di emanare gli atti stessi, al di fuori del termini della legisla¬ zione vigente, con forza di legge. Tale norma li a, assunto tutti i caratteri di una vera consuetudine, per consenso prestate dal Parlamento, salvo qualche singola ed isolata protesta, per ben séssantacinque anni, per acquiescenza di popolo e per e- splicito riconoscimento del potere giudiziario. Lo dato di ne¬ cessità e la consuetudine sono pertanto oggi ritenuti dalla dottrina di gran lunga prevalente, sufficiente giustificazione teorica deir uso dei decreti-legge. é * » La lunga serie dei decreti-legge, emanati dall'inizio della Costituzione del Regno, ha posto alla magistratura la questione dell'applica biJ ita di codesti atti del Governo, La prima sentenza che affrontò e risolse la questione (2) (1) Scià lo j A, Relaziona citata, Atri parlamentari del Senato del Regno f Legislatura XXVI, Documento n, ;i45“ A, pagina 25 e seguenti, (2) ÌCrronoamenfco ei suole citare, come prima sulla materia, la sentenza dalla Corte di Cassazione di Milano del 7 giugno 18tìG (Giusti — 153 — fu quella della Cassazione di Roma, a Sezioni unite, del 17 novembre 1888 (Foro Hai., 1890, I, 8), che riconobbe al potere esecutivo la facoltà di emettere, anche in materia legislativa, decreti Reali, solo però in via d'urgenza e con riserva di pre¬ sentarli al Parlamento per la conversione in legge: ne rav¬ visò il fondamento nella invincibile necessità di fatto, che diventa suprema ragione di diritto. Codesta potestà straordi- dinaria del Re non viola lo Statuto, in quanto il potere ese¬ cutivo, adducendo la urgenza di provvedere e facendo riserva di presentare il decreto al Parlamento, interpreta la volontà del Parlamento e solo ne anticipa Fazione. A questa sentenza si richiamò la Corte Suprema con Pal- tra, pure a Sezioni unite, delP 11 maggio 1896 ( Giur. U ., 1896, I, 1, 467); e nello stesso senso decise la detta Corte (se¬ zione penale) con la sentenza 29 dicembre 1899 (Foro it. 1900, II, 50). Nel caso poi che si tratti di decreti procla¬ manti lo stato di assedio per ordine pubblico, la Cassazione, in sede penale, li ha ritenuti legittimi, indipendentemente dalla clausola della presentazione al Parlamento (sentenze 19 marzo e 11 luglio 1894 in Giur. it. 1894, II, pag. 134 e 249; 22 agosto e 25 agosto 1898, ivi 1898, II, 275, e 276 ed altre sentenze ricordate in Gamberini, op. cit. pag. 43, nota 78). Con la sentenza del 26 febbraio 1916 (Giur. it. 1916, II, 359), la Cassazione, in sede penale, proclamò ancora la massima adottata dalle precedenti decisioni e già confermata con la sentenza 9 settembre 1915 (in Foro it. 1915, 18), che aveva dichiarato la insindacabilità della necessità e dell’ur¬ genza da parte dell’autorità giudiziaria. Così pure avevano deciso la Sezione di accusa di Venezia (sentenza 22 giu¬ gno 1915 in Riv. Pen., voi. 82, pag. 473) e decisero di poi it., 1865, I, 365), la quale invece riguarda, non nn decreto-legge, ma il titolo 8° del Regolamento doganale 29 ottobre 1561, n. 304, che stabiliva pene per contravvenzioni non prevedute dalla legge. — 154 — il tribunale Supremo di guerra e marina (sentenza 12 giu¬ gno 1916 in Biv. pen ., voi. 84, 352) e la Corte Suprema a Se¬ zioni unite con la sentenza del 10 giugno 1918 ( Giur. it. 1918, I, 1, 654) (1), la quale ultima affermò che l’atto emanato in 52 casi d’urgenza e con la clausola della conversione in legge investe solo la responsabilità politica del Governo, il cui giudizio è riservato al Parlamento. Pinchè il Parlamento non si è pronunziato, il decreto- legge deve produrre tutti gli effetti giuridici della legge approvata dai due rami del Parlamento e sanzionata dal Re. Tuttavia, forse sotto l’influsso di una opinione dottri¬ nale (2), che affermava doversi la validità del decreto-legge ritenere subordinata alla condizione che alla riapertura del Parlamento fosse sciolta in un congruo termine la riserva della sua presentazione per la ratifica, si era delineata nella giurisprudenza la tendenza ad un certo controllo formale sui decreti-legge. La Cassazione di Roma, in sede penale, con sentenza 20 febbraio 1900 {Giur. It ., 1900, II, 54), a pro¬ posito del decreto-legge 24 giugno 1899, n. 226, ritenne che questo, poiché era stato presentato al Parlamento per la conversione in legge, era un vero e proprio disegno di legge con la sola limitazione che le disposizioni di esso, una volta convertito in legge, avrebbero dovuto andare in vigore il 20 luglio 1899. Ma poiché la sessione era stata chiusa prima della discussione del decreto, il quale non era poi stato ripresentato al Parlamento, il decreto stesso era caduto nel nulla e non poteva più essere applicato. Insieme a codesta •sentenza, che inesattamente confondeva un decreto-legge col (1) Nello stesso senso giudicarono pure il Tribunale delle acque di Firenze 'sentenza 24 gennaio 1929 in Foro it ., n. I, 819), la Corte di appello di Bologaa (sentenza lo dicembre 1921, ivi, II, 90) e la Corte di appello di Milano (sentenza 9 luglio 1922 {Foro it., I, 1908). (2) Mortara, Commentario cit. voi. I, n. 91 a 98; Orlando, Il diritto pubblico ecc., in « Archivio di diritto pubbl. », voi. VI, pagina 27-28 ; e il Morelli, Il Re, citato, pagina 707 e 708. — 155 — progetto di legge presentato al Parlamento per la sua ra¬ tifica, è da ricordare l’altra della Corte medesima, a Sezioni unite, del 22 giugno 1909 (Giur. it., 1909, I, 1, 688), che dichiarò la competenza dell’autorità giudiziaria a decidere se abbia vigore di legge un decreto, dato che ancora non abbia avuto luogo la sua presentazione al Parlamento per la conversione in legge. In concreto, ritenne pero essersi veri¬ ficata la ratifica implicita del decreto in esame. La tendenza giurisprudenziale si accentuò dipoi maggior¬ mente. Il tribunale di Ferrara, con sentenza 20 ottobre 1921 (Foro it., 1922, III, pag. 30), dichiarò senz’altro che i decreti- legge sono contrari al diritto, e l’autorità giudiziaria deve loro negare l’applicazione ; e negò, in tale presupposto, la costituzionalità del decreto-legge 2 ottobre 1921, n. 1321, che censurò di violazione all’articolo 2 del Codice penale. Tale sentenza fu tuttavia riformata dalla Corte di Appello di Bologna, con sentenza 15 dicembre 1921 (Foro it., 1922, II, 90) a sua volta confermata dalla Cassazione di Roma in sede penale (sentenza 27 gennaio 1922 in Foro it., 1922, II, 113), che dichiarò il principio della insindacabilità dei de¬ creti-legge da parte dell’autorità giudiziaria e la costitu¬ zionalità di quello impugnato. Nello stesso tempo, però, la Corte medesima, a Sezioni unite (sentenza 24 gennaio 1922, in Giur. it., 1922, I, 65), affermava che l’autorità giudiziaria può sindacare i decreti- legge e negare applicazione a un decreto se non consti della sua presentazione al Parlamento per la conversione in legge, e può altresì negarla quando l’urgenza di provvedere in forma eccezionale sia esclusa dal fatto che il decreto-legge sia stato sanzionato pochissimi giorni avanti la riconvocazione del Par¬ lamento e pubblicato parecchi giorni dopo la detta con¬ vocazione. Analogamente, la stessa Cassazione a Sezioni unite (sen¬ tenza 13 marzo 1922, Giur. it., I, 298) riteneva esclusa l’ur¬ genza in rapporto al decreto-legge 19 novembre 1921, n. 1724, — 156 - perchè emanato pochi giorni prima della normale convoca ~ rione del Parlamento, lì pretore urbano di Torino, con sentenza 22 giugno 1922 ((riur. ii, f 1922, n, 337), negava rapplieazione al decreto- ieggre 21 aprile 1919, n, G03 s affermando che l’autorità giu¬ diziaria ha il dovere di sindacare l'estremo della urgenza, il quale è da riconoscere inesistente quando la materia rego¬ lata è tale da escludere, per se stessa, questo estremo: e lia pure il dovere di non dare applicazione a un decreto-legge quando non sia stato presentato al Parlamento per la con¬ versione in legge. La sentenza fu però riformata da altra del tribunale di Torino, in data 19 ottobre 1922 (Giur. ii. f 1922, II, 369), ohe affermò il principio della in sindacalo [ito dei decreti-leggi da parte dell'autorità giudiziaria, e la co¬ stituzionalità del decreto in questione. Infine, la Corte di cassazione ( Sezioni:* fanale), con sen¬ tenza 30 dicembre 1922 (Giur. iL. 1923, [I, 1), dichiarava che il decreto-legge, se pure abbia autorità provvisoria di legge, non possiede i requisiti di questa, nel senso dell'articolo 1 del Codice penale, essendo la sua autorità soggetta a con¬ dizione risolutiva. Tale circostanza fa ritenere ineseguìbili, in pendenza della condizione, le sanzioni penali stabilite nel decreto, non potendo esso applicarsi se non in esecuzióne di una legge formalmente e ‘ sostanzialmente perfetta. Era cosi accolto il principio che la soluzione della, questione dtdl'of- ficaem del decreto-legge deve differenziarsi a seconda che essa sia esaminata dall’organo della giurisdizione civile o da quello della giurisdizione penale; ed il principio veniva poi riaffermato dalla stessa Cassazione in sede penale con la sentenza tl giugno 1923 (Giur, iL, 1923, II, 290), che di¬ chiarava non potere l’autorità giudiziaria applicare sanzioni penali contenuto in un decreto-legge prima che, con rat¬ tenuta convaiidazione del Parlamento e del Re, abbia otte¬ nuto autorità definitiva di legge a norma delPartieolo 3 dello Statato. — 157 — Ma l'antinomìa fra i giudicati della Corte suprema circa Papplicabilità immediata dei decreti-legge in materia civile, sempre che ne riconoscesse esistenti i requisiti formali atti a dimostrarne la urgenza, e la in applicabilità angolata di essi, ili materia penale, fino alla loro conversione in legge — anti¬ nomia menno ili a bile con 1-accolto riconoscimento, in ogni caso* delia facoltà da parte del Governo, di assumere eccezional¬ mente la funzione legislativa — non durò ulteriormente. Anche 1 3 afferniazione dì un controllo giudiziario sugli elementi for¬ mali della urgenza: evidente mesi sten za dell’estremo della necessità; xirossimiià delia ripresa di funzionamento del po¬ tere esecutivo; non immediatezza dell Esecuzione, non poteva non apparire in contrasto col principio, indiscusso, che solo il Parlaménto sia giudice della opportunità, nei singoli casi, dell'assunzione della funzione: 1 legislativa da parte del Governo* E T indirizzo della giurisprudenza è successivamente mu¬ tato por ricondursi alle massime, in precedenza accolto- che la necessità urgente e improrogabile è fonte e giustifica¬ zione della si aordinaria forma di attività legislativa, espli¬ cali tesi con decreti-logge; che i motivi di necessità e dì ur¬ genza non possono essere sindacati dall’autorità giudiziaria, ma solo al Parlamento, essendo essi informati a criteri ed apri:'zza menti discrezionali di ordine politico; che i decreti - legge Inumo forza e carattere di legge fino a che non ne avvenga la revoca o la modifica da parte del Parlamento e rautorità giudiziaria non può rifiutarsi di applicare le san¬ zioni penali dirette a reprimere le trasgressioni a disposizioni in ossi decreti contenute; elio spetta esclusivamente al Go¬ verno di scegliere la circostanza e il momento opportuno per la conversione in legge dei decreti che ha emanati e non può Vautorità giudiziaria giudicare entro qual termine debba avvenire la presentazione al Parlamento per la ratifica (sen¬ tenze della Cassazione di Poma a Sezioni unite G maggio 1024* in fiiv. di dir. pubbh 1924* p. 194; delle stesse Sezioni imito 19 luglio 1.924, in Giur * it,, I, Ì T 737; della V* Se- — 158 zione nelle date 25 gennaio 1924 in Foro it„ II, 129 e 29 marzo 1924 in Giur. it ., 1924, I, 1* 813). Contemporaneamente, anche il Senato del Regno, costi¬ tuito in Alta Corte di giustizia con sentenza 2 maggio 1924 (Riv. di dir. pubbl., pag. 263), a proposito dei decreti-legge 28 dicembre 1921, n. 1861 e 15 marzo 1923, n. 553, che introdussero e disciplinarono una speciale moratoria, ha re¬ spinto l’eccezione di improponibilità dell’azione penale per asserita incostituzionalità dei detti decreti-legge, mostrando di considerare come jus receptum la efficacia giuridica dei decreti-legge. E la Corte dei conti a Sezioni unite, con sen¬ tenza 25 aprile 1924 ( Giu/r. it., 1924, III, 246), ha a sua volta dichiarato che il decreto-legge ha efficacia giuridica, sia pure provvisoria, sino a che non ne sia negata dal Par¬ lamento la ratifica. Il giudizio sulla necessità ed urgenza di esso sfugge al Sindacato giurisdizionale, importando un ap¬ prezzamento politico, il quale è esclusivamente devoluto al Parlamento; e la Corte comunica al Parlamento le avvenute registrazioni con riserva per porlo in grado di controllare l’osservanza dell’obbligo, assunto dal Governo, della presen¬ tazione del decreto per la conversione in legge. La rassegna sopra compiuta mette in luce che alla neces¬ sità, storicamente manifestatasi, di un’assunzione straordinaria di poteri legislativi da parte del Governo ha corrisposto e corrisponde non solo un riconoscimento di legittimità ad opera della prevalente dottrina, ma anche, salvo qualche sporadica e temporanea deviazione, il riconoscimento pieno della legalità dell’intervento eccezionale del Governo nella funzione legisla¬ tiva, da parte dell’autorità giudiziaria, ordinaria e speciale (1)- (1) Il Consiglio di Stato, IV Sez., decisione 8 Agosto 1924 {Giur. It., 1925, III, 10) ha dichiarato che le sezioni giurisdizionali non pos¬ sono sindacare, ne in via principale, nè in via incidentale, la costitu¬ zionalità dei decreti-legge, trattandosi di atti del Governo nell’esercizio del potere politico. Nello stesso senso, la medesima sezione, con deci¬ sione 18 maggio 1895 yGiur. It ., 1895, III, 289-290). — ìm - La ininterrotta e copiosa seria di decreti-legge, emanati dal Governo e quasi costantemente ratificati senza opposizione dal Parlamento, ha indotto anche il Senato a ritenere per mezzo deUTTffiero centrale, interprete il relatore di esso e discordante solo qualche voce, che addirittura una consuetu¬ dine legittima trine accennano anche non poche delle sentenze dell'autorità giudiziaria ordinaria, di sopra richiamate. Du¬ rante le discussioni avvenute nel Senato sul citato disegno d’iniziativa senatoria circa la conversione in legge dei decreti- legge (Doc. n. 245 della Legislatura XXVI), fu ricordato da un oratore dissenziente, che il Ministero rimasto al po¬ tere dal 1920 al 1921 aveva fatto pochissimo uso dei decreti- .legge, dichiarando di volerne limitare la emanazione a tre sole ipotesi determinate. Però quello stesso Ministero ricono¬ sceva di non poter prescindere da. un uso, sia pure cosi limitato, dell'assunzione straordinaria di funzioni legislative; e le dichiarazioni fatte dal presidente di quel Gabinetto erano accolte con plauso, quasi a consacrare il riconóscimeli io dei giusti limiti entro i quali Turo poteva essere legittimamente consentito. Quel medesimo presidente affermava anzi che si proponeva di esaminare se non fosse il caso di provvidenze legislative che stabiliscano qualche autorità che possa di¬ chiarare che quel tale atto del potere esecutivo non è le¬ gittimo perchè ha invaso il campo del potere legislativo. Invocazioni ad una disciplina giuridica della materia dei decreti-legge sono anche state fatte dalla voce autorevole del supremo rappresentante il pubblico Ministero presso la Corte di Cassazione, nel suo discorso inaugurale dell’anno giudizia¬ rio in corso, per la più precisa ed esauriente esplicazione della funzione giudiziaria; ed una disciplina è altresì neces¬ saria nell’interesse dei cittadini, ai quali è necessario sapere con sicurezza quale sia la legge, al di fuori e al disopra delle possibili fluttuazioni della giurisprudenza. Oltre che a corrispondere a codeste varie esigenze, l’ini¬ ziativa che il Governo oggi assume per regolare la materia — 160 - dei decreti-legge varrà, anche a ricondurre nei giusti confini la comprensione dei rispettivi rapporti fra potere esecutivo e potere legislativo* rivendicando a questo il doveroso rispetto delle proprie prerogative da possibili invadenze» non im¬ periosamente richieste dalle superiori necessità di tutela dèlia vita della società e dello Stato. * *• * L'articolo 4 dei disegno di legge non fa, in sostanza, die codificare rinsognamento della prevalente dottrina e della giurisprudenza, facendo tesoro dei principi consacrati nel disegno di legge approvato dal Senato del Regno, che iti gran parte accoglie e fa propri. Si stabilisce pertanto., anzitutto, che il Govèrno del Re ha facoltà di emanare norme aventi forza di legge « quando urgenti necessità di difesa dello Stato, di tutela dell'ordine pubblico, della sanità pubblica, della pubblica finanza o della pubblica economia lo richiedano ». Circa il controllo sulla esistenza della necessità e della urgenza il disegno di legge segue V insegnamento della Corto suprema, stabilendo che il giudizio sulla esistenza di tali requisiti non è soggètto od altro controllo, che a quello politico del Parlamento, Ma Peseremo di tale eccezionale facoltà, giustificato solo dà necessità urgente, deve essere circondato da garanzie atto ad assicurare pienamente il controllo del Parlamento* Si stabilisce pertanto, nel primo eapoverso dell 1 arti colo 4, ohe il decreto-legge debba essere accompagnato dalla eiausolà della conversione in legge ed essere effettivamente presentato ad una delle due Camere, per la conversione, non oltre la terza seduta dopo la sua pubblicazione. Tale precetto è ac¬ compagnato dalla grave e perentoria sanzione della decadenza. Il decreto legge non presentato per la conversione noi ior¬ mi ni stabiliti dall'articolo 4 non ha vigore, E per rendere possibile alla magistratura 1 ■ appi io azione della sanzione, di- — 161 — sconoscendo valore giuridico al decreto-legge irregolare, Par¬ ticelo 4 stabilisce l’obbligo della pubblicità della presenta¬ zione. I decreti-legge, di cui non risulti, dalla Gazzetta Uf¬ ficiale , la presentazione al Parlamento, non hanno effetto e qualunque magistrato deve negare ad essi osservanza. Il terzo comma dell’articolo 4 mira a garantire che il disegno di legge per la conversione, una volta presentato, faccia la propria strada automaticamente, senza bisogno di alcun atto o alcuna ingerenza del potere esecutivo. Si pre¬ scrive, pertanto, che, in caso'di chiusura della Sessione, al¬ l’apertura della nuova Sessione, il disegno di legge per la conversione si ritiene ripresentato davanti alla Camera, presso cui era pendente per l’esame e che, una volta approvato da una delle due Camere, la sua presentazione all’altra avvenga automaticamente mediante trasmissione fatta dalla presidenza. Queste norme hanno un grande valore: esse assicurano che ogni decreto-legge sarà sottoposto all’esame del Parla¬ mento, e che l’esame sarà, in ogni modo, compiuto, indipen¬ dentemente dalla volontà del Governo e dalle vicende par¬ lamentari. La disposizione del terzo comma accresce quindi pratica efficacia alla norma contenuta nel quarto comma, il quale stabilisce, che se una delle due Camere rifiuti la conversione, da questo momento il decreto-legge cessa di aver vigore. E per rendere efficace e facilmente applicabile tale règola si prescrive che il rigetto debba essere pubblicato, a cura del presidente dell’Assemblea, nella Gazzetta Ufficiale , e che gli effetti del rifiuto si producano dal giorno della pubblica¬ zione. Infine l’ultimo comma dell’articolo 4 commina la deca¬ denza del decreto, qualunque siano state le vicende del di¬ segno di legge per la conversione, se entro un dato termine, fissato in due anni, la conversione non sia effettivamente av¬ venuta; la decadenza ha luogo con effetto dalla scadenza del biennio. 1! - 162 — Come si vede, il sistema adottato dal disegno di legge,, stabilendo da un canto la cessazione dell’efficacia del decreto,, quando la sua conversione venga respinta o non abbia lungo- nei termine di legge, ma dando, dall’altro, ad esso una vali¬ dità provvisoria fino al giorno del rigetto o alla scadenza del termine biennale, contempera le esigenze del controllo par¬ lamentare con il soddisfacimento di quelle urgenti necessità di Stato, che ne sono il presupposto e la giustificazione. Onorevoli colleghi! Il presente disegno di legge, mante¬ nendosi rigidamente nella linea tracciata dallo Statuto del Regno e dalle consuetudini di diritto pubblico riconosciute ed universalmente accettate, disciplina un’ardua materia, por¬ tando la certezza e la chiarezza dove era fin’oggi il dubbio e l’oscurità soddisfa le esigenze fondamentali dell’opera di Governo, quali sono richieste dalle nuove condizioni sociali e politiche del popolo italiano, e restituisce al Parlamento il pieno esercizio della funzione legislativa, nel campo che le è proprio ed essenziale, sfrondandola di tutto ciò che era su¬ perfluo o accessorio, e che ne aveva reso l’adempimento^ praticamente impossibile. Sulla Facoltà del Governo di Emanare Norme Giuridiche. DISCORSO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI (*) ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto . Onorevoli colleghi! Questo disegno di legge sulla facoltà del Governo di emanare norme giuridiche fu detto da taluno emi¬ nentemente fascista. Intendiamoci su ciò. Fascista è questo disegno di legge solo nel senso che pone Lordine in una ma¬ teria oggi assolutamente caotica, non nel senso che esso miri a diminuire i poteri oggi spettanti al Parlamento, per au¬ mentare quelli del potere esecutivo. In realtà il presente disegno di legge non vuol tanto innovare quanto sistemare, non tanto aumentare quanto disci¬ plinare le facolta del potere esecutivo, e disciplinare significa necessariamente limitare. Si tratta in sostanza, mi si passi la brutta parola, di un provvedimento normalizzatore. Che cosa era infatti accaduto in questo campo delle fa¬ coltà legislative del potere esecutivo e del Parlamento ? Come giustamente ha osservato l’onorevole Leicht, lo stato di fatto attualmente esistente si è determinato nell’ultimo decennio, e, per rendersene conto, vano sarebbe voler risalire al periodo (*) Pronunciato nella 2 a tornata del 20 giugno 1925. — 164 - antecedente al 1914. Ma un decennio e più di pratica costiti zionale ha già di per sè un rilevante valore giuridico, perchè in materia di diritto pubblico lo stato di fatto si trasforma presto fatalmente in stato di diritto. E lo stato di fatto oggi in Italia è questo, che l’eserci¬ zio del potere legislativo da parte del Governo è, si può dire, divenuto la regola, per un complesso di ragioni che esaminerò fra poco. Che il Governo possa esercitare il potere legislativo, possa cioè emanare norme giuridiche, non vi è dubbio. Ciò accade in tutti i regimi e in tutti gli Stati del mondo, anche in quelli nei quali il principio della divisione dei poteri è più rigorosa¬ mente osservato. Il principio della divisione dei poteri infatti è certo fon¬ damentale nello Stato moderno, ma non è e non potrebbe essere, per evidenti ragioni logiche e pratiche, assoluto. Come ho osservato nella mia relazione, accade in ogni Stato che funzioni legislative siano esercitate da organi non legisla¬ tivi e precisamente dal potere esecutivo, come accade che funzioni non legislative, cioè amministrative e giudiziarie* siano esercitate da organi legislativi. Da queste necessarie interferenze fra i vari poteri dello Stato deriva quella distin¬ zione tra leggi in senso formale, cioè leggi del Parlamento, e leggi in senso materiale, cioè norme giuridiche emanate dal potere esecutivo, che non è, onorevole Graziadei, invenzione mia, ma che è dottrina fondamentale del diritto pubblico, espo¬ sta in tutti i trattati di diritto amministrativo e di di¬ ritto costituzionale, e sulla quale esiste tutta una letteratura, a cominciare dalla monografia dello Jellinek, fino agli scritti di eminenti giuristi nostri, come il collega onorevole Codacci Pisanelli, il quale ha, già molti anni fa, dottamente illustrato la distinzione. Il principio pertanto della emanazione di norme giuri¬ diche da parte del potere esecutivo è fuori di discussione. Il problema è tutto di forme e di limiti. Oggi questi limiti sono r — 165 — in Italia assai largai, c ciò, non per capriccio di uomini, e neppure por libidine reazionaria dì Governi, ma per la pres¬ sione delle necessità pratiche. Tanto è ciò vero che tutti i Governi hanno fatto uso e qualche volta abuso dei decreti- leggi, Tutti sanno che durante Tanno di Governo delTonore- vole iSTitti leggi gravissime furono promulgate per decreto reale. Ed è naturale (die ciò sia avvenuto, perche nell J ultimo ventennio specialmente si era verificato ìli Italia questo fe¬ nomeno che, mentre da un canto aumentava V attività dello Stato, dalTaltro cresceva il campo delie materie vincolate at- Papprovazione legislativa. La naturale evoluzione dello Stato moderno, fenomeno comune a tutti i popoli, ha condotto negli ultimi cinquan¬ tanni ad un continuo accrescimento delle funzioni, e quindi delTatfività dello Stato. In Italia questo fenomeno si è accen¬ tuato anche iter il rapido sviluppo economico, demografico e politico della Nazione italiana. Tutte le necessità adunque della vita dèlio Stato e del popolo italiano avrebbero dovuto condurre logicamente ad un ampliamento dei poteri del Governo, perchè non bisogna di¬ menticarlo, il Governo è il potere permanente* continuativa dello Stato * mentre il potere legislativo non agisce che ad intervalli. L’aumento dell’attività dello Stato non poteva per¬ tanto non produrre un aumento deli-attività del Governo, cioè del potere sempre presente e sempre operante. Invece è accaduto precisamente l'opposto. Per un cumulo di circostanze, nel Tal timo ventennio, le. facoltà del Governo si nono vomite man mano restringendo. E cosi, mentre nei primi decenni dopo la costi tu zio ne del Regno d’Italia, quando le funzioni dello Stato erano più limitate e il paese era più pic¬ colo c il popolo economicamente meno sviluppato, i poteri dei Governo erano sufficientemente ampi* quando l’attività dello Stato si moltiplicò, e la popolazione crebbe* e una profonda trasformazione nella vita economica del popolo italiano si de¬ terminò con Tavvento dell’industrialismo, il Governo vide limi- J : * . tare i suoi poteri. Così, ad esempio, tutto il campo della or¬ ganizzazione dePamministrazione pubblica, che nei primi 50 anni di applicazione dello Statuto era di competenza del potere esecutivo, divenne, a partire dai primi anni del secolo presente, materia di legge. Io non discuto le ragioni per cui ciò accadde: erano certamente gravi. Si volle sottrarre alle facoltà del potere esecutivo una materia, che era indubbiamente fonte di spese, e circondare la sua disciplina giuridica delle maggiori garanzie, che si pensava derivassero dalle maggiori lentezze e formalità della elaborazione legislativa. Intervenne a questo punto la guerra, da cui derivò una situazione molto più complicata. È noto che durante la guerra furono numerosissimi i decreti legislativi emanati dal (Go¬ verno in virtù delle facoltà ad esso deferite con la legge idei 1915, e che, accanto ai decreti legislativi, furono emanati anche largamente i decreti-legge. E l’uso dei decreti-legge, anziché diminuire, andò crescendo nel periodo dei dopo-guerra. Avvenne così che, per la facilità di emanare decreti aventi forza di legge, moltissime materie, che in sé avevano scolpito più il carattere regolamentare che il carattere legislativo, divennero materia di legge. Il solo fatto in verità che una materia era stata una volta regolata per decreto legislativo o per decreto- legge, la rendeva definitivamente materia di legge. Siamo perciò oggi giunti ad un punto che richiede imme¬ diati provvedimenti. Materie di importanza futile e risibile non possono essere regolate che per legge sol perchè furono una volta oggetto di un provvedimento legislativo. Già l’ono¬ revole Scialoja, nell’ altro ramo del Parlamento, ricordava il caso del decreto-legge fatto per mutare il titolo al capo banda della Regia marina. L’onorevole Gatti, diligente e dotto rela¬ tore di questo disegno di legge, ha citato il caso del decreto- legge fatto per mutare il nome della Nave-Asilo pei marina- retti. Oggi stesso nell’ordine del giorno della seduta antime¬ ridiana era iscritta la conversione in legge di un Regio de¬ creto 11 settembre 1924 concernente il trattamento economico 167 — deli’ impiegato d’ordine dell’ Istituto nazionale per l’educa¬ zione ed istruzione degli orfani dei maestri elementari! La conseguenza di tale situazione è l’impossibilità pra¬ tica del Parlamento di occuparsi di questa congerie di provve¬ dimenti senza i quali la macchina amministrativa non potrebbe funzionare. Di qui la necessità dei decreti-legge, il cui nu¬ mero andrà fatalmente sempre crescendo, perchè ogni decreto- legge partorisce altri decreti-legge. Io posso citare la mia personale esperienza. Ho assunto il portafoglio della giustizia col proposito di fare meno decreti- legge che fosse possibile, ma mi sono qualche volta trovato nella necessità di promuoverne, perchè il campo della legge è ormai così smisuratamente cresciuto, che senza legiferare pori si fa oggi neppure la più ordinaria delle amministrazioni. Nè si deve dimenticare che viviamo in un periodo di grande instabilità nelle condizioni economiche e sociali e di rapide trasformazioni, che richiedono frequenti mutamenti le¬ gislativi, ciò che contribuisce a moltiplicare l’uso dei de¬ creti-legge. Si è creata adunque, per un complesso di circostanze su¬ periori alla volontà degli uomini, una situazione tale che, se non provvedessimo a rimettere finalmente ordine in questa materia, si perpetuerebbero e si aggraverebbero inconvenienti, da cui riceve danno, non già l’autorità del Governo, ma preci¬ samente l’autorità del Parlamento. Oggi per il riconoscimento, che la giurisprudenza dà ai decreti-legge e per l’acquiescenza del Parlamento che rego¬ larmente li convalida, non vi è praticamente limite alla facoltà del Governo di legiferare. E siccome, in materia costituzionale, i precedenti e le consuetudini hanno fondamentale importanza, continuando la pratica che oggi senza contrasto viene seguita, si opererà tra non molti anni una profonda trasformazione costituzionale, molto più profonda di quella che opererebbe il disegno di legge, quando venisse approvato; il Parlamento si trasformerà automaticamente in una Camera di registrazione. — 168 — Ora noi, al contrario dei bolsceviche crediamo all’utilità del principio della divisione dei poteri, del quale non si può fare a meno in uno Stato bene ordinato. Non crediamo, come i bigotti del diritto costituzionale, che si tratti di un prin¬ cipio assoluto e senza eccezioni, ma crediamo che, come in tutti i campi di attività, anche in quello del funzionamento dello Stato, il principio della divisione del lavoro e della specifica¬ zione delle funzioni non possa abbandonarsi. Ed è appunto per questo, per impedire cioè che il principio della divisione dei poteri venga nella pratica definitivamente sommerso, che noi abbiamo presentato questo disegno di legge. Ecco dunque che, per una volta tanfo, siamo noi le vestali del diritto costituzionale, siamo noi i custodi dello Statuto e gli assertori dei principi fondamentali del nostro diritto pub¬ blico. L’onorevole Giovannini ha fatto il processo alle inten¬ zioni ed ha detto che questo disegno di legge, venendo da noi, non può essere che reazionario. Abbandono al giudizio della Camera un simile modo di ragionare. Le nostre intenzioni sono quelle, che risultano dal disegno di legge e dalla relazione ministeriale. Noi intendiamo disciplinare una materia oggi caotica e stabilire un limite dove oggi è l’arbitrio. Ed è appunto perchè noi vogliamo risolvere radicalmente il problema, e non già fare affermazioni teoriche, che sa¬ rebbero superate dalle necessità e dai fatti, che siamo andati alle radici del male, ed abbiamo affrontato il problema in pieno, disciplinando tutta la materia delle facoltà legislative del Governo. In questo il nostro disegno di legge differisce dal pro¬ getto Schloja, il quale si limitava a disciplinare i decreti-legge, senza eliminare la causa fondamentale dell’abuso dei decreti- legge, il passaggio cioè di gran parte della materia regola¬ mentare alla materia legislativa e l’allargamento esagerato di questa. Nessuno più di me, che mi professo spiritùalmente suo - 169 - discepolo, nutre riverenza per il senatore Scialoja, maestro veramente insigne del diritto, nessuno più di me apprezza il significato ed il valore del suo disegno di legge, che pose per il primo il problema, Ma ciò non significa die il progetto Scialo]a non sia capace di ulteriori perfezionamenti. È na¬ turale che chi viene dopo riesca, sia pur con minore ingegno e con minor dottrina, a migliorare ciò che fu fatto prima di lui. Bisogna poi considerare il momento in cui il disegno di legge Scialo!a fu elaborato, momento di pieno dominio delle correnti demagogiche, durante le quali ci volle un coraggio, cho deve ammirarsi, per formulare e presentare al Parlamento una proposta di provvedimenti legislativi, nei quali era aper¬ tamente riconosciuta la necessità dei decreti-legge e se ne di¬ sciplinava giuridicamente Fuso. È naturale che oggi, mutati i tempi, sia possibile una consideratone più ampia c totale del problema. Perciò con Fattuale disegno di legge il Governo affronta integralmente la questione e, volendo effettivamente restrin¬ gere Fuso dei decreti-legge, propone anzitutto di delimitare il campo della materia legislativa, cioè il campo della compe¬ tenza del Parlamento, da quello che è invece il campo della competenza del potere esecutivo. Di qui Particelo primo del disegno di legge, che disci¬ plina Sa facoltà regolamentare del Governo, e ciò nella ma¬ niera più ortodossa e più rigidamente costi tu rionale. In questo articolo infatti si riconosce al Governo la facoltà di emanare per Regio decreto i regolamenti necessari per eseguire le leggi, quelli che disciplinano le. facoltà già spettanti al po¬ tere esecutivo in virtù delle leggi esistenti, e infine i rego¬ lamenti diretti a ordinare gli uffici dell'Amministrazione pub¬ blica. e il personale ad essi addetto. Come si vede, Farti colo F si riferisce alla tripartitone dei regolarli enti ben nota nella scienza del diritto pubblico, riconoscendo la triplice categoria dei regolamenti di eseeu- zione, dei regolamenti indipendenti e dei regolamenti di orga¬ nizzazione. Non si tratta nè di cose, nè di nomi nuovi. Anche la terminologia è infatti quella corrente nella scienza del diritto pubblico. Ed in verità non si può dubitare che il potere esecutivo abbia facoltà di emanare norme giuridiche per disciplinare l’esecuzione delle leggi: l’articolo 6 dello Statuto riconosce in modo esplicito questa facoltà; come non si può dubitare che il Governo possa, con regolamento, disciplinare, cioè autoli¬ mitare i poteri, che gli spettano in virtù della legislazione vigente; come infine è certo che, deferita al potere esecutivo la cura dell’Amministrazione dello Stato, non gli si può di¬ sconoscere il diritto di organizzare gli uffici e il personale di questa Amministrazione. Non credo che il riconoscimento della facoltà di fare re¬ golamenti esecutivi ed indipendenti possa sollevare obiezioni. Ma non può sollevarne neppure il riconoscimento della facoltà di emanare regolamenti di organizzazione, questo diritto es¬ sendo stato ammesso senza contrasti nei primi cinquanta anni dell’applicazione dello Statuto. Gli organici, ad esempio, furono sempre fatti per decreto reale fino alla legge 11 luglio 1904, e così pure lo stato degli impiegati prima della legge del 1908 non costituiva materia di legge, ma di regolamento, perchè in questo campo non esi¬ stevano che le due leggi del 1862 e del 1863 sul divieto del cumulo degli stipendi, e sulle aspettative e sui congedi. Le ragioni che fecero passare tutta la materia dell’or¬ ganizzazione dell’Ammini. trazione dal campo del regolamento a quello della legge furono sopratutto ragioni contingenti di indole finanziaria: si volle porre un freno all’aumento delle spese, vincolando le modificazioni degli organici alla più lunga e complicata procedura parlamentare. Ma negli ultimi tempi si è visto che il freno è divenuto illusorio, sia perchè l’uso dei decreti-legge in questo campo, che è poi sottratto completamente al controllo dell’autorità — 171 — giudiziaria, è stato larghissimo, sia anche per la trasformaziono dello spirito del Parlamento, Nella teoria costi frizionale il Parlamento ha rappresentato per lunghi secoli un freno efficace alle spese; ma, introdotto il suffragio universale, le cose sono profondamente mutate; n i Parlamento non ebbero piu peso esclusivo le classi abbienti, naturalmente interessate alla limitazione delle spese, ma le grandi masse, assai meno sensibili alla necessità di una rigida finanza. Oggi è il Governo il freno più naturale e più efficace all'aumento delle spese. DE STEFANI, ministro delle finanze. Precisamente! ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto * E perciò nello stesso diritto parlamentare inglese si è do¬ vuta introdurre una norma, per cui Y iniziativa delle spese è riservata esclusivamente al Governo. In conclusione, le ragioni essenziali, che giustificano il passaggio d dl’Ordinamento amministrativo dalla coni potenza del Governo a quella dei Parlamento, oggi non hanno più ra¬ gioni d'essere. Siamo dunque ancora nella linea della più or- todossa p ra ti oa costituzionale. Disciplinata in tal modo la facoltà regolamentare del Governo, si è sgombrato il campo propriamente legislativo da. una quantità di materie di secondaria importanza, che oggi P ingombrano e che rendono praticamente impossibile Peser¬ emo della funzione legislativa da parte del Parlamento- Ri¬ mangono portento riservate all'approvazione del Parlamento le materie essenziali, sia quelle attinenti al] J ordinamento degli organi fondamentali dello Stato, Magistratura, Con¬ siglio di Stato, Corte dei conti, e del grandi enti di interesse politico, come i comuni, le provinole, le istitu¬ zioni pubbliche di beneficenza, le Università, sia quelle atti¬ nenti ai diritti soggettivi privati e pubblici dell' individuo, sia infine tutta la materia dei bilanci, delle pubbliche spese e delle imposte. Materia già di per se vastissima e qualitativa- mente di importanza decisiva, per la quale si afferma la compe¬ tenza esclusiva del Parlamento. È chiaro. Il disegno di legge sotto questo punto di vista mira a restituire al Parlamento facoltà che esso aveva in pratica in gran parte perduto. Rimane il problema dei decreti-legge propriamente detti, cioè della facoltà elei Governo, in casi straordinari ed eccezio¬ nali, di esercitare il potere legislativo anche nel campo riser¬ vato al Parlamento. Una tale eventualità non si può escludere, per quanto limi¬ tata a casi eccezionali, in cui l’urgenza del provvedere renda impossibile o difficile ricorrere alla ordinaria procedura par¬ lamentare. Oggi la necessità di ricorrere al decreto-legge per ogni più futile questione crea una abitudine mentale negli organi dell’ Amministrazione, che conduce fatalmente allo abuso. Quando ad ogni stormir di fronda occorre fare un decreto-legge, è naturale che la burocrazia prenda la mano al Governo e ri¬ chieda decreti-legge ad ogni istante. Riservato invece Fuso del decrto-legge alle sole materie essenziali e ai soli casi straordinari, in cui non sia possibile provvedere altrimenti, i decreti-legge saranno emanati rara¬ mente e con molta ponderazione. Si avrà così il vantaggio di un esame profondo ed accurato ogni qual volta dovrà ricorrersi a questo mezzo eccezionale di legiferare, che implicherà neces¬ sariamente Fassunzione di una grave responsabilità politica da parte del Governo. Che, in via straordinaria, possa sorgere talvolta, anche nel campo riservato di regola al Parlamento, la necessità di prov¬ vedere di urgenza mediante decreto-legge, non si può negare; è nell’obbiettiva natura delle cose. Il fatto che, anche sotto F impero delle Costituzioni emanate nella prima metà del se¬ colo decimonono e ispirate ai principi della più rigida separa¬ zione dei poteri, si sia dovuto in tutti i paesi ricorrere all’uso dei decreti-legge, non è senza significato. La realtà vince sempre sui principi astratti. Egli è che - 173 — il potere esecutivo, potere permanente e continuativo dello Stato, non può rifiutarsi di provvedere a certe supreme neces¬ sità che nella vita dello Sbafo si mani testano. Vi sono circo¬ stanze nelle quali la legislazione normale, appunto per la sua natura, non può essere applicata. Vi è in sostanza come una condizione risolutiva, o se si vuol meglio, sospensiva tacita in tutta la legislazione normale, cioè che non si verificilino circostanze straordinarie nelle quali la legislazione normale non si possa più applicare, e vi sia tempo per provvedere in via legislativa alle nuove esigenze sopravvenute. Allorché questa condizione si verifica, la legislazione nor¬ male vien meno e sorge di necessità la facoltà del Governo di provvedere. Tale il caso di una grande calamità pubblica, di un pe¬ ricolo di guerra, di gravi disordini interni o di altri profondi turbamenti della vita del Paese. La legislazione normale per questi casi straordinari noln è fatta; entra in campo di necessità il potere del Governo. Siamo dunque, più che nell’ipotesi di una assunzione da parte del Governo di facoltà spettanti ad altri poteri dello Stato, in quella della naturale esplicazione di una delle funzioni fondamentali del Governo: provvedere alla con¬ tinuità della vita dello Stato e della Nazione. Il disegno di legge approvato dal Senato in molti punti coincide con la disposizione dell’articolo 4 del disegno di legge ministeriale, divenuto l’articolo 3 nel testo della Commissione. Coincide nel concetto della provvisorietà del valore dei decreti- legge; nel concetto dell’obbligo della presentazione al Parla¬ mento sotto pena di decadenza; nel concetto dell’obbligo della convalidazione entro un certo termine pure sotto pena di de¬ cadenza. ' Io ritengo che tecnicamente il presente disegno di legge sia migliore, perchè, mentre sancisce queste norme fondamentali le perfeziona stabilendo tutto un sistema di pubblicità, per cui l’autorità giudiziaria è messa in condizione di esercitare effica¬ cemente il controllo che le spetta, e perchè assicura, dopo la — 174 — presentazione ad ima delle due Camere del disegno di legge per la conversione, il più rapido ed autonomo decorso dèlia procedura parlamentare. Anche nei punti in cui II mio disegno di legge differisce da quello approvato dal Senato, oso dire che esso presenta dal punto di vista tecnico non trascurabili van¬ taggi. Così per quello che riguarda la separazione del giudizio sul merito del provvedimento, die iu pratica sarebbe di diffi¬ cilissima, se non imponibile attuazione. Così anche per quello che concerne ^efficacia degli effetti giuridici prodotti dal decreto legge medio tempore, cioè nel periodo che intercorro tra r emanazione del decreto-legge e la sua convalida o la sua reiezione. Il disegno di legge approvato dal Senato la¬ sciava piuttosto nell ombra la questione; il presento disegno di legge risolve il problema, e stabilisce Elbe i diritti quesiti legittimamente in base al decreto legge restano salvi e che la decadenza o la modificazione del decreto operano non giù ex tutte* ma ex nunc . \ E taccio della norma con cui è esplicitamente stabilito che 1 J autorità giudiziaria non è competente a esercitar:.’! il controllo di legalità sul resistenza- dei requisiti necessari por Feinan azione del decreto -legge, e che riserva il controllo sul- Fuso di questa podestà eccezionale del Governo all 1 insin¬ dacabile giudizio politico del Parlamento. Così è oggi e così deve essere, e la norma chiaramente inserita nella legge eli¬ minerà gli ultimi dubbi, che ancora possano esistere in ma- feria, Queste le linee fondamentali del disegno di legge. Per I illustrazione più particolareggiata delle singoli 1 norme rinvio alla mia relazione e a quella, cosi dotta ed esauriente, dello- norevole Gratti. Onorevoli colleghi, 1 onorevole Graziadei per giustificare la sua opposizione al progetto ha invocato i principi della democrazia; ma si e affrettato subito dopo ad aggiungerò che egli respinge uno dei principi che la democrazia pone — 175 — a fondamento della costi (razione dello Stato, cioè il principio della separazione dei poteri, perchè tale principio è estraneo alla costituzione* dello Stato russo* È evidente il pensiero dell onorevole Grazi adeL Egli approva la democrazia per uso dei propri avversari, e la nega per uso proprio. MÀFFL No, è un’altra cosa. ROCCO, ministro della giustizio s e degli affari di oidio. Noi invece, elle non siamo democratici, accettiamo il principio della separazione dei poteri, il quale non è un principio de¬ mocratico, c nn principio di sviluppo dello Stato, Lo Stato come ogni Organismo, man mano che si sviluppa e si perfeziona*, si determina nei suoi organi e si specifica. La specificazione, che c legge generale del progresso di tutti gli organismi, è anche legge del progresso dello Stato. Nello stato primitivo i poteri erano confusi e conglobati in uno solo; queste spiega perchè nello Stato bolscevico vi sia questa stessa confusione dei poteri; il bolscevismo non è che d ritorno all 7 or gami zza¬ ndone primitiva della società e dello Stato (Interruzioni del dep u t aio M affi ). Nello Stato moderno la specificazione dei poteri è la re¬ gola, ma tale specificazione non devo essere interpretata coma una separazione assoluta e meccanica. Si tratta sempre di or^ gani di uno stesso organismo e di parti di un unicx> com¬ plesso. Il principio della divisione dei poteri è dunque principio di specificazione dì organi e dì funzioni, in sostanza di di¬ visione del lavoro, ma è anche, per ciò stesso, principio di coordinazione, perchè superiore ancora ai principio della spe¬ cificazione è quello dell'unità e della organicità dello Stato. Noi non possiamo pensare che ciascuno dei tre poteri dello Stato, quello esecutivo, quello legislativo e quello giudi¬ ziario, viva chiuso nella sua casella, ignorando gli altri ed es- snedo da essi ignorato. Tutti e tre questi poteri non sono che organi di uno stesso organiamo. È lo Stato, nella sua indi- struttibile unità organica, che ora si mostra come potere legi¬ slativo, ora come potere esecutivo, ora come potere giudiziario ma resta uno nella sua essenza. Che, se, in tale coesistenza del principio della specifica¬ zione e del principio delPunità, si vuole assegnare, a ciascuno dei tre poteri il posto che gli spetta, nella formazione e nella evoluzione dello Stato, non si può disconoscere la parte premi¬ nente e decisiva che spetta al potere esecutivo. Il potere giudi¬ ziario e il potere legislativo sono sorti dalla specificazione di singole funzioni dello Stato. Il potere esecutivo è restato il depositario e Porgano di tutte le funzioni dello Stato gene¬ ricamente considerate. In altri termini, il potere legislativo e quello giudiziario hanno funzioni determinate e specifiche; il potere esecutivo al contrario ha funzioni indeterminate e generiche. Donde la maggiore ampiezza della sua azione, e quindi il suo carattere di organo permanente, sempre operante e sempre vigilante. Il presente disegno di legge, pertanto, mentre rende omaggio al principio della separazione dei poteri, cioè della specificazione delle funzioni dello Stato, riconosce altresì il principio delPunità dello Stato e la posizione che fra i suoi organi spetta al potere esecutivo; esso rappresenta pertanto un reale progresso della legislazione italiana. (Vivissimi ap¬ plausi). — 177 Sulla Facoltà del Potè he Esecutivo di Emanare Norme Giuridiche. DISCORSO AL SENATO DEL REGNO (*) Onorevoli senatori, dopo quello sulle associazioni secreto, questo è il secondo disegno di legge della nuova legista-, zionc fascista che il Senato è chiamato ad esaminare. E aggiungo subito che, come il primo era ima modesta pro¬ posta, la quale non usciva dai termini normali di una re- golamnutazione di polizia delle associazioni, così questo se¬ condo disegno, se pine ha formalmente portata fondamentale e tosti..uz onaia, in i^o danza, corno bene osservava testé In j 101*3- vole relatore dcìlTJffi io centrale, senatore Borio, non innova profonda mente nella odierna pratica costituzionale. In realtà la pratica dei decreti-legge si è talmente estesa che Pappi! - nazione delle norme oggi sottoposte alPosnervazione del Senato servirà a limitare piuttosto che ad ampliare le facoltà che il Governo esercita di fatto. Ma lo debbo dire qualche cosa più. Questo disegno non soltanto non modifica Io staio di fatto attuale, ina non consacra nessuna novità importante neppure dal punto di viita delle nostre tradizioni legislative; ed anche questa osservazione è stata fatta opportunamente dall onore vele relatore. Il disegno di legge in fondo non fa che restituire al potere esecutivo quello che era di sua spettanza, ritornando cosi alia pratica eostitu- (*) Pronunziato nella seduta del 14 Dicembre 1925, 12 - 178 — zionale italiana dei decenni successivi alla promulgazione dello Statuto. Ma poiché l’onorevole senatore decotti, a proposito di questo disegno di legge, ha voluto fare alcune considera¬ zioni d’ordine più generale intorno a tutte le riforme legisla¬ tive che noi abbiamo avuto l’onore di sottoporre all’esame del Parlamento, mi consenta il Senato una breve risposta. La quale, forse, esorbiterà in parte dai limiti della materia, a cui si rife¬ risce il presente disegno di legge. Il senatore Ciccotti ha mosso varie censure a questa attività legislativa del Governo; ha detto che il Ministero tende, con le sue proposte di riforma, ad assicurarsi la permanenza al potere; ha aggiunto che noi andiamo in tal modo seminando di errori la legislazione ita¬ liana, ed ha affermato ancora di non comprendere questa ma¬ nia, da cui siamo stati presi, di far leggi, di cui non si sente il bisogno, e quasi solo per soddisfare non so se la vanità o il capriccio degli uomini più rappresentativi del regime, fra cui si sarebbe stabilita una gara di iniziative inutili, se non dannose. Debbo una breve risposta al senatore decotti su questo punto, perchè la verità è proprio il contrario. Noi non siamo riformisti per progetto, siamo anzi, se mai, per progetto anti¬ riformisti, perchè crediamo poco all’efficacia delle leggi, e molto all’efficacia del costume e delle tradizioni; e perciò, quando si faceva davvero del facile riformismo e ad ogni piè sospinto si parlava di tempi nuovi e di riforme audaci, che a- vrebbero dovuto cambiare faccia al paese, ci siamo posti risolu¬ tamente contro questo andazzo facilone. Ma oggi la necessità di innovazioni profonde della legislazione, all’infuori di qualun¬ que mania riformatrice, s’impone al Governo e al Parlamento. Dobbiamo parlare francamente. Il 28 ottobre 1922 in Italia è avvenuto qualche cosa di molto grave e di molto decisivo per la storia d’Italia; un rivolgimento che noi non esitiamo a chia¬ mare rivoluzione. Le forme costituzionali sono state osservato, il trapasso è avvenuto, per virtù delle nostre istituzioni fonda- mentali, e per l’innato senso di equilibrio del popolo italiano,, — 179 — senza scosse, e senza scosse notevoli il rivolgimento si è an¬ dato, dopo la crisi del trapasso, realizzando; perchè gl’ inci¬ denti che si sono verificati durante l’ultimo triennio, sono tra¬ scurabili episodi di fronte alla grandezza del rinnovamento operato nella vita italiana; e come episodi devono essere giudi¬ cati da chi ha capacità di discernere l’accessorio dal prin¬ cipale, la cronaca dalla storia. Ma, insomma, la rivoluzione ci fu. Ci fu, cioè, un mutamento di regime, quindi non solo di metodo di governo, ma di mentalità, di spirito politico, di concezione dello Stato. Nei miei anni giovanili io ho sentito parlare molto di fre¬ quente di una rivoluzione che sarebbe avvenuta in Italia il 18 marzo J876, quando alla vecchia destra subentrò nel o/erno della cosa pubblica la sinistra. Ed, in verità, quello fu erto un importante rivolgimento che mutò profondamene i metodi di governo, e i cui effetti si sono protratti per molte diecine di anni, poiché il periodo che si aprì il 18 marzo 1876 non finì che il 28 ottobre 1922. Ma non fu una rivoluzione, perchè identica restò la concezione dello Staro e del Governo. Orbene se gli uomini della sinistra che salirono al potere dopo il voto del 18 marzo 1876, sentirono durante parecchi anni, il biso¬ gno di profondamente innovare la legislazione italiana e tutta 'trasformarla (la costituzione che fin’oggi ci ha retto non era più la costituzione uscita dalla formazione del regno d’Italia, ma quella che uscì dalla rivoluzione del 18/6) non si può ne¬ gare a noi il diritto ed il dovere di fare per lo meno altrettanto, e di modificare la legislaz’one quanto è necessario per metterla in armonia con il nuovo spirito politico che informa il regime fascista. Noi non siamo nè liberali nè democratici (lo abbiamo detto più volte). E come sarebbe stato strano se agli uomini» che andarono al governo all’avvento della sinistra, si fosse chiesto di governare con i metodi della destra, così sembra a più forte ragione strano a noi che ci si chieda di governare con i metodi e lo spirito e la dottrina del liberalismo e della de¬ mocrazia. È infatti logico che ci sì rimproveri di non tener bene il nostro posto, ma non è logico chiedere a noi fascisti dì go¬ vernare con mentalità liberale o democratica, rutto si può pre¬ tendere dal governo fascista, salvo che di non essere fascista. E poiché il Governo è fascista, esso deve farsi iniziatore di riforme legislative atte ad adeguare 1 ordinaci ente giuridico italiano alla nuova realtà politica e sociale, atte a creare nelle léggi ciò che già esìste nel costimi e e nella pratica: lo Stato fascista. Io so bene che la maggioranza del Senato è perfettamente aderente con il pensiero del Governo. E questa -aderenza risale ad epoca non sospetta, cioè agli anni antecedenti all'avvento del fascismo, quando il Senato seppe resistere con fermezza all'andazzo generale dei tempi, anticipando quella che è stata, poi la direttiva generale della politica fascista. A questa maggioranza io non ho nulla da dire, m non ringraziarla della collaborazione che essa dà al governo fascista, e dell’opera compiuta, anche prima dell'avvento del fascismo, a difesa dello Stato e della Nazione. Vi è poi certamente pn’&I- tra parte del Senato, in cui è hon. Cincotti, che pensa in modo diverso. Noi non possiamo domandare a codesti uomini, le cui opinioni sono rispettabili, tua talmente differenti dalle nostre da non consentire neanche un terreno comune di discussione, che diano la loro adesione alle nostre proposte. Chiediamo però che ni comprendano, e comprendano sopra tutto il mo¬ mento storico che ribalia attraversa, i doveri che su noi ìri- comborio e le necessità che ci guidano nell’azione di governo e nell opera legislativa. Già in questa aula un senatore, a cui mi legano ricordi incancellabili di gioventù. Fon. Federico Eieci (che pure non è amico del Governo e anzi non divide nessuna, probabilmente, dello nostre opinioni) ebbe a dire cosa molto opportuna e che fa onoro a lui e al Senato, e cioè che egli, pur dissentendo, comprendeva non essere questo il mo¬ mento di un’opposizione totalitaria e sistematica. Questo monito de! senatore Ricci va a tutti coloro in Italia» — 181 _ i quali non si limitano a disapprovare, ma si ostinano a non comprendere. fo, mentre ringrazio il senatore Ripe! delle suo oneste parole, penso che esse possono essere meditate da quanti, pur discutendo, ha,imo amor di patria e senso di responsabilità. In realtà hi n tendi mento ohe ha mosso il Governo a pro¬ porre tutta questa, serie di riforme legislative, è, principal¬ mente, quello di costituire una. nuova legalità per rientrare nella legalità. Noi abbiamo molte volte, troppe volte sentito ripetere che la legislazione vigente provvede a sufficienza alla tutela dello Stato e delFordine nazionale, e thè occorre soltanto saperla applicareI Onorevoli Senatori, è venuto il tempo di dir francamente che ciò non è vero, perchè la legislazione italiana è frutto di un quarantennio di dominio politico della democrazia, ed è tutta informata alle concezione di uno Stato debole, in piena balia degli individui e dei gruppi. La nostra pratica quotidiana ci ha convinto che governare in Italia con quella legislazione non è possibile so non cedendo ogni giorno alla piazza o violando la legge. Eà è questo appunto che fa¬ cevano molti dei governi che ei hanno preceduto: essi nei momenti più gravi, quando dovevano provvedere a certe supre¬ me necessità della vita dello Stato che s’impongono a tutti, violavano la legge, esponendosi così allo critiche meritate dei loro avversaria Noi invece vogliamo governare con la legge, nella legge, e perciò vogliamo che questa sia sufficiente e risponda allo scopo. Dopo queste osservazioni preliminari di indole generale, che contengono altresì una doverosa risposta alle critiche del senatore decotti, vengo all'esame del disegno di legge che oggi dobbiamo discutere. Il concetto generale che lo ispira è appunto questo: fare una legge che permetta di governare nella legge. La necessità di una riforma in tale materia è stata sentita, prima che da altri appunto dal Senato, e in epoca di onnipotenza parlamen¬ tare, in cui era molto difficile — debbo dirlo ad onore di que- sta alta Assemblea — discutere un tema che toccava così da vi¬ cino le prerogative del Parlamento. È dunque in Senato che è sorta Pini piativa, e dui Senato piu di recente sono partiti moniti giustissimi ni Governo, perchè finalmente si sistemasse questa materia. In verità il disegno di legge non aumenta nessuna dello facoltà che ìì tft> verna già oggi possiede, ma anzi le limita: si passa ingomma ad un regime di piu fecondo lavoro e di maggiore inter¬ vento negli affari dello Stato da parte del Parlamento, Perchè, onorevoli senatori, una cosa è la teoria astratta!, e una cosa è la realtà concreta. Se teoricamente è possibile negare la costitu¬ zionalità dei decreti legge, in realtà non si può governare senza i decreti legge, dì cui ogni giorno si è fatto e sì fa uso, e dai nostri predecessori anche più che da noi. Lo stato di fatto, che dura da parecchi anni, da un periodo cioè molto anteriore alia marcia su Roma, bisogna pur con¬ fessarlo, è tale da. meritare la più attenta considerazione. L’o¬ nore voi e senatore decotti si preoccupa che in seguito all ap¬ plicazione di questo disegno di legge, il Parlamento possa essere ridotto ad un puro Ufficio di registrazione. La verità è che per parecchi anni ciò è purtroppo accaduto e se il Par¬ lamento è oramai ritornato ad esercitare Io sue funzioni essen¬ ziali, che sono quelle legislative, ed ha discusso, e va discu¬ tendo leggi fóndamentali per la vita e lo sviluppo della na¬ zione, ciò è avvenuto per merito del governo fascista, Ij® condizioni in cui si svolgeva l’opera del Parlamento, al nosti'o avvento al potere, erano queste: non si discutevano i bilanci, ma si concedevano esercizi provvisori; non si discutevano leggi» ma si emanavano decreti Ugge; per compenso sì impiegavano lunghe sedute a polemizzare circa l’indirizzo generale della politica dei governi; ad ogni riapertura della Camera lo stesse discussioni si ripetevano con stucchevole monotonia, e si senti¬ vano le medesime persone dire con le medesime parole, le me¬ desime cose (approvazioni). Ora le cose vanno già assai meglio, perchè le discussioni — 183 — inutili non si fanno e i bilanci si discutono e si approvano; la vita finanziaria dello Stato ha ripreso il suo ritmo normale. Le leggi più importanti sono portate innanzi al Parlamento che le discute e le approva. Ma è necessario fare ancora un passo avanti. È necessario che il Parlamento sia liberato da tutta la congerie di piccoli disegni di legge, per la conversione in legge di piccoli decreti, che fanno perdere un tempo prezioso, senza utilità per la cosa pubblica e senza vantaggio per il prestigio delle duo Camere. Si porrà così termine ad altri inconvenienti derivanti dallo stato di cose che noi abbiamo trovato. Anzitutto, ridotta a pochi casi eccezionali la necessità di ricorrere ai decreti-legge, cesserà il danno di una legislazione affrettata, e quindi imper¬ fetta e bisognevole di continui emendamenti, il che significa, causa essa stessa della emanazione di nuovi decreti-legge. Inol¬ tre, la validità dei decreti-legge oggi non ha limiti nè di ma¬ terie, nè di tempo, perchè non si contesta nella pratica, per quanto si possa combattere in teoria, la facoltà del Governo di emanare tali decreti, e la magistratura ne riconosce senza contrasto la efficacia giuridica, ammettendo che si tratta del¬ l'esercizio di un potere di natura politica, non suscettibile di altro controllo che di quello politico del Parlamento. A questo proposito sento il dovere di unirmi alle nobili parole delFon. senatore D J Amelio, che così degnamente pre¬ siede la Corte di Cassazione del Regno, a giustificazione del¬ l’opera della magistratura italiana. Egli in verità non ha avuto bisogno di difendere la magistratura, che sempre ha compiuto il suo dovere, ed anche in questo caimpo, con alto senso di responsabilità, rifiutandosi di esercitare un controllo, di sua natura essenzialmente politico, sopra atti politici del Governo. Tale controllo, allo stato della legislazione, esula effettivamente dalla competenza giudiziaria. E, io aggiungo, è bene che sia così, perchè la magistratura deve esser tenuta lontana dalla — 184 - polìtica, e il mo prestigio sarebbe piuttosto diminuito ohe accresciuto, se le affidassero compiti di carattere politico. Tale adunque io stato di diritto e di fatto, quale io ab- Marno trovato. Facoltà del Governo di fare senza limitazione nè di materia, si può dire, nè di efficacia, decreti aventi fom di legge. Il disegno di legge, che discutiamo, stabilisce invece qu e sto lini it azioni, 11 decreto'legge propriamente detto, intanto, sarà ema¬ nato solo in casi eccezionali, di urgente necessità: sarà quindi, in sostanza, assai raro. E tele restrizione sarà praticamente possibile, in quanto le nuove disposizioni, limitando il temilo della legislazione vera e propria, consentiranno di provvedere mediante semplice decreto reale ad una quantità di casi, pei quali oggi occorre una legge. Non basta. In questi casi, per cui oggi occorre un decreto- legge, e in cui sarà sufficiente il decreto reale, trattandosi di facoltà riconosciute oramai al potere esecutivo, vi sarà una serie di garanzie che oggi mancano. Prima di tutto vi sarà il controllo dell 1 autorità giudiziaria, perchè so l'autorità giu¬ diziaria non può esercitare un controllo dì natura poli¬ tica.. quindi sull" emanazione da parte del Governo di una legga in senso formale, può invece benissimo (come ac¬ cade anche oggi) controllare Fuso del diritto di ordinanza. Ampliato questo diritto, aumentato cioè il tempo della fa¬ coltà regolamentare, viene correlativamente aumentato anche il campo del controllo gmrhdidonale. Anzi, per questo com¬ pito molto largo, che d’ora innanzi spetterà al magistrato, sarà forse il caso di studiare qualche norma clic ne renda più agevole Pad empirne rito: questa, per esempio, ria inserirsi nei codi ! di procedura, che, quando viene eccepita la incostituzio¬ nalità di un regolamento approvato con decreto reale, la que¬ stione debba essere portata direttamente davanti alla Cassa¬ zione di Roma, cosi come avviene oggi per Feccezlone di incom¬ petenza dell’autorità giudiziaria. Poi ci sarà la garanzia del parere del Consiglio di Stato. — 185 — Non bisogna dimenticare che i decreti legge si fanno oggi senza il parere del Consiglio di Stato ed è logico, perchè l’ur¬ genza ne è il presupposto. Invece tutta la materia, che d’ora innanzi rientrerà nel campo del diritto di ordinanza, sarà sotto¬ posta all’esame ed al parere del Consiglio di Stato. Dirò anzi francamente che mi preoccupo alquanto dei ritardi a cui darà luogo questa prescrizione così rigorosa. Sarà forse il caso di studiare qualche riforma all’ordinamento del Consigl’o di Stato, per cui questo sia messo in grado di adempiere con maggiore rapidità le nuove funzioni che la legge gli affida. Si deve notare in ultimo che oggi coi decreti-legge s’impe¬ gnano spese senza l’approvazione preventiva del Parlamento. Coi decreti fatti in base ai nuovi poteri conferiti al Governo, si potrà bensì modificare gli ordinamenti amministrativi e quindi anche gli organici, ma non si potranno impegnare spese senza che queste siano sottoposte al Parlamento per la approvazione in sede di bilancio. Quindi le garanzie crescono invece di diminuire. Non credo adunque che sia il caso di allarmarsi per questi, iri apparenza, ma in apparenza soltanto, più ampi poteri che si conferiscono al Governo. Se si reputa utile e necessario il principio della divisione dei poteri, si deve volere altresì che esso sia realizzato effettivamente e non resti una vana parola, una platonica affermazione. Il disegno di legge in realtà intende, di fronte allo stato di cose ormai consolidato, non di diminuire, ma di aumentare i compiti e l’autorità del Parlamento. E vengo brevemente ad illustrare alcuni punti fondamen¬ tali del disegno di legge, anche per rispondere alle benevoli osservazioni fatte dagli oratori che mi hanno preceduto, i quali molto ringrazio per il contributo dato allo studio dell’impor- tante argomento. 11 disegno di legge, come bene ha rilevato il relatore, se¬ natore Berio, consta di due parti: una parte contiene la disci¬ plina del diritto di ordinanza, l’altra la disciplina dei decreti - 186 - legge, cioè delle facoltà propriamente legislative deferite al Governo. Come bene ha osservate il relatore, questo disegno di legge è un tutto organico: si è voluto agire sulle cause e sugli affetti del fenomeno. Si è agito sulle cause, diminuendo le ra¬ gioni di ricorrere ai decreti-legge, cioè facendo rientrare nella competenza propria del Governo tutto quelle materie che tra¬ dizionalmente gli appartenevano e che gli sono state sottratte per necessità contingenti, in parte indipendenti anche dalla volontà del Parlamento. Molte facoltà infatti sono passate dal campo regolamentare a quello legislativo per un fatto connesso con la guerra: la delegazione di poteri legislativi avve¬ nuta con la legge 23 maggio 1915, che, facilitando al Governo l’emanazione di norme con effetto di legge, lo portò ad am¬ pliare inconsapevolmente il campo legislativo, a danno del campo regolamentare. Basta infatti che una sola volta una materia sia regolata per legge, perchè essa diventi materia legislativa. Ma ampliare il campo legislativo, ha significato moltiplicare la necessità dei decreti-legge, dopo cessata la ge¬ nerale delegazione. È tempo di mettere ordine in questa materia; è tempo di restituire al potere esecutivo le materie che rientrano nella sua competenza specifica e che sono appunto quelle enumerate ne¬ gli articoli 1 e 2 del disegno di legge. Sono stati sollevati dubbi su questo punto; ma la rispo¬ sta è stata poi data in modo esauriente dai senatori Schanzer e Berio e io potrei limitarmi a rinviare a quanto essi hanno detto così bene e con tanta chiarezza. Sarò quindi brevissimo. Si sono chiesti schiarimenti intorno ai così detti regolamenti indipendenti, sopratutto dal senatore Gallini; si è domandai» che cosa sono e che si intende per norme con cui il Governo disciplina le facoltà che gli sono conferite dalla legge. Rispondo subito che non si tratta che del riconoscimento di una facoltà .insita nel concetto stesso del potere esecutivo. Ogni legge riconosce al Governo una certa quantità di — 187 — poteri, nel campo dei quali esso può agire discrezionalmente nell’interesse della cosa pubblica; nessun dubbio che, nella sfera delle sue facoltà, il Governo possa disciplinare la sua a- zione, autolimitarla ; questo è il caso dei così detti regolamenti indipendenti. Si tratta dunque di un principio generale, che vale per l’amministrazione pubblica, come vale per l’amministrazione privata: chiunque ha una facoltà la può autodisciplinare. Siamo dunque in un campo che non concerne affatto i rapporti tra il potere esecutivo ed il potere legislativo; siamo invece nel campo proprio del potere esecutivo. Se, pertanto, si è ritenuto opportuno di riconoscere in modo espresso la fa¬ coltà del Governo di fare regolamenti nel proprio campo, ciò è avvenuto unicamente per una ragione sistematica e di com¬ pletezza legislativa, non perchè ve ne fosse, a stretto rigore, bisogno. Diverso è il caso dei regolamenti di organizzazione sui quali però la discussione è stata ampia e credo esauriente. Il senatore Berio ha detto benissimo: i regolamenti di organizzazione riguardano i rapporti interni della stessa am¬ ministrazione; quindi, ogni qualvolta si tratta di rapporti tra amministrazione e cittadini, siamo fuori del campo dei regola¬ menti di organizzazione. Questo criterio è sufficiente a risolvere tutti i quesiti pro¬ posti. Prendiamo, ad esempio, il problema dell’ordinamento del¬ l’esercito. Questo problema ha un aspetto formale ed un a- spetto sostanziale. Dal punto di vista formale si può benissimo sostenere, come è stato sostenuto dal senatore Berio, che 1 eser¬ cito non è un’amministrazione dello Stato, ma una delle isti¬ tuzioni fondamentali dello Stato; il suo ordinamento perciò non concerne l’organizzazione amministrativa in senso proprio. Vi sono poi le ragioni sostanziali: un lato essenziale dell’ordina- mento dell’esercito è il reclutamento, e il reclutamento è senza dubbio materia di legge, perchè concerne le misure e le forme - 188 — del contributo personale che ogni cittadino atto alle armi deve dare allo Stato per l’organizzazione delle sue forze armate. Vi è poi la forza bilanciata, altro elemento decisivo, che, riflet¬ tendosi sulla spesa, diviene materia di legge. E poiché ogni or¬ dinamento dell’esercito poggia necessariamente sul reclutamento e sulla forza bilanciata, basterebbero questi due limiti per ricon¬ durre la materia delPordinamento militare nel campo legislativo. Non ho pertanto difficoltà a dichiarare che tutto l’ordi¬ namento dell’esercito è, nel concetto del Governo, materia di legge e non di regolamento di organizzazione. A questo pro¬ posito anzi sono autorizzato a dichiarare che il progetto di nuovo ordinamento dell’esercito è ormai pressoché ultimato e sarà presto presentato al Parlamento. Quanto alla pubblica istruzione, il senatore Schanzer ha fatto l’obbiezione e ha dato anche la risposta. L’ordinamento della pubblica istruzione rientra per sé nella facoltà regola¬ mentare, ed è giusto che cosi sia perchè oggi siamo arrivati a tal punto, mi diceva il collega Fedele, che non possono mutare i metodi di classificazione degli studenti senza fare una legge, non si può trasformare lo scrutinio bimestrale in trime¬ strale, o viceversa, se non per legge. Orbene, questa è una esa¬ gerazione. Se invece consideriamo, non più. i rapporti di or¬ ganizzazione interna dell’amministrazione della pubblica istru¬ zione, ma i rapporti coi cittadini, l’obbligo dell’istruzione ele¬ mentare, per esempio, siamo evidentemente fuori del campo regolamentare, perchè è in questione la libertà personale dei cittadini. Con lo stesso criterio vanno risolute le altre que¬ stioni che sono state sollevate in questa discussione. Il senatore Gailini si preoccupa delle cooperative, ma si tratta evidentemente di enti di diritto privato, che non hanno nulla da vedere con la organizzazione interna dell’amministra¬ zione. Delle cooperative si occupa il codice di commercio; basta questo per escludere che possano essere disciplinate per re¬ golamento. Quanto alle Casse di risparmio e agli Istituti di emissione. - 189 — tutto ciò che è pura organizzazione interna può essere oggetto di regolamento, quello invece che riguarda rapporti fra gli istituti e 1 terzi, e sopratutto la facoltà di emissione, è, senza dubbio, materia dì legge. Resta la questione dei contratti dello Stato la quale ha minacciato per un momento di diventare una grossa questione, mentre si tratta di cosa di scarsa importanza pratica, perchè tutto si riduce aU’abrogazione dell'articolo 21 della legge di contabilità generale dolio Stato, per cui la vendita di beni im¬ mobili si deve fare per legge; questo è un reliquafeo di vecchio concezioni economiche, specialmente della importanza sover¬ chi ante, che si dava in altri tempi alla proprietà immobiliare, ni confronto della mobiliare; e per cui si ammetteva che tutti i contratti concernenti beni mobili si potè stero approvare con atto dei potere esecutivo, ma si richiedeva ohe quelli sugli immobili fossero approvati per leggo. In verità nella struttura economica moderna la proprietà mobiliare ha importanza mag¬ giore deila immobiliare, e quindi è oggi ben strano che lo Stato si possa vincolare per centinaia di milioni, per miliardi, quando si tratta di beni mobili, ma non possa fare contratti per poche migliaia di lire quando si tratta di immobili. Non vi ?ono più limiti dunque alla f.;colta di contrattare del Governo P Ve ne sono e parecchi ; prima di tutto II limite della spesa, che deve essere iscritta in bilancio g approvata per legge: vi sono le interferenze eoi diritti privati, che non pos¬ sono essere toccati se non per legge. Ilo sentito pad.ir? della possibilità di affidare a privati un monopolio, ma il monopolio implica una facoltà di tassazione e lo Stato non può dare a un privato facoltà di Esigere imposte senza una legge. Vi è poi un'ultima osservaziono a proposito dei con¬ tratti, quando essi hanno importanza politica fondamentale. Sarà perciò solo opportuna la presentazione al Parlamento i?er l'approvazione ; ed è appunto in base a questa opportunità po¬ litica che molti contratti i quali, anche secondo il diritto vi- - 190 — gente, si sarebbero potuti fare anche senza una legge, sono stati sottoposti al Parlamento- Mi rimane da dire qualche cosa sopra la disciplina dei decreti legge in senso stretto, cioè sopra la facoltà elio viene conferita al Governo, in determinati casi, di assumersi i po¬ teri del Parlamento e di fare leggi anche in senso formale, norme cioè capaci di derogare a leggi del Parlamento. Sarò breve perchè il problema è stato ampiamente di¬ scusso dal Senato, anche in sede di esame del progetto Scia- loia. Noterò anzitutto il carattere eccezionale dello facoltà concesse al Governo. Il Governo non può omettere decreti aventi forza di legge, se non in casi straordinari, quando vi sia assoluta necessità ed urgenza. Sopra la necessità e Tur- genza non si ammette altro controllo che quello politico del Parlamento, In secondo luogo il decreto legge, cioè la legge in senso formale emanata dal governo, ha un valore solamente tem¬ poraneo. E qui devo completamente associarmi alle osserva- sioni dello no re voi e senatore Sehanzer che, da autorevole cul¬ tore di diritto costituzionale convè, ha dato una definizione per me esatta anche in linea dottrinale, dei decreti legge, nel sistema del presente disegno. Si tratta di leggi temporanee o provvisorie. Credo anch'io clic sia questa Tunica costruzione possibile dei decreti legge: considerarli, come altri vorrebbe, leggi sottoposte a condizione risolutiva, e quindi annullabili ex fune significherebbe andare incontro a tali difficoltà pratiche, da far preferire Fattuale stato di cose. Un’altra caratteristica del disegno di legge, e su questo plinto io credo vi sia un reale progresso sui tentativi anteriori, è quella di avere stabilito una procedura parlamentare auto¬ matica e rapidissima per Tesarne dei disegni di legge di con¬ versione. È un punto questo molto Importante, su cui mi per¬ metto di richiamare Taftenzione del Senato: ci siamo sforzati di creare un sistema tale, per cui il Parlamento fosse Immedia¬ tamente investito delFèsame del disegno di legge di conver- ' - — 191 — sione, e il disegno di legge facesse la sua strada automati¬ camente. Una volta emanato, esso deve essere presentato ab Parlamento entro tre giorni dalla sua apertura; una volta presentato, esso passa dalla Camera al Senato e viceversa, senza bisogno di presentazione; non decade per la chiusura della sessione; insomma su di esso il Parlamento deve pronunciarsi necessariamente ed in tempo breve. Non solo, ma è organiz¬ zato tutto un sistema di pubblicità che è pure una particolarità del disegno di legge. Per esso il magistrato è messo in grado di conoscere tutto il corso della procedura parlamentare e Pesilo dell’esame del Parlamento. Il decreto infatti deve essere pubblicato nella Gazzetta Ufficiale ; la presentazione al Par¬ lamento deve essere annunziata nella Gazzetta Ufficiali. 3 ; la reiezione è pure annunziata sulla Gazzetta Ufficiale; dimo¬ doché il magistrato conosce tutte le fasi della vita del decreto- legge, e quindi è messo nella condizione di constatare se esiste qualcuna delle circostanze per cui ha luogo la decadenza. Le garanzie mi sembrano molto serie ed organizzate tecnicamente in modo pratico. Sono possibili obbiezioni, ed è naturale, in una materia Cosi grave. Mi sforzerò di rispondervi. L stata criticata l’effi¬ cacia dei decreti-legge medio tempore , cioè fra il momento della loro pubblicazione e quello della reiezione oppure del termine. Non era possibile fare in modo diverso: se si ammette la necessità di ricorrere qualche volta, sia pure eccezionalmente, ai decreti-legge, bisogna ammettere anche la loro validità provvisoria, la loro efficacia nel periodo intermedio, altri¬ menti andiamo incontro a difficoltà pratiche difficilmente risolubili. Vi sono del resto i correttivi che si trovano nello stesso disegno di legge. Per me il piu importante è sempre la cer¬ tezza e la rapidità dell’esame del decreto da parte del Parla¬ mento. Se il disegno di legge di conversione incontra tali opposizioni nell’opinione pubblica e nel Parlamento, da far ritenere che il decreto ripugni alla coscienza giuridica del Paese, esso avrà una vita brevissima, perché una volta presen¬ tato ad una delle due Cartiere sarà rapidamente preso in esame e fatto decadere. lo trovo poi molto giusta Posscrvaziouf! dell-onorevole senatore Gali ini. Quando alla coscienza del Parlamento ri¬ pugna un decreto in modo da doversene perfino cancellare gli effetti già prodotti, basterà dichiararlo esplicitamente con una apposita norma di legge. Yi è poi il lato politico del problema, clic rimane sempre decisivo. Se il governo fa un decreto legge che incontra la ripro¬ vazione del Parlamento e della pubblica opinione, fino al punto da ritenersi necessario di cancellarne gii effetti pro¬ dottisi medio tempore, si darà luogo a una crisi politica, la cui soluzione darà anche la soluzione del problema legislativo. Un'altra difficoltà è stata sollevata a proposito delle condanne penali. Anche in questo io non posso e ho assordarmi alle giustissime osservazioni del relatore. Non sarà molto pro¬ babile che si facciano decreti che creino nuovi reati, ma il ea*o può darsi. Se un decreto-legge di questo genere non ò conva¬ lidato e decade, si applicherà l'articolo 2 del codice penalo. Facciamo l’ipotesi di condanna, penale emessa in base ad un decreto- legge, che cesai di aver vigore per negata ratifica o per scadenza del termine, È chiaro che siamo nel caso di una legge abrogata, in luogo della quale riprende vigore la legge vecchia. Abbiamo dunque un mutamento di legislazione e perciò* se la legge nuova è piu favorevole, si applicherà la leggo nuova con effetto retroattivo. L onorevole senatore Perla ha mosso qualche critica ai termine biennale., che gli sembra troppo breve. Egli è dunque, in certo senso* piu realista del più governativo del Go¬ verno. A noi il termine biennale sembra sufficiente, lì vero che, il fatto che i! Parlamento non si è occupato del decreto in questo periodo di tempo, potrebbe far presumere la sua — 193 — .acquiescenza. Ma in una materia di questo genere non è bene procedere per presunzioni. D'altro canto uno stimolo al solle¬ cito esame del decreto è opportuno tanto per il Governo quanto per il Parlamento. È bene che il provvisorio non si pro¬ lunghi troppo. Se poi in qualche naso eccezionale dovesse av¬ venire che il termine biennale scorresse senza la ratifica del Parlamento, io credo che non sarà gran male che il decreto cessi di aver vigore. Ciò significherdbbe che esso non interessa più nessuno* Ma si tratta di casi estremi, di casi, per cosi dire, acca¬ demici, che nella realtà pratica si verificheranno ben di rado. Comunque, il termine dei due anni sarà molto utile e fan zio - nera da stimolante per risolvere questioni che altrimenti rimar¬ rebbero troppo temilo in sospeso. L'onorevole senatore Perla tra i danni di questa facoltà dì legiferare per decreto legge pone quello delia improvvisa¬ zione, Ed è vero; giacche questo difetto dipende appunto dalla mancanza di nna discussione; ma noi, onorevoli senatori, con questo disegno di legge restringiamo talmente il campo della legislazione per decreto che V inconveniente diverrà limitato. Tutta la materia poi die rientrerà nel diritto di ordinanza, su¬ birà un esame preventivo da parte del Consiglio di Stato, ga¬ ranzia amplissima di serietà, di giustizia e di maturità di esame. Onorevoli senatori, concludo. Questo disegno di legge in realtà limita i poteri del governo e tale limitazione, die sa¬ rebbe stata pericolosa in altri tempi, diventa oggi possibile, per il rinnovamento che subisce tutta la nostra ìegi si azione. Più adeguata ai tempi e alle necessità dello Stato è la 1 ?gisla- zione, meno sarà necessario modificarla. LI passo che facciamo verso una nuova normalità di Governo è decisivo. Quando avremo informato al nuovo spirito die anima Ì1 governo ed il regime fascista tutto IOrdinamento giuridico, potremo star rigidamente nella legalità. La necessità di uscire dalia legge, che in certi momenti 13 — 194 — si impone, finisce per indebolire la fibra legale del paese. Il che è sempre un pericolo ed un danno. Il governo fascista invece, il quale vuol ripristinare in ogni campo l’ordine e la disciplina, desidera che il senso della legalità sia rafforzato, ma perchè ciò avvenga è necessario che alla vecchia legalità si sostituisca la nuova legalità, la legalità fascista. Così, dopo aver messo ordine nella vita del Paese e nell’amministrazione dello Stato, metteremo ordine anche nella legislazione (Ap¬ plausi, congratulazioni ). LEGGE SULLE ATTRIBUZIONI E PRE¬ ROGATIVE DEL CAPO DEL GOVER¬ NO, PRIMO MINISTRO SEGRETARIO DI STATO, BELA ZIGANE SUL DISEGNO DI LEGGE (*) Il presente disegno dì leggo, così come quello sulla fa¬ coltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche, appro¬ vato dalla Camera neiFultimo periodo dei lavori parlamentari, ha certo carattere e portata costituzionale; ma, come quello, intende più che a rinnovare profondamente, a consacrare e consolidare consuetudini già introdotte nella pratica costitu¬ zionale italiana, che hanno preso forma precisa e definitiva sopra tutto nell MI timo triennio; Ed in verità, fin dai primi anni dellapplicazione dello Statuto, la figura del primo mi¬ nistro 0 presidente del Consiglio dei ministri, come si usò chiamarlo, ebbe un importante rilievo. Eu, questa, una conse¬ guenza necessaria dell introduzione del regime parlamentare che rapidamente si sovrappose, superando la lettera e lo spirito dello Statuto* al regime semplicemente costituzionale consa¬ crato nella legge fondamentale del Eegno sardo* (*) Presentata dal Presidente del Consiglio del Ministri (Musso¬ lini) di concerto col Ministrò della Giustizia e degli Affari di Culto (Hocco), Seduta del 18 novembre 1925* - 196 - Nella vecchia monarchia piemontese* capo dei ministri era lo stesso Sovrano, che 11 nominava, li revocava, e li diri¬ geva sin gol arm ente. In questo regimo un Collegio o Consiglio dei ministri non esisteva: l’unità del Governo si riassumeva nella persona del Re* Ma — Introdotto il regime parlamentare e con questo il Governo di gabinetto — si prese a ravvisare nel Ministero una unità giuridica e sorse la figura del mini¬ stro presidente del Consiglio, che questa unità personificava. Tuttavia,.per parecchi anni, nessuna norma giuridica ri¬ conobbe la figura del presidente del Consiglio e ne disciplinò b funzioni. Solo eoi Regio decreto 2T marzo 1867, ri, 36 U), sulla competenza del Consiglio dei ministri, furono precisato le attribuzioni del presidente con norme, che stabilivano la sua posizione preminente nel seno del Gabinetto, Ma 0 prov¬ vedimento ebbe breve vita.; che con successivo decreto del 28 aprile dello stosso anno fu revocato, e la determinazione dei rapporti fra i ministri e il presidente del Consiglio fu rinviata ad un regolamento interno dei Consiglio dei ministri, da approvarsi dal Consiglio stesso. Bisogna giungere al 1876, nel quale armo, con Regio decreto del 25 agosto, n. 3289, mentre si stabilivano gli oggetti da sottoporsi alla delibera¬ zione del Consiglio dei ministri, si riproducevano quasi inte¬ gralmente le norme con tenute nel decreto del 27 marzo 1867; e questo norme passarono, nella loro linee generali, nel succes¬ sivo Regio decreto 14 novembre 1901, n, 460, tuttora vigente. In questo provvedimento, per quanto di carattere pili regolamentare ed amministrativo, che costituzionale, la figura del ministro presidente assume un certo rilievo. Il precidente del Consiglio è — secondo il decreto del 1901 — il capo del Ministero; egli ha la rappresentanza dei Gabinetto, mantiene l'unità delT indirizzo politico e amministrativo di tutti i Mi¬ nisteri, cura 1 adempimento degli Impegni presi dal Governo nel discorso della Corona e nelle manifestazioni fatte nel Parlamento e nel Paese; presenta al Parlamento Ì disegni di legge che riguardano Pammi lustrazione generale dello Stato — 197 — Oirfcicolo 6); ha facoltà di richiedere ai ministri notizie sul- l J osedizione delle deliberazioni del Consiglio dei ministri (arti¬ colo 7), ha diritto di essere informato preventivamente dal ministro degli esteri di tutte lo note e comunicazioni che im¬ pegnino la politica estera dei Governo (articolo 9) e da ciascun ministro di tutti i decreti, che intende portare alla firma Reale, con facoltà di sospenderne ìi corso e deferirne Pesame al Con¬ siglio dei ministri (articolo 8), Nella sua qualità di Capo del Gabinetto, il presidente controfirma i decreti di nomina dei mi¬ nistri segretari dì Stato (articolo 10); convoca le adunanze del Consiglio dei ministri, ne dirige le discussioni e conserva il registro delle deliberazioni (articolo 3); controfirma* insieme ai ministri competenti, ì decreti per i quali sia stata necessaria una deliberazione ded Consìglio (articolo 10). Malgrado V innegabile valore di queste disposizioni, la porno ne del ministro presidente non è stata, nella pratica co- Rtifuzi oliale italiana., sempre identica. Preminente e decisiva in taluni perìodi e con taluni uomini (basti ricordare la revoca del ministro delle finanze Seismit Roda decretata nel 18 9 D su proposta de) presidente del Consiglio Crispi), divenne in¬ certa e scialba in altri periodi e con altri uomini. Ma una decadenza grave dell* Istituto fu segnata, negli anni antecedenti all'avvento del Governo fascista, dall 1 introduzione della rap¬ presentanza proporzionale. In questo periodo di disordino costi¬ tuzionale, il concetto del Governo di Gabinetto, rappresentante di un partito, unità organica c elidale sotto un unico capo, venne meno. Divenuta la Camera una somma di minoranze, anche il Gabinetto diventò una coalizione dì minoranze* in cui ciascun partito aveva la sua rappresentanza. In questa coa¬ lizione di forze eterogenee, ogni unità d 1 indirizzo e di azione venne meno; non era possibile attuare allo stesso tempo con¬ cezioni diverse ed opposte dello Stato. Nei contrasti continui che contrassegnavano la vita di quegli effimeri Ministeri, ogni ministro prese la via che le sue ìdse e gli ordini che riceveva* fuori del Gabinetto, dal suo partito, gli indicavano. Di qui - 198 — la paralisi delibazione di Governo propriamente dotta, la fine dell’unità del gabinetto e dell'autorità direttiva del presidente, J1 sopravvenire del redime fascista ha profondamente mutato la situatone del Ministero e del suo capo. L’unità del Gabinetto e Fautori tà preminente del presidente vennero re¬ staurate, secondo le norme dei decreti del 1867, del 1873 e del 1301 e secondo la tradizione costituzionale italiana, inter¬ rotta nel 1919. Ma con un significato alquanto diverso, con linee più decise e con maggiore energia. Da un canto Infatti l’essere il Governo espressione di un solo partito, predoni mante per forze e per volontà, dette al Ministero unità d’indirizzo, e quindi forza nella decisione c nell à zio ne. Dalli litro Tessere il presidente del Consìglio anche il capo del partito dominante, diede a lui una autorità indiscussa e tal ’ da fame II vero capo del Governo, E l’uso comune come tale prese a designarlo, In tale condizione dì cose Tunità del Gabinétto è stata ri- costituita, ma non più precisamente nel senso, in cui l'aveva Intesa la pratica costituzionale anteriore al 1919, ma in senso ina organico e più prati o. Ed in verità il Governo di Gabinetto era stato inteso piuttosto nel senso di una totale solidarietà tra i vari ministri, in modo che ciascuno fosso responsabile di tutti gli atti degli altri, che nel senso di una vera unità di Indirizzo e di azione politica. In tal modo l’uniformità del Ga¬ pinetto era divenuta per esso piuttosto causa di debolezza che di forza; essa serviva a moltiplicare I punti vulnerabili e quindi le ragioni o i pretesti di attacco, e a rendere perciò più agitata e più breve la vita dei Ministeri. Nella pratica dell’ultimo triennio invece, l'unità del Ga¬ binetto è stata intesa nel suo senso più vero come unità di indi¬ rizzo e di azione. Questa unità fu mantenuta rigidamente dal presidente del Consiglio, Capo del Governo, [n tal modo il concetto della solidarietà venne superato ed assorbito. Quando l’indirizzo politico è unico, cioè quando Fazione è omogenea, non vi è luogo alla solidarietà, che presuppone Teberogeneita dell’azione. Fuori dell’unità resta ciò che si attiene piuttosto id - 199 — campo tecnico clic a quello politico, nel confini del quale può esplicarsi l'opera individuale e separata dei vari ministri. A nelle a questo campo la pratica antica estendeva la responsabilità solidale del Gabinetto. La pratica recente b ha giustamente esclusa. La posizione costituzionale del ministro presidente è uscita dunque rinvigorita e resa più precisa da questa evoluzione. 11 primo ministro è il vero Capo dei Governo, che da unita alla sua composizione ed alla sua azione: unita d indirizzo politico, non solidarietà nei dettagli tecnici dell 3 azione. 11 disegno di legge* die sottoponiamo al vostro esame, mira a definire con chiarezza questa posizione. I rapporti del Governo di fronte alla, Corona restano quali sono definiti dallo Statuto. Il Ile, die riassume in sè l’unità dello Stato ed è capo c partecipe dei tre poteri, è anche il Capo Supremo del potere esecutivo (articolo 5 dello Statuto). Ma* per la irrosponsabilità costituzionale, die accompagna tutti i suoi atti, per cui ogni suo decreto deve essere contro- firmato da un ministro responsabile (Statuto, articolo 76), egli esercita questo potere per mezzo dei suoi ministri. I mi- Bistri essendo costituiti ìli un Gabinetto, che opera unitaria' mente sotto la direzione di un capo, il primo ministro, o mi¬ nistro presidente* il Gabinetto, o Governo, è effettivamente lo strumento, per mezzo di cui il Re esercita il potere esecutivo. Giustamente si parla, nell’uso corrente* di «Governo del He ». Ed esattamente l%rfeieolo 1 del disegno di legge dichiara, illustrando con assoluta fedeltà lo Statuto, che il Re esercita il potere esecutivo per mezzo del suo Governo; che il Governo del Re è costituito dal primo ministro e dai ministri, e che il primo ministro è Capo dei Governo. I ministri restano, come il primo ministro, ministri del Re, e sono* come il primo ministro responsabili verso di lui; questo dichiara appunto 1 ar¬ ticolo 2 dei disegno di legge. Ma, agendo sotto la direzione de) primo ministro essi sono altresì responsabi Li verso di questo* come lo stesso articolo 2 stabilisce. Identificato, come si deve, — 200 — il Ministero col Governo, è giustificato l’uso ormai invalso* e che il disegno di legge consacra, dei termino « Capo del Governo » per designare il primo ministro* I rapporti tra primo Diinistro e ministri restano egual¬ mente ciucili stabiliti dalla tradizione e dal decreto del 1901* seppure sono precisati con qualche maggiore energia. Il primo ministro è il capo dei ministri, non più soltanto prlmu-s iìiter parm» Egli dirìge raziono di tutto il Gabinetto e, per quel che riguarda V indirizzo generale politico del Governo* c il tramite tra i ministri e il Re. I rapporti diretti tra i ministri e il Re, Capo supremo del potere esecutivo* esistono* ma con¬ cernono la sfera particolare d’azione di ciascun ministro; ciò che concerne l’indirizzo generale del Governo è materia riser¬ vata al primo ministro, ed egli ne risponde direttamente e personalmente verso il Re, In questa configurazione giuridica, Porgano che riduce ad unità, razione dei ministri è il primo ministro, non il Con¬ siglio dei ministri . H Consìglio è organo consultivo della Corona; organo il cui parere è obbligatorio nei casi determinati dalla legge e dai regolamenti, e, sotto questo aspetto, utilis¬ simo* perchè una discussione preliminare approfondita, in un ristretto collegio, su tutti i più gravi affari delio Stato, e indispensabile, ma il Consiglio del ministri è per la sua stessa natura, disadatto ad esercitare sui ministri quell’azione continuativa ed energica, che è necessaria per dare unità all'opera loro* Questa azione, dice l’articolo ,3 del disegno di legge, formulando in modo sintetico un concetto già esistente nel decreto del 1901, è esercitata dal Capo del Governo* Quanto ai rapporti tra Cape del Governo, che è quanto Idire* tra Governo e Parlamento, essi sono di carattere essenziale meni® politico e sfuggono ad una definizione legislativa* Il di¬ segno di legge non la tenta neppure e si limita a dettare neh particolo d qualche norma per rafforzare la posizione del Gabinetto e difenderlo contro Pabuso delle discussioni mera¬ mente politiche e i tranelli delle questioni procedurali* La di- sposiziono, per etti il Governo può opporsi a che un oggetto ma posto all’ordine del giorno delle due Camere, mentre non impedisce che LI Parlamento, quando lo svolgimento naturalo dei suoi lavori ve lo conduca, discuta l'opera del Ministero, rende meno fa ili c frequenti le discussioni polpi die ini prò v vi- saie c tumultuarie, ripetentisi a getto continuo con stucchevole monotonia. La disposizione poi, contenuta nello stesso arti¬ colo 6, concernente le proposte di legge rigettate o modificato da una delle due Camere, risponde ad una duplice necessità: quella di ovviare agli in con venienti della consuetudine invalsa da un quarto di secolo, di far le legislature di una sola seséono, per cui un disegno di legge respinto da una della due Camere non può oramai essere ri presentato che nella legislatura se¬ guente; e quella di non ripetere inutilmente discussioni già fatte una volta. Di qui la norma per cui il Governo può ri¬ preseli tare un progetto di leggo rigettato da una delle due Ca¬ mere, quando siano trascorsi tre mesi, senza bisogno perciò di chiudere la sessione: e l’altra norma per cui un progetto già discusso, e ripresentato o ritrasmesso dall'altra Camera non viene ridiscusso per intiero una seconda volta, ma solo nei punti eventualmente emendati. Questa piccola riforma proce¬ durale ha importanza notevole, perchè libera le due assemblea da molto inutile lavoro; e, rendendo più agevoli gii emenda¬ menti, aumenta la loro reciproca libertà di esame e di critica. , Le altre disposizioni del disegno di logge non hanno bisogno di illustrazioni. Si tratta dì confermare al primo ministro funzioni clic già esercita (articolo a), di dargli nella nella gerarchia delle alto cariche dello Stato la posizione preminente che gli spetta (articolo 7), di tutelare efficace¬ mente la sua vita, la sua libertà, la sua integrità e il suo decoro contro gli attentati e le offese, correggendo opportu¬ namente la legislazione penalo vigente, che accomuna in una imperfetta tutela tutti i pubblici ufficiali, dal più alto al più umile, dal primo ministro alla guardia campestre, senza diffe¬ renze c senza distinzioni (articolo 9), — 2Q2 - Con questo disegno di legge la figura del Capo del Go¬ verno italiano prende contorni precisi e, di fronte a tutti i tipi di primi ministri conosciuti in altri paesi, autonoma cd originale. Il Capo del Governo italiano non è infatti il ministro di uno Stato semplicemente costituzionale, corno la. repubblica degli Stati Uniti d'America o Fantino Impero germanico. In questi regimi* il Capo dello Stato è anche Capo dei Governo, perchè esercita personalmente il potere esecutivo, e i suoi mi¬ nistri sono semplici esecutori della sua volontà, suoi collii tara¬ tori diretti. Si errerebbe perciò gravemente parlando ili c Can¬ cellierato ». Il cancelliere germanico non era che il ministro unico di un Capo di Stato governante direttamente; i suoi poteri erario in fatto, estesissimi, ma in diritto nulli, perchè tutti appartenevano all' Imperatore. Ma il Capo del Governo italiano non è neppure con asso¬ luta precisione il presidente del Consiglio di uno Stato pura- mente parlamentare, come FInghilterra o la Francia, o la Repubblica imperiale tedesca. In questi Stati il Capo del Co- verno è soltanto il mandatario della maggioranza parlamen¬ tare, che zio ove una investitura formalo dal Capo dello Stato. Il nostro primo ministro è il Capo riconosciuto di ingenti forze politiche, economiche, morali esistenti nel Paese e rappresen¬ tate nel Parlamento, la valutatone della cui importanza è rimessa alia decisione del Sovrano, A questa concezione Schiettamente italiana, frutto dallo sviluppo autonomo della vita e del diritto pubblico d 7 Italia, -siamo sicuri che darete il vostro suffragio. Attribuzioni e Prerogative del Capo del Governo. DISCORSO AL SENATO (*) Onorevoli senatori, non farò un discorso, perche Tonerevole senatore Gabba, relatore delTUfficio centrale, ha veramente in modo perspicuo, risposto alle obiezioni mosse a questo di¬ segno dì legge. Ma qualche cosa bisognerà forse dire. 11 disegno di legge è importante; esso ha valore costituzionale. Ma ciò non signi¬ fica affatto che innovi profondamente sulla costituzione; il Governo a cui ho Tenore di appartenere, ha sempre proceduto con alto senso di responsabilità, prudentemente e per gradì sulla via delle riformo costituzionali. Credo che mai Governo, uscito da un rivolgimento profondo, come quello dell ottobre 1922, fila stato così circospetto nella revisiono delle leggi fonda- mentali. Quello che e ? è di nuovo in questo disegno di legge non solo si ricollega direttamente con gli ordinamenti vigenti, ma in xSOstanza, non fa che dare carattere legislativo a consuetu¬ dini costituzionali, ohe hanno fatto la loro prova, specie negli ultimi tre armi. 11 Governo di gabinetto, nella sua assenza, presuppone una forte direzione ed un solo capo. infatti 1 Inghilterra che {*) Discorso pronunziato al Sonato dal Regno nella seduta del 19 dicembre 1925. - ‘204 — è il paese classico del parlamentarismo, e in cui il Governo di gabinetto ha trovato la più genuina espressione, dà, al suo primo ministro, non soltanto la direzione di tutta la politica del Governo, ma anche una assoluta preponderanza nel Mi¬ nistero. Secondo la pratica cotituzionale inglese, il tramite fra la Corona e il Ministero è il primo ministro; non vi sono, si può dire, rapporti diretti tra la Corona e i singoli ministri. Il regime strettamente parlamentare inglese ha realizzato l’unità del gabinetto mediante non la semplice preminenza, ma il pre¬ dominio assoluto del primo ministro. Nel presente disegno di legge non si giunge a questo estremo, perchè non si sopprime il rapporto trai singoli ministri e il capo dello Stato, ma lo si limita al campo tecnico, cioè alPazione specifica dei ministri, come capi di una determinata branca della amministrazione delio Stato. In tal modo sono riservati in modo esclusivo al primo ministro i rapporti col capo dello Stato, per ciò che concerne V indirizzo generale della politica governativa, il che è nella natura delle cose, perchè non è concepibile una pluralità di direzione nell’indirizzo generale della politica dello Stato. Qualche cosa di analogo, del resto, accadeva nei tempi mi¬ gliori aella nostra pratica parlamentare, prima che il costume politico fosse degenerato sopratutto per effetto della pro¬ porzionale. Ed è appunto per evitare la possibilità anche lontana di un ritorno a tali sistemi, che abbiamo consacrato in articoli di legge una disciplina giuridica del Governo di gabinetto, che la consuetudine degli ultimi tre anni aveva in gran parte creato. Il Governo direttorio, il Governo che si ripartisce proporzionalmente fra i partiti, il Governo affare privato dei partiti, è finito; questo è il significato del dise¬ gno di legge. MUSSOLINI, presidente del Consiglio. Non solo in Italia è finito, ma dappertutto. Si veda la Francia e l’Inghilterra. EOCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. L deve esser finito. Il Governo non può essere contemporanea- — 205 — mente r espressione di più pensieri politici tra loro antitetici, deve essere i'espressione di un unico pensiero politico, di una sola concezione dello Stato: altrimenti si lia la paralisi, come si è avuta negli anni antecedenti all'avvento del fasciamo, (Appiatti) . È un vecchio adagio: « il consiglio è dei piu e l’azione di uno »; uno dunque deve essere il capo che dirige il Governo e lia in mano la somma delle cose, cioè V indirizzo generale politico dello Stato. Il Consiglio dei ministri può e deve es¬ sere utilissimo ausiliario e consigliere del capo del Governo, ma non più elio un ausiliario, non già effettivo direttore della vita polìtica del paese. Altrimenti si ha un Governo colle¬ giale o di direttorio che nella storia antica e recente ha fatto sempre pessima prova. Le disposizioni, adunque, che tendono a rinvigorire i poteri del primo ministro, e a conferirgli la direzione effet¬ tiva del ministero, rientrano anche nel concetto del governo parlamentare* Ma in questo disegno di legge è effetti vani onta qualche cosa di più ed io lo riconosco. Ma si deve riconoscere altresì che è mutata la situazione e il modo di agire delle forze politiche, non solo, onorevoli senatori, in Italia* ma in tutto il mondo; perchè sono mutate le condizioni sociali e po¬ litiche di tutti i paesi civili* Non bisogna dimenticare che il governo parlamentare è sorto quando il suffragio era ri¬ stretto e il potere era in mano praticamente ad alcune mino¬ ranze dei ceti borghesi* Allora era possibile concepire che queste éliles, le quali avevano la loro rappresentanza nella Camera elettiva, gover¬ nassero il paese a mezzo di loro mandatari, i ministri, die ri¬ cevevano dal Re una pura investitura formale, ma costituivano effettivamente il Comitato esecutivo della maggioranza. Le cose sono invece mutate profondamente il giorno in cui le masse sono entrate nella vita dello Stato. Finché la rappresentanza politica spetto a gruppi ristretti dì cittadini, riconosciuti per — 206 — tal modo come organi di tutta la nazione, la dipendenza com¬ pieta del Governo dalla Camera elettiva non presentò gravi in- convenienti. La vita sociale era ancora molto semplice, i contrasti di interessi fra le classi scarsi, le masse prive di coscienza politica ed assenti; le ètites borghesi che votavano e governavano costituivano, in sostanza, le sole forze efficienti del paese. Ha, complicatasi la vita sociale, differenziatisi sem¬ pre più i ceti e le classi, entrate le masse nella vita dello Stato, moltiplicatesi quindi le forze politiche efficienti, si credette di provvedere alla nuova situazione con V estensione del suffragio, lasciando intatto il sistema parlamentare. Ma gì errò gravemente, perche le Camere elette a suffragio uni¬ versale, rappresentanza puramente numerica degli elettori, non furono, nè potevano essere l'espressione esatta delle forze politiche esistenti nel paese, dei loro valore reciproco e del loro equilibrio. Furono una rappresentanza puramente quanti¬ tativa, del paese, e quindi una falsa rappresentanza. Di tale stato di cose abbiamo avuto più volte in Italia la prova. L avemmo, e clamorosa, quando, alla vigilia della guerra, trecento deputati si pronunciavano, con un atto di omaggio airou. Gioiitti, per la neutralità, mentre 51 popolo italiano, se non nella sua pura maggioranza numerica, che non ha mai fatto la storia, ma nelle sue forze essenziali, morali, poli¬ tiche ed economiche, si pronunciava per la guerra. E l'abbi amo avuta di nuovo all’avvento del fascismo, ohe lo forze efficienti del paese condussero al Governo, malgrado Fertilità palese della, maggioranza della Camera elettiva. 'Questa è la realtà, dì fronte alla quale si deve concludere che un governo veramente forte, cioè che abbia aderenza so¬ stanziale nel paese, non può essere espressione di quella sola, parziale e incompiuta rappresentanza delle forze effettive della nazione che è la Camera elettiva. Bisogna invece tener conto di altre espressioni e manifestazioni dellequilibrìo delle forre sociali esistenti. Della Camera alta, anzitutto, che rappre- — 207 — senta oggi e che meglio ancora rappresenterà in avvenire Ceon le riforme che prepariamo) altre forze vive importantissime della vita del paese. Vi sono poi le forze non rappresentate, nò alia Camera nè al Senato, o rappresentate in modo inadeguato e imperfetto, perchè il loro valore qualitativo non corrisponde al numero dei voti di cui dispongono. Ora la valutazione della situazione del paese, che è così complessa, così diversa da quella che appare dal puro computo numerico dei voti, e che la Camera elettiva non rappresenta più, non può essere fatta che dal Capo dello Stato, posto, per la sua stessa situazione, al disopra di tutte le forze contrastanti, e perciò, più di ogni altro, in grado di valutarle, L'Italia ha la grande ventura di esser guidata da una dinastia gloriosa, che ha una millenaria esperienza di governo e nel suo spirilo l’arte di governarci popoli è diventata un istinto e una seconda natura. Questo istinto, che non ha mai fallito, è mia forza, in cut bisognava aver fiducia. Non è affatto vero, conio diceva io no re volo senatore Mosca, che il Re non ha libera scelta; ha libera scelta perchè la valutazione che egli fa delle forze esistenti nel paese è insindacabile gin- ridicam ente. Dunque questo disegno di legge non consacra il governo parlamentare nel senso stretto e tradizionale della x>arola, il governo cioè in cui la sovranità ala tutta quanta concentrata nella Camera elettiva, ma neanche il governo costituzionale puro, in cui il potere esecutivo sia tutto nello mani dei capo dello Stato, che l'esercita direttamente, con L’aiuto dì ministri da lui lìberamente scelti, salvo il controllo della Camera; e m eno ohe mai un governo assoluto, in cui il Sovrano concentra in se tutti i poteri e li esercita senza controlli di sorta. Io non sono amico delle definizioni e credo pericolosissimo darne in questa materia. Non definirò per tante* il regime che uscirà dalla nuova legislazione fascista, È un tipo di Governo creato dal nostro spirito, dalle nostre esigenze, dalla nostra _■ wm mi i — ‘208 — pratica. Altri paesi V imiteranno forse, perchè la decadenza del regime parlamentare, come puro dominio della Camera elettiva, è un fononi ero generale in Europa. A nei basta constatare che questo tipo rii Governo risponde ai nostri bisogni, alle nostre abitudini e elio ha fatto ottima prova. Io confido che quando sarà consacrato dalla legge con¬ tinuerà a dare ottimi frutti, non per la fortuna degli uomini e del partito che ì’ hanno creato, ma por la grandezza e Tav- venirti d’Italia. (Àppiami). III. LA RIFORMA DEI CODICI. — 211 — RELAZIONE AL DISEGNO DI LEGGE DELEGA AL GOVERNO DEL RE DELLA FACOLTÀ DI EMEN¬ DARE IL CODICE PENALE, IL CODICE DI PROCE¬ DURA PENALE, LE LEGGI SULL’ ORDINAMENTO GIUDIZIARIO E DI APPORTARE NUOVE MODIFI¬ CAZIONI E AGGIUNTE AL CODICE CIVILE ». (*) Con legge 3§ dicembre 1923, 11 . 3814, il Parlamento con^ cedeva al Governo la facoltà di pubblicare un nuovo Codice civile, un nuovo Codice di commercio, un nuovo Codice di procedura eivile e un nuovo Codice per ìa marina mercantilo. Già durante la discussione del relativo disegno dì legge, da piu parti si levarono voci per chiedere che, in occasione della vasta riforma, che si stava per decidere, fossero sottoposti a revisione anche il Codice penale e quello di procedura penale. E in verità la richiesta appariva ragionevole, perchè Peperà di rifacimento della nostra legislazione codificata non poteva riuscire che incompleta, quando ne fossero rimasti esclusi il Codice penale e quello di procedura penale. Vero è che per Tuno e per PaJtro non valeva la ragione di somma urgenza che aveva determinato, sia pure solo occasionalmente, il Go¬ verno a preparare la riforma degli altri quattro Codici, do- (*) Presentata alla Cam ara dei Deputati nella seduta del 80~ gen¬ naio 1925. — 212 - mandando perciò ni Parlamento i necessari poteri; durgcnm cioè di estendere itilo nuovo provinole tutta la Legislazione italiana, affinate alla unificazione politica seguisse al più presto runificazione legislativa» Già infatti il Codice pe¬ nale e il Codice di procedura penale erano stati estesi alle provlncie annesse, mentre lo stesso non sì era fatto per gli altri Codici, che non ai potevano applicare nell ' nuove provinole senza sostanziali modificazioni. Tuttavia, se questo motivo di urgenza non aveva ragion d’essere per i due Codici penale o di rito penale, altri non meno gravi potevano addursi. Il Codice penale del 1889, che fu certamente opera degna delle grandi tradizioni della nostra scuola di diritto criminale, è, ormai, dopo trenta cinque anni dilla sua pubblicazione, sotto più di un aspetto invecchiato, LI che non è da meraviglia re, chi consideri il profondo mutamento che negli ultimi sejfcte lustri si è verificato nella vita economica, .sociale e politica dell’Italia. Trentaoinque anni, in un periodo storico di cosi rapida evoluzione, ne valgono certamente molti di più di un periodo più statico e più tranquillo. Quante al Codice dì procedura .penale, che ha solo 12 armi di vita, hi .sua revisione è richiesta per altre ma non meno impellenti ragioni. Quel Codice, pregevole sotto molti aspetti e sopratutto dal punto di vista scientifico e sistematico, si è rivelate nella sua pratica applicazione, troppo complicato, troppo dottrinalmente astratto, si da rendere il processo penale piu Intricato, più lungo, più farraginoso ancora che sotto l'antica legge di rito penale. Poiché dunque il Governo del Re, per delegazione avutane dal Parlamento, sta procedendo ad una profonda revisione di quattro dei nostri Codici, sembra logico che la revisione, per riuscire veramente organica e rispondente in tutto alle esigenze attuali della vita italiana, si estenda anche agli altri due Codici e comprenda tutta intera doperà della codificazione. Come, dopo realizzata dunità politica, a pochi unni di distanza nel 1865, si compieva dunifìcazione legislativa, cosi sembra — 213 — giusto che, dopo alcuni anni dalla conclusione felice della grande guerra, t’opera della codificazione venga riveduta e rinnovata. Ponendo mano atta revisione di tutti e sei 1 Codici vigenti, v. naturale che non siano trascurate le leggi sulPordi nani ente giudiziario, materia tormentata anche troppo, in q iresti ultimi anni, e perciò appunto più meritevole di una organica e defini¬ tiva sistemazione, in cui possano trovare compimento ed at¬ tuazione ìe riforme processuali portato dal nuovo Codice di procedura civile c dal nuovo Codice di procedura penale. In questa occa lune è sembrato opportuno al Governo del Ke proporre alcuni rito celli anche alla legge 3 0 dicembre 1923, n* 3S14. Come ora da prevedere, l’opera di revisione dei Codice civile si è manifestata molto complessa e molto ardua. Si è visto anzitutto che, per ovvie esigenze di coordinamento, Le modificazioni che si arrecano a taluni istituti del diritto civile debbono trovare il loro completamento nella revisione di altri istituti, che con quelli sono connessi. DI qui Sopportimità di ampliare alquanto i poteri già delegati al (rovorno con la legge del 1923, per rendere possibile in modo più completo ed organico, la revisione che già in quella legge era autorizzata, calvi restando, si intende, i principi fondamentali degli isti¬ tuti. La stessa vastità o difficoltà dell’opera di riforma, ohe certamente non potrà compiersi In un periodo di tempo troppo breve, può rendere opportuna la pubblicarono del Codice civile in più tempi, vale a dire anche a libri e titoli separali, salva si comprende, la rifusione, alla fine dell’opera, delle parti già pubblicate in un Codice unico. Lo Commissioni parlamentari inoltro og + gi non possono funzionare, perchè sono venuti meno, sia per mancata rieie- Kaone, sia per altre cause, parecchi dei loro componenti. Sembra opportuno dunque dettare norme che valgano ad assicurare la loro attività, e dichiarare altresì esplicitamente che le Com¬ missioni, tanto quella eletta dalla Camera, quanto quella eletta — 214 — dal Senato, deliberano collegialmente insieme riunite, dimo¬ doché Tesarne riesca unico e non duplice e sia evitata la possi¬ bilità di divergenze e di dissensi. Da quanto si è detto fin qui appare evidente che gli scopi per cui il Governo si è indotto a chiedere al Parlamento la facoltà di rivedere il Codice penale, il Codice di procedura penale e le leggi sull’ordinamento giudiziario, sono preci¬ samente gli stessi che ispirarono la richiesta di analoga dele¬ gazione per gli altri quattro Codici. Nessun intento politico, ma il desiderio di dare all’Italia una legislazione codificata degna delle nuove condizioni e delle nuove necessità della vita italiana. Uguali intenti e ugual procedura. Anche questa volta il Governo vuole che il Parlamento discuta ampiamente i punti fondamentali della riforma, ed esprima i suoi voti, a cui nell’adempimento del suo mandato, il Governo darà piena soddisfazione. Non altrimenti del resto si è sempre proceduto in materia di riforma dei Codici. Che se altre volte, ad esem¬ pio quando si pubblicò il vigente Codice di commercio, il vigente Codice penale e il vigente Codice di procedura penale, vennero presentati al Parlamento concreti progetti dei Codici da pubblicare, sta in fatto che la discussione avvenne sempre sui punti fondamentali della riforma, e che le facoltà defe¬ rite al Governo per la pubblicazione dei testi definitivi fu¬ rono sempre cosi larghe, da consentire modificazioni pro¬ fonde e sostanziali nei progetti presentati all’esame delle due Camere. Una discussione ed una approvazione articolo per articolo di leggi così vaste e complesse, come i Codici, non sarebbe infatti possibile davanti al Parlamento, il quale deve pertanto limitarsi di necessità ad approvare le linee fonda- mentali della riforma, delegando al Governo la facoltà di procedere alla sua concreta attuazione. Così, in sostanza, ha consentito il Parlamento che sia fatto per il Codice civile, per il Codice di procedura civile, per il Codice di commercio e per il Codice della marina mercantile. Così, allo scopo di rendere completa ed organica la grande opera, il Governo vi propone 215 — ^ehe sia fatto per il Codice penale, per il Codice di procedura penale e per le leggi sull’ordinamento giudiziario. È dunque doveroso che anche questa volta il Governo in¬ dichi quali sono i capisaldi della riforma che esso si propone di compiere, il che sarà fatto brevemente, ma colla necessaria compiutezza. Codice Penale. La più che trentennale esperienza del Codice penale, che fu il frutto di una elaborazione legislativa, anche essa, a sua volta, trentennale, non ha, per lungo tempo, rivelato la sostanziale necessità di una completa riforma delle sue disposizioni. Il primo tentativo di revisione, assai limitato nei suoi intenti, fu il progetto ministeriale « sulla interpretazione au¬ tentica di alcuni articoli del Codice penale » presentato dal Guardasigilli Scialoja alla Camera dei deputati il 19 marzo 1910. Soltanto successivamente, con Regio decreto 14 set¬ tembre 1919, n. 1743, venne istituita dal ministro Mortara una Commissione « per lo studio di alcuni problemi di legi¬ slazione penale » con V incarico (articolo 1 del decreto) « di proporre le riforme necessarie al sistema della legislazione pe¬ nale, per conseguire, in armonia ai principi e ai metodi ra¬ zionali della difesa della società contro il delitto in genere, un più efficace e sicuro presidio contro la delinquenza abituale »■'. Tale Commissione, fin dal mese di gennaio del 1921, ha con lodevole alacrità presentato al ministro della giustizia un « progetto preliminare di Codice penale italiano » contenente un primo libro relativo ai delitti in generale, accompagnato ^da una diffusa relazione illustrativa, stesa dal suo presidente -onorevole Enrico Ferri e approvata dalla Commissione. Progetto — 216 — e relazione furono eolici tornente stampati nel testo italiano e tradotti in tre lingue, e poi diffusi in Italia e oltre confini Su di essi, per sagace iniziativa del guardasigilli Ovlglio, fu¬ rono chiamate ad esprìmere solennemente i loro giudizi le facoltà giuridiche e le Corti di appello del Regno. In Questi ed in altri studi, che si sono compiuti per pri¬ vata iniziativa, è ormai raccolto un materiale* che va senza indugio utilizzato. E in verità la necessità e per taluni aspetti 1 urgenza, di sottoporre ad una sistematica ed accurata re¬ visione taluni e più importanti isti uti del nostro Codice penale, non può essere e non è più oggi da alcuno revocata, in dubbio. L’aumé&to non indifferente della criminalità ne¬ gli ultimi anni, particolarmente nel periodo post-belli co, do¬ vuto a causo varie economiche e morali, sociali e politiche, generali e particolari, cause difficili a scrutarvi nella loro complessi vita, ma che tutte si riconducono ai profondi rivol¬ gimenti prodottivi nella psicologia e nella morale degli indi¬ vidui e delle collettività, e nelle condizioni della vita econo¬ mica e sociale in conseguenza della grande guerra, impongono la necessità di apprestare nelle mani dello Stato più adeguati mezzi legislativi di lotta contro il delitto. Gravi sono infatti i difetti e le lacune della nostra legislazione penale, che l’esperienza specialmente degli ultimi anni Ita messo in luce, in ispecie la rivelatasi insufficienza nella lotta contro il delitto dei mezzi puramente repressivi e penali, costituenti fin qui il principale, se non l'unico, armamentario difensivo dello Stato, e Pasciuta inidoneità delle pene a combattere particolarmente i gravi e preoccupanti fenomeni della delinquenza abituale, della delinquenza minorile., della delinquenza degli infermi di mente pericolosi. Difetti elio impongono la necessità di predisporre nel Codice penale, accanto allo ordinarie e tradi¬ zionali misure di repressione, nuovi e più oculati mezzi di re¬ pressione, nuovi e più oculati mezzi di prevenzione della cri¬ minalità. Al difetti intrinseci della legge penalo si debbono — 217 — aggiungere gli inconvenienti, ette da oltre un trentennio si lamentano nella sua applicazione, specialmente per la man¬ cata ri Torma penitenziaria e carceraria, che doveva far seguito alla riforma del sistema penale voluta dal Codice del 1889 e per l'omessa realizzazione pratica degli istituti accessori, complementari e surroga tori della pena dal Codice stesso predisposti. Sulla via della riforme delle leggi penali 1 ! Italia è stata, del resto, già proceduta dalla più parte degli Stati stranieri. Dovunque, in Europa e fuori, ferve infatti oggi il lavoro di revisiona dalla legislazione penale. In Germania, in Austria, iu Svizzera, fra il 1909 e 1921, numerosi progetti di riforma dei codici penali furono preparati. Citiamo il progetto sviz¬ zero del 1909, il progetto austriaco del 1909, i progetti germa¬ nici del 1909, del 1913, del 1919, del 1921. Cosi pure si vengono attualmente elaborando nuovi codici penali in Romania, in Ce co-Slovacchia, in Polonia, nel Perù, in Argentina e anche nella Cina. In altri Stati la riforma dei codici penali è già un fatto compiuto. La Russia dei So vi et in si è data il 1° giu¬ gno 1922 un nuovo e caratteristico codice penale. E in genere posteriormente al nostro codice penalo, vecchio ormai di 35 anni, nuovi codici penali furono promulgati nella Bulgaria, (1896), nella Norvegia (1902) nel Canada (1892) in Egitto (1904) nel Giappone (1907). Tuttociò senza parlare delle nu¬ merose leggi penali speciali che in Francia, in Inghilterra, in Germania, in Austria, e in altri Stati di Europa hanno, con parziali, ma talora sostanziali riforme, profondamente mo¬ dificato il contenuto dei codici ivi vigenti. Ài fini della riforma della nostra legislazione penale, non occorrono tuttavia radicali rivolgimenti nè profonde tra¬ sformazioni. Sembrano invece sufficienti semplici ritocchi e prudenti emendamenti, rivolti assai più che al fine di soppri¬ mere o radicalmente modificare norme esistenti, a quello dì integrare e di completare le norme attuali. Per tal guisa ri- — 21S — maria immutato il sistema e inalterate la fi so nomi a generale del codice e resteranno intatti i principi o i caratteri fon¬ damentali degli istituti penali, A) Occorrerà anzitutto, sottoporre ad ima revisiona at¬ tente e sagace il vigente sistema delle pene, dei mroja’i e dei completamenti penali, nonché degli effetti penali delle condanne. E ciò al fine precipuo di rinvigorire la scaduta efficacia e la sminuite forza assicuratrice, iatimidatricc, sa* tisf altri ce della pena, ora accentuandone, ove occorra, Il ri¬ gore e la gravità; ora introducendo, in aggiunta, ovvero in sostituzione delle attuali sanzioni penali, nuove, piu efficaci e più praticamente realizzabili specie di pene; ora infine, facendo un diverso e più largo uso delle peno esistenti, come ad esempio delle pene pecuniarie. Taluna delle attuali sanzioni penali si è rivelata del tutto inefficace : cosi le brevi pene carcerarie; cosi la riprensione giudiziale. Qualche altra si è dimostrata praticamente inattuabile o c andata in desuetudine: così la malleveria di buona condotte, l’arresto in casa, la deténzione in case di lavoro e di custodia, la prestazione di opere di pubblica utilità, il lavoro penale alla porto. Un’altra riforma urge poi apportare al sistema penale, che già si va elaborando in altri Stati, e su cui fu pure presentato al Senato un disegno di legge; Quella consistente nel porre in armonia colla presento svalutazione della moneta la misura e la graduazione delle pene pe cianuri e, e in genere di adeguare allo presenti condizioni della vite economica le disposizioni del codice penale, die hanno appunto contenuto economico e carattere patrimoniale. B } Anche V applicatone giudiziale della pena reclama un miglior regolamento legislativo. Si trutta di studiare Top- por tunità di conferire al giudice penale, rielltepplicazione della pena, poteri discrezionali più larghi di quelli che gli sena oggidì consentiti; in ispecie dandogli più ampia facoltà di scelta fra pene alternativamente comminate dalla legge, più ampia facoltà di aumento e di diminuzione della pena entro — 219 — i massimi e i minimi legali* E ciò non già sulla base di una, cero brina equità, ma invece sul fonda manto di una libeia ed ampia indagine dèi giudice intorno ai moventi a delinquere, al carattere, alla personalità, ai precedenti giudiziari e penali, alla vita anteatta del reo (1 n dividuali zza zionc giudiziaria della pena). A tal proposito converrà esaminare la convenienza di consentirei al giudice in certi casi un piu largo uso deila condanna condizionale, e di estendere b efficacia scusante delle co sid e tte a tten u an ti ge neri che. C) Nè devasi trascurare, in una riforma, che voglia essere organica, il problema della esecuzione avirninisifutiva dulie 'pene, mediante opportuni ritocchi al vigente sistema pe¬ nitenziario e carcerario. Si deve riconoscere che i nostri sta¬ bilimenti penitenziari hanno realizzato progressi notevolissimi, 0 che il personale ad essi addetto, con scarsezza di mezzi, fra difficoltà di Ogni genere, ottiene risultati maravigliasi spe¬ cialmente dal punto di vista del miglio rame rito morale e del riadattamento sociale dei rei* Tuttavia molto rimane ancora a fare, pur dovendosi ammettere che si tratta qui, non tanto di radicali riforme legislative, quanto di somministrazione dei mezzi finanziari occorrenti, giacche non giova dissimularselo* riforma penitenziaria vuol dire sopratutto larghe disponibi¬ lità di mezzi economici* Tuttavia converrà, anche in sede di riforma del Codice penale esaminare so, in qual modo ed entro quali lìmiti possa attuarsi nella nostra legislazione il tanto discusso principio della « individualizzazione della pena », in¬ tesa qui nel senso di individualizzazione non già Legislativa o giudiziaria, ma invece amministrativa deLle sanzioni penali, per rendere queste più adatte a raggiungere le ardue finalità deLla prevenzione speciale di fronte al reo e delia difesa contro il pericolo della recidiva e della abitualità criminosa. Con¬ verrà' pertanto, sopratutto nella fase della esecuzione penale, accortamente indirizzare le pene al duplice scopo di riabilitare da un lato moralmente c riadattare socialmente i delinquenti occasionali e correggibili, e dalTaltro di eliminare, per quanto — 220 — è possibile, dalla vita sociale i delinquenti abituali ed incor¬ reggibili. Tuttociù senza togliere tuttavia alla pena I caratteri' di afflittmtà, di esemplarità e di certezza che le sono propri, senza venir meno al fine particolare delia intimidazione indi¬ viduale dei rei e al fine generalo della coazione t> della inti¬ midazione collettiva dei cittadini, senza frustrare infine la funzione satisfattoria. che la pena esercita nei riguardi delle vittime dei reati e del pubblico in generale. La ferma intesa organica fra Turmninis trazione- della giustizia penale e Tamministrazione penitenziaria, fra la giu¬ risdizione penale e la esecuzione amministrativa delle pene (a cui prelude il passaggio del servizio amministrativo delle carceri dal Ministero dell" interno a quell) delti giustizia) è un altro dei punti importanti di una riforma della legislazione penale. Occorre finalmente consentire ài giudice di seguire il corso della esecuzione delle condanne da lui prozi lineiate, c delle pene da lui inflitte, di conoscere gli effetti pratici, che la applicatone delie pene produce nell'animo dei condannati, conferendogli, pur durante Teseeazione della condanna, ampi poteri di vigilanza, di controllo, di decisione. Un più ampio e razionale uso della liberazione condizionale, può essere un opportuno correttivo alle pene di lunga durata, di cui deve però rimaner ferma 1 utile funzione eliminatrice nei casi in cui sia necessario. L'indomani della pena deve essere altresì oggetto di cure assidue da parte del legislatore penale: V istituto del « Consigli di Patronato » di cui si vagheggia V introduzione Beila nostra legislazione, potrà essere a tale proposito oppor¬ tunamente considerato. P) È pur necessario, nella revisione del Codice penale portar l'attenzione sulle sanzioni e le conseguenze giurìdiche civili dei ' reut i (zi arci mento del danno, restituzione, riparazione pecunia ria, spese processuali, eoe.) al duplice fine di meglio assicurare la funzione riparatrice del danno derivante dai reati, e di garantire, nel miglior modo, Tesecuzione e la rea- — 221 - lizzazione forzata delle sanzioni stesse, particolarmente nel caso di insolvibilità dei colpevoli. A tale proposito converrà anche studiare se una migliore e più produttiva organizzazione del lavoro carcerario, nel quale campo molto si è fatto ma piu ancora potrà farsi, qualora non manchino i mezzi necessari, possa assicurare anche da parte dei rei insolvibili, Fadempi- mento dei loro obblighi di riparazione verso le persone lese dal delitto. E) Ma ciò che sopratutto si rende indispensabile, nella revisione del nostro diritto penale, è F integrazione dei mezzi repressivi di lotta contro la criminalità, ossia delle sanzioni e delle conseguenze giuridiche penali e civili, dei reati, me¬ diante nuovi e opportuni mezzi di prevenzione della delin¬ quenza. A tal fine occorre nello stesso Codice penale, far largo posto alle cosidette misure di sicurezza. Fra tali misure ricordiamo il ricovero dei minori e dei sordomuti in istituti di educazione ed istruzione, il ricovero degli infermi di mente pericolosi nei manicomi comuni o giudiziari, gli asili speciali per ubriachi abituali, alcoolizzati e intossicati; gli stabilimenti e le colonie di relegazione per delinquenti abituali o altri¬ menti incorreggibili; le case di lavoro e di assistenza per oziosi, vagabondi e mendicanti abituali; la liberta sorvegliata, con¬ cessa a titolo di esperimento ai delinquenti dimessi da istituti di sicurezza criminale o a coloro che potrebbero esservi rin¬ chiusi; Fammonizione di pubblica sicurezza e la vigilanza speciale della pubblica sicurezza. Tali misure di sicurezza, nelle più moderne e recenti le¬ gislazioni, vanno assumendo, come mezzi di difesa sociale contro il delitto, una estensione e una importanza non minore di quella propria delle sanzioni penali. Occorre tuttavia, in pan tempo, conservare a tali misure di sicurezza gli scopi, la na¬ tura e i caratteri, che già posseggono nel sistema del vigente codice, non identificandole e confondendole con le pene, e tanto meno sostituendole alle pene stesse, in guisa da escludere — 222 — le sanzioni penali e da prenderne il posto, come taluni va¬ gheggiano. Gli scopi di tali misure sono infatti distinti dai fini propri delle sanzioni penali. Sono scopi, di regola, socialmente eli¬ minativi e secondo i casi, anche curativi e terapeutici, ovvero educativi e correttivi. La loro natura è quella di misure ammi¬ nistrative, distinte dalle sanzioni giuridiche in genere e tanto più dalle sanzioni penali, ma distinte altresì dagli ordinari provvedimenti di polizia, e tanto più dagli altri mezzi ammi¬ nistrativi di prevenzione della criminalità diretti a combattere le cause generali della delinquenza. Tali misure hanno di mira individualmente il delinquente. La pena, la quale opera più efficacemente nel momento della minaccia, ha invece di mira tutta la collettività dei cittadini, negli animi dei quali vuol creare e crea una controspinta psicologica, atta ad evitare la maggior parte delle infrazioni alle leggi penali. I caratteri infine di queste misure di sicurezza sono affatto particolari. Consistono esse nell’essere misure di indole, non già, come le pene, psicologicamente, ma solo materialmente e fisiologicamente coattive. Consistono nella possibilità di es¬ sere applicate non solo alle persone moralmente imputabili, come i delinquenti recidivi, i delinquenti abituali ed incor¬ reggibili, i delinquenti professionali e di mestiere, i delin¬ quenti minorenni, i delinquenti infermi di mente, i delinquenti alcoolizzati o intossicati cronici (cocainomani, morfinòmani, ecc.). Consistono nella possibilità di essere pronunciate, bensì dopo la commissione di fatti delittuosi, ma considerati questi come sintomi della pericolosità sociale dei loro autori. Consi¬ stono nella possibilità di essere adottate, non già come le pene a termini fissi, ma invece a tempo indeterminato, fino a conseguimento cioè degli scopi di custodia, di cura, di educa¬ zione, di istruzione, per cui sono emanate. Da tali caratteri delle misure di sicurezza deriva che esse, pur non essendo vere e proprie pene, sono tuttavia pra¬ ticamente e concettualmente collegate al sistema delle pene — 223 — come misure accessorie o conseguenziali, ovvero surrogatorie, o alternative delle pene. In tal modo si comprende che esse possano essere fatte rientrare nella competenza degli stessi giudici penali, anziché delle ordinarie autorità amministrative o di pubblica sicurezza, anche se esse siano e si considerino esplicazione, non già della funzione giurisdizionale, ma piut¬ tosto di una funzione amministrativa di polizia del giudice stesso. Nulla vieta infatti che, per ragioni evidenti di con¬ nessione di materia e di economia di funzioni e di procedimento, la legge penale affidi al giudice penale siffatte attribuzioni amministrative di polizia. Mediante una più compiuta e più organica disciplina di tali misure di sicurezza, il Codice pe¬ nale, oltrepassando i confini tradizionali dei mezzi di repres¬ sione, e abbracciando in sé anche nuovi mezzi di prevenzione criminale, allarga e insieme rinsalda e fortifica la difesa so¬ ciale dello Stato contro la delinquenza. F) In coerenza a tale ardua finalità, converrà sottoporre ad una accurata revisione non soltanto i titoli secondo e terzo del libro primo del Codice penale, ma anche il titolo quarto dello stesso libro relativo alle « cause che escludono o diminui¬ scono la imputabilità ». Non già al fine di apportare modifi 6 - cazione alcuna al principio della imputabilità, assiso da se¬ coli sulla base incrollabile della capacità psichica individuale di intendere e di volere, e della coscienza e volontarietà degli atti umani, ma per emendare, in conformità dei nuovi dettati della scienza e della esperienza, le norme relative alle circo¬ stanze, che hanno virtù di limitare ed escludere Y imputabilità psichica o morale e la responsabilità giuridica penale, che ne consegue (minore età, infermità di mente, ubbriachezza, sor¬ domutismo, ecc.). In primo luogo viene qui il problema gravissimo dei delinquenti minorenni. Già prima della guerra la delinquenza minorile aveva assunto forme e proporzioni paurose, che destavano le piu vive preoccupazioni. La guerra, allontanando, col servizio — 224 — militare, dalla famiglia e dalla scuola le persone preposte alla educazione e alT istruzione del fanciulli* e piu tardi le gravi condizioni economiche e sociali del dopo guerra, hanno reso piu triste e allarmante il fenomeno della criminalità minorile. Non si tratta più dì lievi reati contro la proprietà* ma di forme gravi e violente di delinquenza patrimoniale, di audaci furti, di borseggi, di rapine, di estorsioni e spesso di formo atroci di criminalità di sangue, la cui nota caratteristica non è Foccasionalità, ma labi tua! ita e la professionalità del de¬ litto, divenuto mestiere, spesso lucroso, talvolta anche regolar- mente remunerato. Dinanzi a questo triste esercito di minori de¬ linquenti è l'avanguardia dei minori oziosi, vagabondi, men¬ dicanti, dei minori discoli, viziosi, traviati e ribelli alPmttorità paterna, dei minori deficienti e alcooìizzati, che rappresentano altrettanti candidati alla delinquenza minorile. 1 InutiLe indagare le cause, naturalmente molteplici, del doloroso fenomeno. À parte il influsso temporaneo e occa¬ sionale della guerra, bisogna ricordare sopra tutto Furbaneaimo e F Industrialismo, che caratterizzano la civiltà contempora¬ nea. Importa piuttosto osservare gli effetti, che consistono ora nell'abbandono materiale deila infanzia, ora nell'abbandono morale, nel maltrattamento, nell'ignobile sfruttamento eco¬ nomico. Questa malattia sociale, sempre più contagiosa, che affligge Forganismo della società italiana, come del resto quello delle altre nazioni, richiede il pronto ed energico in¬ tervento dello Stato. Le altre nazioni ci hanno preceduto da Un pezzo su questa via. La riforma più vasta fu compiuta in Inghilterra con la legge dei fanciulli (Children Aci) andata in Vigore il 1° aprile 1909, che riguarda non solo la repressione; ma anche la prevenzione della delinquenza minorile. À essa fece seguito la riforma attuata in Ungheria nel 1908, inspirata a moderni concetti di educazione o correzione preventiva dei minori, senza parlavo delle disposizioni vigenti nei singoli Stati tedeschi sul trattamento penale dei minori delinquenti, e sui tribunali sociali doli infanzia, e nei vari cantoni svizzeri sulla educazione dei minorenni e la repressione della crimi¬ nalità minorile. In x4m erica, specie negli Stati Uniti, si è pure proceduto nella via delle riforme. Nel Colorado, ad esem¬ pio, esiste da molti anni un sistema preventivo e repressivo) della delinquenza dei minorenni che dà ottimi frutti. L’Italia ha avvertito da un pezzo il bisogno di riforme radicali, per avviare a soluzione questo tragico problema sociale. Basta ricordare il poderoso lavoro compiuto dalla Commissione Beale, nominata dal ministro Orlando per lo studio dei provvedimenti da adottare circa la delinquenza minorile, che concluse dopo lunghi studi con un voluminoso progetto di codice dei mino¬ renni. La riforma, così come fu progettata, oltre ad essere molto complessa, importa gravi oneri finanziari, ciò che co¬ stituì non lieve ostacolo alla sua attuazione. Da allora il pro¬ blema della delinquenza minorile ha continuato ad imporsi, con crescente preoccupazione, alla attenzione degli studiosi del Parlamento e del Governo. La Commissione per lo studio dei problemi del dopo guerra ne fece oggetto di particolare esame, elaborando concrete proposte che vennero illustrate da una relazione dell’esimio magistrato Gabriele Faggella. Di re¬ cente la Commissipne Reale per la riforma del Codice penale, nel suo progetto di riforma del libro primo del Codice, presentò nuove proposte di disposizioni legislative intese a combattere la delinquenza minorile, con misure aventi sopratutto carattere educativo e correttivo. Il grave problema può dirsi dunque maturo per la soluzione. È evidente che i rimedi contro la piaga della criminalità minorile sono vari e complessi. Alcuni, e certo i più impor¬ tanti dal punto di vista sociale, debbono mirare alla elimi¬ nazione delle cause sociali del fenomeno, e hanno quindi carattere di provvedimenti preventivi o di profilassi sociale. Siamo qui nel campo della legislazione sociale, nel quale si incontrano ostacoli non lievi, sia per la difficoltà di accertare le vere cause del triste fenomeno, sia per trovare i mezzi atti ad eliminarle, onde questo è il campo in cui, seppure più — 226 - utile, piu arduo si presenta il provvedere. Altri rimedi hanno anche essi carattere preventivo, ma di prevenzione individuale immediata e diretta > da attuarsi con provvedimenti di polizia. £ questo il campo delle leggi di polizia propriamente dette,, nel quale si presenta sopratutto la necessità di migliorare le insufficienti disposizioni della legge di pubblica sicurezza, per quanto riguarda i minori oziosi vagabondi o diffamati o de¬ diti alla mendicità e al meretricio. Ma anche questo è un campo, in cui è difficile escogitare mezzi nuovi, che abbiano effettiva efficàcia, e valgano a supplire alle deficienze della famiglia, della scuola, delle opere private di assistenza e di patronato. Piu facile adunque nella sua pratica attuazione, appare pur sempre il problema del trattamento da farsi ai minorenni, che abbiano commesso reati, problema la cui soluzione spetta appunto alla legislazione penale propriamente detta. Qui si presenta evidente la necessità di risparmiare ai minorenni, fino ad una certa età, ben oltre il limite di nove anni fissato dal Codice vigente e cioè fino ai 14 e forse ai 16 anni, Fonte, il pericolo e F ingiustizia del carcere, clic per se è spasso scuola di corrodono e di avviamento albi delinquenza. L’unico mezzo di rimediare ai noti Inconvenienti del carcere sembra quello di sostituire, per i giovanetti delinquenti alle pene carcerarie e alle pene in. generale, misure preventive, che servano in pari tempo alla educazione e correzione dei rei e alla sicurezza della società. Occorrerà, a tal fine, ricoverare i giovani delinquenti in istituti speciali ad essi esclusivamente destinati, del tipo degli attuali riformatori. Già nell’attuale ordinamento carcerario Fanurunistrazione compio sforzi note¬ voli per separare i minorenni dagli altri delinquenti. Ma la riforma dovrà consistere sopratutto nel mutare il carattere degli istituti di custodia destinati ai delinquenti minori dei 16 anni, che devono essere considerati come luoghi di riedu¬ cazione morale più che come luoghi di pena, agli effetti del regime e delie conseguenze legali del ricovero. Converrà inol- — 227 — tre studiare P introduzione nelle nostre leggi di altri provve¬ dimenti per i minorenni, pure di carattere educativo, quale il regime della cosidetta « libertà sorvegliata » che tanto favore ha dovunque incontrato. Infine dovrà essere considerata la convenienza di istituire in ogni principale circoscrizione giu¬ diziaria, un magistrato di minorenni, come giudice di cogni¬ zione e di esecuzione, con ampi poteri discrezionali, coadiuvato |da funzionari specializzati, d’accordo con le società di assi¬ stenza, disciplinando all’uopo un procedimento speciale. Tutta questa serie di particolari provvidenze implicherebbe l’eleva¬ zione fino a 14 anni, e forse fino a 16 della esenzione dalla pena, scartando la indagine sul discernimento, pei delinquenti minori di questa età, ma con la obbligatoria applicazione dei provvedimenti educativi o correttivi, da parte del magi¬ strato dei minorenni, in luogo della pena. Solo pertanto i maggiori degli anni 14 (o 16) e i minori dei 18, e i maggiori dei 18 e minori dei 21, dovrebbero essere sottoposti alle pene e al procedimento ordinario, con opportuni temperamenti* tuttavia, nell’istruzione, nel giudizio e nella esecuzione. Un secondo e non meno importante problema concerne il trattamento degli infermi di mente pericolosi; totali e parziali, i quali dopo assoluzioni talvolta scandalose, ovvero dopo l’espia¬ zione di pene restrittive della libertà brevi e ridotte, sono ammessi alla libera circolazione nel consorzio civile, ognun vede con quanto danno e pericolo per la sicurezza sociale. Si tratta anzitutto di alienati di mente pericolosi, colpiti da forme di malattie mentali che toccano la intelligenza e la volontà (malattie dell’intelletto, malattie della volontà o abu¬ lie), come tali clinicamente apprezzabili. Con tale specie di alienati non si debbono confondere quei delinquenti abituali, in cui la tendenza al delitto non si accompagna che eccezio¬ nalmente a disturbi nella sfera dell’intelletto e della volontà, ma consiste invece in una alterazione del senso morale o sociale, di cui è difficile determinare se sia originaria o congenita, ovvero acquisita, per l’influsso di cause ambientali, famigliar! — 228 — e sociali, e che vanno sotto il nome ora di pazzi morali, ora di idioti morali, ora di degenerati, e più spesso sotto il nome improprio, ma che ha fatto fortuna, di criminali nati o istin¬ tivi; ai quali convengono, non provvedimenti di cura o di custodia, ma vere e proprie pene con carattere sopratutto elimina ti vo. Dai veri e propri alienati di mente occorre anche distin¬ guere gli individui affetti da squilibri psichici, i quali appar¬ tengono alla cosidetta zona neutra fra lo stato di mente sana e lo stato di malattia mentale, cioè gli individui affetti da neu¬ ropatie, talora gravi come gli epilettici, gli isterici, gli istero- epilettici, i nevrastenici, gli intossicati per alcool o per altre sostanze venefiche (morfinomani e cocainomani) e infine gli individui ignavi e repugnanti al lavoro, che una naturale e in¬ vincibile neghittosità in nessun modo curata e combattuta, mena gradualmente verso stati pressoché psicopatici. Per tutti costoro occorre studiare il trattamento più opportuno, che potrebbe essere, accanto, o anche, in sostituzione delia pena, un regime di cura, di custodia e di segregazione a tempo indeterminato, avente carattere insieme curativo e di sicurezza, che valga ad ottenere, quando è possibile, la guarigione o per lo meno a rendere il delinquente socialmente innocuo per Pavvenire. Per gli alienati di mente propriamente detti converrà promuoverne la segregazione e la cura a tempo indeterminato, cura e segregazione, non già negli ordinari manicomi comuni, ma nei manicomi giudiziari, di cui P Italia già possiede quattro (Aversa, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia, Barcellona Pozzo di Gotto) e che converrà accrescere, quando i nuovi bisogni lo richiederanno. G ) Sempre ai fini di riforma sopra accennati, è neces¬ sario altresì sottoporre ad accurata revisione il titolo ottavo del libro primo del Codice penale relativo all’ istituto della recidiva. L’attuale regolamentazione della recidiva produce invero scrii inconvenienti e presenta rilevanti difetti. Principalmente è da lamentarsi l’assoluta inidoneità degli aggravamenti di pena, sanciti dal Codice in caso di recidiva, a combattere efficace- mente la criminalità dei delinquenti abituali e di mestiere piu e i jìù volte recidivi, che Tabi tedine inveterata del delitto rende sordi al Fa do ne in tire Matrice della minaccia, delPap pil¬ e-azione e della esecuzione della pena. Anche il fenomeno delia delinquenza abituale ha subito, per causo varie negli ultimi tempi una singolare recrudescenza, che rendo piu vivo e sentito il bisogno di apprestare allo Stato nuove armi di difesa contro di essa. Determinare i ca¬ ratteri di questa classe di delinquenti non è agevole nè alla scienza nè alla legislazione. Ciò nonostante, coloro che, per ragione del loro ufficio o della loro professione, come i giu¬ dici penali, gli avvocati, i funzionari della polizìa e quelli dell’amministrazione carceraria, hanno pratica del mondo cri¬ ni inule, riconoscono bene a prima vista questi tipi di delin¬ quenti, che non escono dalle carceri, se non per ritornarvi a più o meno breve scadenza, in cui la tendenza al delitto e come una vocazione, e l'abitudine del delitto una seconda na¬ tura. e ai quali la pena apparo quasi come un necessaria rischio professionale della industria criminale. Si tratta più spesso eli delinquenti contro la proprietà, talvolta di delinquenti di sangue; autori ora di lievi, ora di gravi delitti, che rappresentano come una criminalità cronica o permanente, di cui i delinquenti propriamente abituali, cioè divenuti tali per cause prevalentemente sociali, non sono che uria sottospecie, come ne sono una sottospecie i delinquenti professionali o di mestiere. Bisogna dunque anzitutto fissare nella legge la. nozione davvero non facile della delinquenza abituale, i cui presup¬ posti, per quanto è dato desumere dalle più recenti manife¬ stazioni legislative, debbono trarsi sopratutto da dati ob¬ biettivi, dai precedenti penali o giudiziari, cioè dai reati prece dente mente commessi, risultino essi da. sentenze di con¬ danna o anche da sentenze di proscioglimento per In suf f i- — 230 — rienza di prove, aia insieme anche da dati soggettivi o psico¬ logici come il carattere, le tendenze, i precedenti, il conte¬ gno, i moventi psicologici, da cui sì rivela la pericolosità del delinquente. Dopo ciò bisogna avvisare ai provvedimenti più idonei contro tale forma di delinquenza. Appare evidente la necessità dell 1 in terna mento di tali delinquenti a perpetuità o per lun¬ ghissimo tempo in stabilimenti o colonie organizzate nel Re¬ gno o anche nei possedimenti d'oltre mare, per cui essi siano messi nella impossibilità materiale di nuocere e siano obbli¬ gati a profìcuo lavoro. Sì potrà solo discutere sulle modalità di un tale provvedimento, se deliba cioè considerarsi come pena o come misura di sicurezza e in quest'ultimo caso se debba sostituirsi alla pena o seguirla come misura stnTOgaioria o accessoria. Cosi potrà discuterai circa i limiti massimi e mi¬ nimi di questo internamento, sulla autorità a cui debba r-on- ferirsi la facoltà di ordinarlo, sulla possibilità di una libera¬ zione anticipata e condizionale sotto un regime dì « libertà sorvegliata » e via dicendo. Il primo e più notevole esempio di speciali provvedimenti contro la delinquenza abitualo fu dato dalla legge francese nel 1885 sulla relegazione dei recìdivi, modificata da suc¬ cessive leggi nel 1903, 1904, 1907, L'esempio della Francia fa seguito dal Portogallo con legge 21 aprile 1891, che stabili ia deportazione dei recidivi* Ma il più completo si¬ stema fu attuato nell 5 Inghilterra con la legge sulla preven¬ zione dei delitti nel 1908 {Frevmtim of Crime Ad), dedi¬ cata alia detenzione dei criminali abituali. In America varie disposizioni, per lo più sul tipo Inglese, vediamo adottato nel codice penale di New York senza contare le leggi dello Stato di Indiana c dello Stato di California, che esagerano le misure |di deprezza fino alla « sterilizzazione y> dei delinquenti ano¬ mali incorreggibili. Occorre anche ricordare le disposizioni del codice penale norvegese, senza far cenno dei progetti del codice penale svìzzero, austriaco © germanico. — 2Bì — In Italia, alT infuori delle norme del endice penale sulla recidiva c di quella della legge di pubblica sicurezza eulTam- monizione, sulla vigilanza speciale di pubblica sicurezza e sul domicilio coatto, di cui sono noti i gravi inconvenienti pratici e la scarsissima efficacia, non si e ancora adottauO un sistema organico di lotta contro la delinquenza abituale. Un movimento di riforma si iniziò col disegno di legge Finocchi aro- Aprile dei 4 febbraio 1899 contro i recidivi. Seguirono ì prò- getti Donassi (17 novembre 1899), Gian turco (22 novembre 1900), Ronchetti (30 gennaio 1904), Luzzatti (19 novembre 1910), tutti diretti aLPabolizione del domicilio coatto e alla sua sostituzione con altri provvedimenti. Da ultimo anche la Corti- missione Reale per la riforma del in nòstro M or tara, noi suo progetto di riforma della parte generale del codice penale ha presentato proposte, che implicano la creazione di nuovi isti¬ tuti per la lotta contro questa grave forma di criminalità. Il problema è di quelli che non tollera più indugi nella sua so¬ luzione. Basterebbe esso solo a rendere necessaria ed urgente una riforma degli istituti penali. H) Un punto, su cui pure deve fermarsi Tattensione del legislatore nella riforma delle leggi penali, riguarda Vestin¬ zione dell 1 azione penale e delle condanne penali. Gli istituti dell’amnistia, dell* indulto t e della grazia* di cui troppo spesso praticamente si abusa con gravo scapito dell’autorità delle leggi e delle sentenze penali, domandano dì essere circondati di migliori garanzie, non per diminuire iti alcun modo la prerogativa sovrana sancita in questo campo dallo Statuto, ma per meglio disciplinare ì casi o i fini, per cui è lecito far uso della facoltà della sovrana indulgenza e il procedimento da seguirsi nella concessione della clemenza sovrana. Parimenti V istituto della riabilitazione, merita di essere emendato nella sua disciplina legislativa, al fine dì evitare gli in convenienti, a cui ha dato luogo la sua pratica applica- — 232 — zìone, partieoiarmente nella forma della eosìdetta « riabilita¬ zione di diritto ». Infine riguardo all*oblazione volontaria sembra da esa¬ minare la opportunità di estendere la facoltà del componimento amministrativo a tutte in genere, o almeno* alla maggior parte dello contravvenzioni, che importino soltanto penalità pedini a rie. ì) Per quanto ha riguardo alla Parte speciale del Cotli t pende, cioè ai delitti in ispecie (libro secondo del CodicQ penale) e alle contravvenzioni in upeeie (libro terzo del Codice penale) g necessario esaminare quali variazioni e modifi 'Ei- zioni convenga apportare alia definizione legislativa dei vari reati, in sé e nei loro rapporti reciproci, alla determina¬ tone delle pene relative ai delitti e alle contravvenzioni, per quanto attiene specialmente alla loro misura legale e giu¬ diziale, e infine alle condizioni di esercizio dell’azione pe- naie nei singoli delitti (querela, richiesta, autorizzazione)* Fili particolarmente conviene studiare in armonia con lo mu¬ tate condizióni della vita economica e sociale, se alcune azioni non prevedute come reati nel Codice penale o in altri codici o leggi, debbano, a causa del loro carattere antisociale, essere prese in considerazione o contemplate come reati, se alcune delle azioni oggi prevedute come reati debbano, per esser venuto meno il loro carattere antisociale, cessare dal Fossero come tali considerate, se alcuni reati debbano essere di versamelitx* <1 fi¬ niti o sottoposti a. diverse sanzioni penali, o a diverse condi¬ zioni di perseguibilità giudiziale. Cosi in materia di delitti contro la persona, occorrerà studiare un miglior regolamento levi dativo dei reati di ingiuria e di diffamazione, per sostituire in taluni casi la pena pecio¬ ni aria, congrua misura stabilita, albi, pena restrittiva della libertà personale, per disciplinare la facoltà di prova allo scopo di impedire che U processo di diffamazione si ri¬ solva in un processo contro il diffamato, per istituire corti — 2-3B - di onore, davanti alle quali la prova dei fatti diffamatori possa seguire con maggior riservatezza di indagini e con mag¬ gior libertà di apprezzamenti* Cosi» sempre in materia di reati contro la persona, bisognerà considerare ropportunità di un inasprimento delle pene per ì reati di omicidio e sopratutto per le lesioni personali, e della perseguibilità ex officio di taluni contro T integrità personale, per cui ora è richiesta la querela di parte. In materia di delitti contro il buon costume e bordino delle famiglio, bisognerà avvisare ad una più efficace re pres¬ sione della pornografia, conformemente agli obblighi inter¬ nazionali assunti dall'Italia. Nei delitti contro la sicurezza detto Stato si dovrà studiare la possibilità di reprimere alcune forme delittuose non contemplate nel Co di re penale e in altre leggi, spedalmenfce alcune forme di tradimento improprio com¬ messe sia in tempo di guerra che in tempo dì pace; Nei delitti contro la pubblica amministrazione dovrà meglio disciplinarsi la materia dell'oltraggio ai pubblici ufficiali, punendo oltre che l'oltraggiò commesso in presenza del pubblico ufficialo anche quello com messo pubblicamente in sua assenza * Infine converrà esaminare se non sia il caso di procedere a una riduzione delle azioni punìbili, separando più netta¬ mento il rampo del delitti da quello delle contravvenzioni* par¬ ticolarmente delle contravvenzioni amministrative prevedute nelle leggi speciali, distinguendo i veri e propri reati da quei fatti, che sono in sostanza semplici torti amministrativi, da abbandonarsi alle sanzioni e ai procedimenti propri del diritto amministrativo, al fine pratico di evitare gli abusi delle san¬ zioni penali, che oggidì si lamentano specialmente nella materia regolata da leggi speciali. L) Il necessario in ultimo, per rendere più esatta e sicura la interpretazione del nostro Codice penale, nel campo pratico della applicazione giudiziale, provvedere ad emen¬ dare quelle disposizioni del Codice stesso che danno luogo a quistioni tradizionali e sempre rinnovantisi, senza che la giu- - 284 — risprudenza possa mai raggiungere su di esse l’autorità di una « res perpetuo simiiiter judieata » e, insieme, a correggere quelle disposizioni che la dottrina e la giurisprudenza concor¬ demente additano come formalmente imperfette e tali da inge¬ nerare nella pratica, perpetue perplessità ed incertezze. Di¬ sposizioni delle quali dette ampio saggio il « progetto di inter¬ pretazione autentica di alcuni articoli del Codice penale » presentato nel 1910 dal guardasigilli Scialoja, che offre ancor oggi un prezioso materiale di studio. Codice di Procedura Penale. Il Codice di procedura penale vigente venne alla luce ed entrò in vigore fra così gravi e numerose critiche, come non toccò forse finora a nessun altro codice o legge. Critiche, che traevano forza ed importanza non solo dal numero, ma anche dal valore dei nomi individuali e dalla autorità dei voti collet¬ tivi. E tanto più degne di attenzione apparivano, quanto più la necessità e l’urgenza di una fondamentale riforma dei nostri istituti processuali penali, era stata da lunghi anni, e con rara unanimità, riconosciuta dagli uomini di legge: stu¬ diosi, magistrati e ordini forensi. Si protestava contro la deficiente elaborazione del pro¬ getto, contro la scarsa ponderazione della sua struttura orga¬ nica, contro la pratica difficoltà di attuazione di molti dei suoi istituti. I dissensi divennero più numerosi e frequenti, dopo la pubblicazione del nuovo codice. L’agitazione serpeggiò rooessuale mastodontico con un gro¬ viglio di competenze e di interferenze funzionali; la pesan¬ tezza del congegno processuale che, colTimpaedo delle proro¬ ghe e delle restituzioni dei termini, delle sospensioni e dei rinvìi, con la defatigandone dei molteplici gravami, prolunga le istruttorie per anni e i dibattimenti per mesi; l'assidua minaccia delle troppo numerose decadenze processuali, e il gioco delle non meno numerose nullità, or si or no sanabili, ascose in ogni istituto, che costituiscono come una perenne spada di Damocle tesa std capo dalle parti, dei funzionari requirenti e dei giudici; il carattere talvolta eccessivamente restrittivo, tal altra Invece eccessivamente liberale delle di¬ sposizioni, infine il costo esorbitante dei processi penali, frutto a sua volta, del sopracarico del lavoro giudiziale dui codice stesso artificiosamente creato* Ecco alcuni doj difetti generali elio viziano l'organismo del vigente codice di procedura. Una dettagliata enumerazione di tutti i singoli punti che sembra abbiano bisogno di emendamenti, sarebbe come ognuno in¬ tende, insieme impossibile ed inopportuna. Ciò non toglie tut¬ tavia che, per sommari accenni e in via di esemplificazione, possano indicarsi quelli fra i vari istituti del codice, che più concordemente appaiono alla scienza e alla pratica meritevoli di revisione* — 239 — A) Nel campo delle Disposizioni venerali merita an¬ zitutto attenzione la materia delibazione penale. La disciplina delle cause sospensive del Fé sere lido del- Fazione penale domanda di essere integrata, sia introducendo nuove norme clic attualmente difettano, ad esempio per il caso di infermità dì mente delTìmputato sopravvenuta dopo il reato e prima o durante il procedimento, sìa sottoponendo a revisione le norme esistenti, ad esempio quelle relative alle questioni pregiudiziali di Stato converrà vedere se non debbano essere opportunamente estese fino a comprendere le altre que¬ stioni di stato civile che non concernono lo stato di figliazione (esempio di matrimonio) c in genere tutte le controversie di stato (esempio di cittadinanza, di tutela di diritti onorifici e via dicendo). Sembra anche opportuno sottoporre a revisione il principio cosi detto della « unità del potere e della funziono giurisdizionale » che porta alla assoluta reciproca autorità dei giudicati penali nel processo civile e — ciò che non è sempre conveniente — dei giudicati civili nel processo penale. L'Istituto dell’azione civile derivante dal reato deve es¬ sere meglio regolato, sia por quanto riguarda la cosidetta riparazione peeuniaria per allargarne ì confini, rendendo pos¬ sibile, nel processo penale, la riparazione del danno morale; sia per quanto concerne l’eccezione che al princìpio felceta una via non datar recursus ad alterarli» apporta. Il legisla¬ tore in caso di reati perseguibili di nffirio; sia infine per quan¬ to attiene all'autorità di cosa giudicata della sentenza penale assolutoria sulla azione civile derivante dal reato, estesa, con manifesta eccessività, anche al caso di assoluzione per insuffi¬ cienza di prove e anche alle questioni di vera colpa civile. La disciplina della competenza deve pure essere oggetto di attento esame. Per quel che concerne la competenza per materia giova studiare se non debbono sottrarsi alla competenza della Corte di Assise taluni delitti, specialmente quelli che implicano un esame di natura tecnica, come i delitti di calunnia e di faL — 240 — sità in giudizio. Più ancora abbisogna di revisione la materia della competenza per connessione. Deve sottoporsi a revi¬ sione il principio per cui, in caso di concorso tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione speciale, Puna prevale sulle altre e le assorbe, principio che ha dato luogo a non pochi idratici inconvenienti; e cosi pure il principio della inseparabilità dei processi penali sino al termine della istruzione e quella della separazione dei giudizi nei casi di connessione obbiettiva fra reati di competenza delle Assise e reati di competenza del tri¬ bunale, che conduce bene spesso al pericolo di insanabili con¬ traddizioni di giudicati. Si sono fatte molte critiche alla definizione del Yim'pu- tato quale è data dal vigente codice. E in verità, l’inconve- niente, che oggi si verifica di processi penali, di cui neppure giunge notizia a coloro che vi sono sottoposti, deve essere ri¬ gorosamente evitato. Occorre pertanto correggere Pinfelice e ristretta definizione delPimputato, contenuta nel codice pro¬ cessuale, studiando se non convenga considerare come impu¬ tato durante 1 istruzione, chiunque in genere, in seguito a denunzia o a querela o a rapporto, sia stato comunque sotto¬ posto a procedimento penale. H nuovo codice toglie al pubblico ministero il carattere di parte in giudizio, ostentandone una iperbolica indipen¬ denza o neutralità, che meglio si confà al giudice, esso, sì, ve¬ ramente, «rappresentante della legge» e della giustizia. Con- vien studiare pertanto se tale carattere di parte in causa non debba essere al pubblico Ministero restituito, sia distinguendo rigorosamente, la xunzione accusatoria e requirente, che ad esso spetta come organo del potere esecutivo presso Pautorità giudiziaria, dalla funzione giurisdizionale del giudico, quale organo del potere giudiziario; sia concedendo al pubblico mini¬ stero la facoltà di rinunziare al diritto di azione penale e di recedere dall'esercizio di esso; sia infine togliendogli la fa¬ coltà di agire nello interesse per conto e quasi in rappresentanza dell'imputato, che oggi gli è dalla legge affidata, snaturando — 241 — La sua figura dì parte nel processo penale. Perche se d pub¬ bli ;o ministero come organo distinto dal giudice deve conser¬ varsi, esso non può essere raffigurato che come rappresentante dello Stato nella sua funzione esecutiva, e come attore e parte nel giudizio penale. Che se un tal carattere si volesse negargli, per farne un duplicato del giudice, tanto varrebbe abolirlo del tutto, e configurare tutto il processo penale come mi proce¬ dimento er officio che il giudice mette in moto per sua pro¬ pria iniziativa. Le definizioni legislative della sentenza, del Vordi?U^nza t del decreto vogliono altresì essere emendate, al fine di eli¬ minare le numerose questioni esegetiche insorte nella pratica a polia io i ; e d el 1 a I r gg e ; q u elle a d cscm pio, se :i i scn ton za o ordinanza la decisione, emessa in sede di esecuzione, con cui il giudice chiude definitivamente il corso dell’esecuzione penale, so sia sentenza o ordinanza la decisione, con cui il giudice dichiara la nullità di un decreto di citazione o di una sentenza di rinvio a giudizio, o in genere di un atto istruttorio, ece. Più semplice e spedito, e sopratutto più sicuro deve es¬ sere reso il sistema delle notificazioni, argomento fondamen¬ tale rispetto alla istruzione e al giudizio. L'arcaico sistema dcHaffissiono, per I casi frequenti di imputato di residenza o dimora Ignota, mentre riesce di per se assai complicato, non tranquillizza sempre pienamente la coscienza del giudice, àia pure alFinfuori dei latitanti, sono purtroppo numerosissimi, tra le persone che possano avere rapporti con rÀmministrazione della giustizia penale, coloro i quali non hanno residenza nè dimora facilmente accertabile, nè congiunti che siano disposti a facilitare le ricerche del- r ufficiale giudiziario. Si centuplica cosi V inconveniente dei rinvìi per irregolare notificazione del decreto di citazione all’imputato, causa non ultima delle lamentate lungaggini processuali. Durante I lavori preparatori del codice vigente si accennò a lille a della notificazione a mezzo della stampa, accolta da altre legislazioni moderne; l’avervi poi rinunziato 10 . — 242 — in modo assoluto non sembra che debba senza altro sconsi¬ gliare un eventuale riesame dell’argomento. Per facilitare le notificazioni si potrebbe anche stabilire l’obbligo per l’im¬ putato di eleggere un domicilio durante l’istruzione, al quale le notificazioni dovrebbero intendersi sempre validamente fatte. Converrà anche studiare, se non debbano essere anche ridotti i troppo numerosi termini 'perentori, che importano sanzioni di decadenza processuale, e opportunamente riesa¬ minare la disciplina della restituzione in termini, che conviene confinare nei limiti più ristretti. Il sistema delle nullità richiede una revisione paziente, sia per ciò che si attiene alle nullità assolute, da cui sembra debbano essere escluse quelle che concernono la rappresentanza del pubblico ministero sia per quanto riguarda le nullità relative, che converrebbe disciplinare in modo più semplice e più compiuto, eliminando anche le non lievi contraddizioni della legge, al fine in genere di falcidiare l’eccessivo numero di nullità che si annidano in ogni istituto. E) Nel campo della Istruzione dei processi penali non sono meno vive e sentite le esigenze di una riforma. Le norme relative agli atti del pretore o del pubblico mi¬ nistero abbisognano di emendamenti. Occorre fra l’altro, esa¬ minare se non sia il caso di abolire l’obbligo del procuratore del Re di richiedere al giudice istruttore di pronunziare de¬ creto ogni qual volta ritenga che non si debba promuovere l’a¬ zione penale; obbligo che contraddice alla sua qualità di attore e di parte nel processo penale, e al carattere necessariamente discrezionale dell’azione penale. L’antico sistema della cosidetta «facoltà di inviare gli atti in archivio» sembra debba essere opportunamente rimesso in onore. Parimenti converrà esaminare la convenienza di ritor¬ nare, in materia di istruzione formale, al sistema del codice abrogato, secondo il quale era resa obbligatoria l’istruzione for¬ male per tutti i reati di competenza della Corte di assise .e del tribunale, ove eccezionalmente non si procedesse per citazione — 243 — diretta o direttissima. Gii Sconvenienti dell’attuale sistema eoixo unanimemente deplorati. Già la istruzione sommaria, per ì reati di competenza dei tribunale, in rapporto ad imputati detenuti, si converte assai spesso in formale pel verificarsi delle eomi raion! previste dall’ultimo capo verso dell’artìcolo 280; e rispetto agli imputati liberi si risolve pur di frequente in un procedimento non breve c complicato, stante la necessità di richiedere l'intervento del giudice istruttore per compiere determinati. atti processuali, elio sogliono utilmente praticarsi anche in procedimenti di non grande importanza. Oramai le Regie procure e specialmente le piò importanti, hanno perduto la loro classica fisonomia di uffici inquirenti direttivi; esso si sono trasformate in altrettanti uffici di istruzione in cui si compiono indagini sulla più gran parte dei prò cedimenti re¬ lativi a reati gravissimi, che per precotto di legge, devono istruirsi col rito sommario, sino a quando non venga il momento dell* interrogatorio degli imputati e delle perizie, per cui deve intervenire il giudice istruttore. In sostanza presso cia¬ scun tribunale funzionano due uffici d* istruzione; uno, l’uf¬ ficio dì istruzione propriamente detto, il quale, pur avendo minori affari, è fornito di personale più completo e non e assillato dalle ristrettezze dei termini processuali, l’altro quello delle Regie procure, che deve istruire quasi tutti I processi, con assai minore disponibilità di personale e sotto Taddeo dei brevissimi tei mini assegnati dalla procedura. VI sono poi le complicazioni e gli indugi, a cui danno luogo le interferenze istruttorie, proprie del rito alternato, che culminano talvolta in veri conflitti dì competenza fra II Pubblico Ministero e il giudice istruttore. A tutti questi inconvenienti non vi è che un rimedio: restituire al procedimento sommario — riducen¬ done la sfera di applicazione ai casi in cui esso è veramente ut Hi zza bile — il suo carattere spiccatamente accusatorio, sta¬ bilendo cioè che il procedimento abbreviato debba adottarsi quando il pubblico ministero sia in grado di citare taluno di¬ rettamente in giudìzio, previe soltanto sommarie investigazioni — 244 — o informazioni di polizia giudiziaria; e che in ogni altro ca^o debba seguirai la istruzione formale. La disciplina delle perizie si è manifestata nella pratica cosi piena di difetti e di inconvenienti da richiedere una pronta revisione. Deve studiarsi se non convenga che l i scelta dei periti sia fatta soltanto tra coloro che siano Iserh li legai- mente in appositi albi professimi ili di periti; deve vedersi se le perizie debbano essere affidale nel procedimento penale a persone tecniche, da scégliersi esclusivamente dal giudice dì ufficio e senza istanza dì parte, solo concedendo alle parti la facoltà dì farsi rappresentare presso di esse da difensori tecnici» cioè da periti di parte. Deve anche esaminarsi la possibilità di istituire la eosidetfeu « revisione di perizia :• . In materia dì prova testimoniala e documerùtulc apparo certamente ispirato da intenti nobilissimi quel complesso di norme, per cui si vieta di interrogare ì testimoni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti della camaa e sulla mo¬ ralità in genere delle parti; per cui si colpisce di nullità la lettura di documenti che contengono informazioni e notizie di tal genere, e la lettura di deposizioni di testimoni non esaminati dal giudice colle norme dell’istruzione formale. Ma la applicazione dì tali divieti, forse per il modo con cui i medesimi sono stati formulati, genera spesso incertezza di interpretazione e dà luogo a gravi inconvenienti. Due fonda¬ mentali osservazioni consigliano uria revisione di tali norme. Làina è che queste, cosi corno sono state concrpit > e redatte, contrastano eoi principio che in materia panale la verità ma¬ teriale deve prevalere su quella formale, nonché colla neces¬ sità generalmente riconosciuta di accertare e definire, insieme alla esistenza materiale e alla configurazione giuridica del reato, anche la personalità fisica e morale dell’ inipotato. L’altra osservazione è che si tratta in fondo di norme, clic dovrebbero riferirsi piuttosto alla valutazione delle prove che alla loro assunzione. Ne è da trascurare il rilievo che vi sono reati (per esempio l 1 incesto, il concubinato) i cui rispettivi — 245 — estremi (pubblico scandalo, notorietà) richiedono accertamenti, i quali possono apparire antitetici alle restrizioni processuali sopra ricordate. Circa V istruzione sommaria , come si è già detto, essa dovrebbe essere limitata ai casi in cui il pubblico Ministero possa, dopo sommarie indagini, citare in giudizio diretta- mente T imputato; ciò che significa che gli dovrebbe essere data facoltà di richiedere tutte le volte che lo creda opportuno, l’istruzione formale. Sarà evitato così il frazionamento delle funzioni istruttorie fra le mani del procuratore del Re e quelle del giudice istruttore, la duplicazione degli uffici d J istruzione, l’interferenza della funzione istruttoria del pubblico Ministero con quella del giudice istruttore; le citazioni a giudizio degli imputati, istruzioni incompiute e affrettate, con grave danno della libertà degli onesti non meno che della punizione dei colpevoli. Anche debbono rivedersi le norme relative all’istituto del decreto penale , che converrà esaminare se non possa ricevere una piu ampia sfera di applicazione, estendendolo a tutte o alla maggior parte delle contravvenzioni, che importino semplici penalità pecuniarie, e anche a taluno dei minori de¬ litti punibili con pena pecuniaria. Converrà anche vedere se non debba contenersi in più ristretti limiti la facoltà di oppo¬ sizione del condannato per decreto, facoltà che frustra bene spesso gli scopi di semplicità e di speditezza processuale, a cui tende l’istituto del decreto penale, provocando l’apertura di dibattimenti inutili e infondati. In tema di custodia preventiva occorre urgentemente rime¬ diare agli inconvenienti della cosidetta « scarcerazione auto¬ matica », che costituisce un continuo impaccio e un perenne spauracchio per le autorità inquirenti e requirenti. A contrario il sistema dei mandati appare talvolta troppo rigoroso e su¬ scita gravi apprensioni circa la garanzia del diritto indivi¬ duale di libertà. Così pure troppo rigorosa appare l’attuale disciplina della libertà provvisoria, nè sarebbe fuori di luogo — 246 la concessione di maggiori facoltà al giudice in questa materia. C) Anche le norme del giudizio 'fanale reclamano im¬ portanti e talora fondamentali riforme. Le disposizioni relative al giudizio di Assise , nella loro relazione coll’ordinamento dei giurati, abbisognano di radicali trasformazioni. Sono unanimi le lagnanze contro il funzio¬ namento attuale delle Corti di Assise, i giudizi, è doloroso il dirlo, vanno ogni dì perdendo credito. Conviene dunque anzitutto rivedere e modificare il sistema di nomina dei giurati, la cui selezione avviene oggidì alla rovescia, specie dopo che la legge elettorale ha, con l’universalità del suffragio, allargato a dismisura le categorie, tra cui cade la scelta di essi, togliendo la garanzia di quel minimo di cultura, che era prima richiesto come condizione di idoneità. Tale minimo, da determinarsi in misura sufficientemente elevata, deve essere di nuovo ristabilito. Conviene inoltre migliorare il nuovo sistema di votazione del giurì, che T illogica tripartizione della questione di colpabilità, con la moltiplicazione chilome¬ trica dei quesiti, coi questionari complicati e confusi, diso¬ rienta i giurati, dando luogo a verdetti illogici, contradditori e talvolta insensati. Conviene ancora modificare la norma che impone il licenziamento dei giurati supplenti prima della deliberazione del verdetto, che porta talvolta, per la succes* siva mancanza di questo o di quel giurato nelle more della deliberazione, alla necessità di rinviare e rinnovare processi gravissimi. Ma sopra tutto è venuto il tempo di studiare una più profonda e radicale riforma a decidere se, tenuto conto della mentalità del giurato italiano, che vuole essere giudice della colpa e padrone della pena, e tenuto conto altresì della necessità di un controllo più serio e più competente nella for¬ mazione del verdetto, non convenga addirittura rinunziare al principio della separazione del fatto dal diritto nei giudizi di assise, ammettendo i giurati a decidere, insieme col magistrato, e questo con quelli le questioni tutte di fatto e di diritto, e a — 247 — procedere insieme all’assolu zinne o alla condanna e alla con¬ seguente applicazione della pena. Sempre in materia di giudizio di assise, convien rime¬ diare ai guai che crea lo strano divieto di espletare i giudizi contro imputati a piede libero, senza il beneplacito degli impu¬ tati stessi- Divieto per cui sii fatti giudizi si protraggono talora all’ infinito, in seguito al gioco, più volte ripetuto degli imputati di presentarsi aliudienza, per poi allontanarsi prima dell 1 interrogatorio, allo scopo di far celebrare il di¬ battimento nel momento e nelle condizioni, che essi ritengono per se più favorevoli. Il giudizio in contumacia in genere, così come è regolato dal codice vigente, dà luogo a gravi inconvenienti. Era i Quali è da porsi non solo k possibilità di infiniti rinvìi, nel caso che l’imputato creda di presentarsi a dibattimento iniziato (e nulla in verità gli vieta di farlo più volte di seguito), ma an¬ che la possibilità di molteplici rinnovazioni di dibattimento e di conseguenti ed eventuali contraddizioni di giudicati, nel- l'ipotesi di più imputati contumaci, che si presentino uno alla volta al dibattimento. Occorre affrontare radicai monte il pro¬ blema. studiando se non sia il caso di eliminare il dilatorio e Complicato rimedio delia cosidetta * purgazione della contu¬ macia », rinforzando invece il valore dello sentenze conta¬ to ad. db mediante la parificazione del giudizio contumaciale al giudìzio in contraddittorio, anche per Quanto riguarda la disconosciuta facoltà della difesa del contumace di propo re Provo a discolpa dèli 1 imputa to. L’&pptUo in materia penale, pei difetti che sono ad esso inerenti, e clic sono tròppo noti perchè occorra qui rammen¬ tarli, è stato sempre fra gli istituti processuali più combattuti. Conviene finalmente vedere se sia il caso di procedere alla sua soppressione, o per lo meno di trasformarlo cosi radicalmente da eliminare x più gravi inconvenienti a cui esso da luogo. L'istituto del ricorso per Cassazione deve essere diseipli- — 248 — nato col maggiore rigore per evitare l'abuso dot ricorsi. I tasi di ricorso, le sentenze contro cui si può ricorrere, la distri ba¬ cione della competenza tra le due sedimi penali d 111 Corte di Cassazione, la enumerazione dei cast di annullamento senza rinvio, sono i punti che piu abbisognano eli essere ri /eduli e migliorati. Il deperito di una somma a garanzia del pagamento della multa nei casi di ricorso infondati deve essere preso in opportuna considerazione. Infine la revisione dei giudicati peri li apparo meritevole di un miglior regolamento legislativo » Conviene esaminare rop pò riunita di ammettere altresì la revisione dei giudicati di proscioglimento, specie in caso di sopravvenuta confessione dell ? i m puta to proscrio! to. UllD ]NAMESTO G TUD1351 AltiD Il problema deli ordinamento giudiziario affatica, sì può dir* dalla costituzione del Regno in poi, tutti i Go¬ verni e tutti i Guardasigilli. Basti ricordare elio dopo la logge fondamentale del 6 dicembre 1865, si sono avuti in questa materia circa ottanta provvedimenti legislativi. Cosi alle norme sancite dalla legge fondamentale sull ’ordin amen to giudiziario, se ne sono venute a sovrapporre altre numerosis¬ sime, che hanno finito per creare uno stato dì incertezza e di disagio, al quale è pur necessario porre rimedio. Sarebbe fuor di luogo fare una esposizione, anche solo riassuntiva, di tutti i provvedimenti emanati dalla costitu¬ zione del Regno fino ad oggi, alio scopo dì dare assetto alla gerarchia giudiziaria. È però opportuno accennare ai prin ipalì tra essi, per dimostrare a quanta varietà di criteri siano state informate le varie leggi emanate In questa materia, cd a quali continue osci 11 azioni ed incertezze sia stata esposta la carriera dei magistrati. — 249 — Col Begio decreto 6 dicembre 1865, numero 2626., fa stabilito che (come avviene ancor oggi) la carriera giudiziaria si iniziasse, dopo appositi esami di concorso, col grado di udi¬ tore, L'uditore doveva sostenere un esame pratico, non prima di un anno, so aspirava alla carica di pretore; non prima di tre se aspirava a qui li a di aggiunto giudiziario. 1 pretóri ve¬ sti vano destinati alle preture; gli aggiunti invece venivano assegnati ci Tribunali e allo Elegie procure, per esercitarvi ri¬ spetti vanì ente le funzioni di giudice e di sostituito procuratore del Re. Giudici potevano poi esser nominati tanto ì pretori, quanto gli aggiunti giudiziari. I giudici potevano essere pro¬ mossi dopo sei anni, presidenti dì tribunale o consiglieri di Corte d’appello e, dopo altri sei anni di permanenza ni tali gradi, consiglieri di Cassazione. Come ben si vede l’ascesa ai posti superiori non era punto impedita ai pretori; là maggior parte del quali però, preferiva di non esporsi ai giudizi dì merito, e conteneva le proprio aspirazioni entro il più modesto ambito della funzione giudi¬ ziaria mandamentale; di tal che coloro che presceglievano la carriera giudiziaria supcriore, pervenivano alle Corri, se non nei Haliti minimi di tempo indi ati, in un periodo non ecces¬ siva ni ente lungo, e iu ogni modo tale da non eludere le legit¬ time aspettative di carriera. Questo stato di cose, che si poteva dire in complesso soddi¬ sfacente, e tale da attirare alla carriera giudiziaria molti ottimi elementi, fu mutato dalla legge 8 giugno 1890, n. 6878, la quale della carica di pretore fece un grado intermedio delia gerarchia, tra quello di aggiunto giudiziario e quello di giudice o sostituto procuratore del Re. La stessa legge stabili che ai posti di questo ultimo grado si provvedesse di regola col criterio della anzianità congiunta al merito, ed eccezionalmente mediante il concorso per esami, detto di merito distinto, su¬ perando il quale gli aggiunti giudiziari ed i pretori conse¬ guivano il grado di giudice e di sostituto procuratore del Re senza attendere il loro ordinario turno di promovi bili fcà, La in- novazione ri proponeva sopratutto V intento di elevare le con¬ dizioni morali o culturali di coloro, ai quali era affidata la giu¬ risdizione inferiore, e di togliere ogni disparità tra la carriera inferiore e quella della magistratura. Ila, col riunire tutti I i magistrati in un unico mira erosissimo ruolo, finì col rendere la carriera lentissima, perchè nei solo grado di pretore, quando non si superava Tesarne di merito distìnto, che pochissimi tentavano, sì rimaneva per non meno di un decennio. Si creò così mila classe dei pretori un ultra specie dì disagiò morale, e questo di necessità, comune a rutti i giovani magistrati, che tutti dovevano passare per le preture, affron¬ tando il disagio di sedi piccole e lontano» c ivi permanére per lunghi anni, giungendo così ai tribunali stanchi 0 spesso sfi¬ duciati* Per riparare a tale grave inconveniente, la legge 14 luglio 1907, n, 511. abolì il grado di pretore; e ad eser¬ citare le funzioni dì pretore destinò gli aggiunti giudiziari e i giudici. Fu inoltre stabilito con la stessa le^ge che gli agriunii giudiziari potassero, senza attendere il loro turno ordinario di promozione per anzianità, sottoporsi, dopo tre anni di grado ad on esame di merito; che i podi di consigliere di Corto d'appello o parificati fossero annualmente coliferiti per tre quinti per anzianità, previo giudizio di promo vitalità, e per due quinti per concorso per titoli; 0 che per simile con¬ corso fossero conferiti i posti di consigliere di cassazione 0 parificati. La legge del 1907 stabili pure che il limite di età, per il collocamento a riposo dei magistrali, il quale fino ad allora, era stato per tutti stabilito a 75 anni, venisse, per i magistrati di grado non superiore a consigliere di Corte di appello, portato a 70. Ma le cose non tardarono ad essere ancora modificate. Furono Infatti aboliti i concorsi; e con la legge del 19 di¬ cembre 1912, n. 1311, fu ripristinato il grado dì pretore, e furono ristabiliti per la promozione al grado di consigliere di appello e di cassazione spedali scrutini; mentre i limiti di età per il collocamento a riposo, venivano portati a 65 anni per — 251 — i giudici e sostituti procuratori del Re e a 70 per i magistrati di cassazione, conformemente a quanto era stato già stabilito per quei di Corte di appello. Occorre infine, ricordare altri due provvedimenti orga¬ nici adottati più recentemente in materia di ordinamento giudiziario; e cioè il Regio decreto 14 dicembre 1921, n. 1803, ed il Regio decreto 30 dicembre 1923, n. 2786, integrato dal¬ l’altro di pari data n. 2785. Il primo di tali decreti non apporto in sostanza notevoli modificazioni alle disposizioni allora vigenti in materia. Due innovazioni vanno tuttavia poste in rilievo: quella relativa al¬ l’abbassamento del limite di età dai 75 ai 70 anni anche per i magistrati di grado superiore a quello di cassazione, e quella relativa al Consiglio superiore della magistratura supremo organo consultivo per ciò che concerne la carriera dei magistrati — che, fino ad allora di nomina Regia, fu stabilito dovesse eleggersi dai magistrati stessi. Ma la prima di tali disposizioni fu oggetto di critiche; ed in realtà essa non apportò alcun sensibile vantaggio alla massa dei magi¬ strati, allora come oggi anelante ad effettivi miglioramenti di carattere obbiettivo e generale, e la seconda costituì un tentativo che neppure raccolse unanimità di consensi, sem¬ brando ai più che non fosse opportuno di introdurre in seno alla magistratura lo spettacolo di lotte elettorali, che davano luogo necessariamente a gare di personali ambizioni, non con¬ facenti al decoro e alla natura dell’ordine giudiziario. Gli altri due decreti si riferiscono all’ultima rii orma attuata dal ministro Oviglio, al quale spetta l’ incontestabile merito di aver unificata la Suprema Corte, anche nella materia civile, eliminando così una delle principali cause delle diffor¬ mità che si manifestano nella giurisprudenza; e di aver riordinate le circoscrizioni giudiziarie, sopprimendo finalmente quegli uffici, la cui sopravvivenza non era giustificata da vere necessità di servizio, ma sopratutto da ragioni di interesse locale. Con la predetta riforma fu inoltre reso nuovamente di — 252 — nomina Regia il Consiglio superiore della magistratura; furono aboliti i gradi di primo presidente di corte di appello e pa¬ rificati, le cui funzioni si stabilì venissero conferite per inca¬ rico a consiglieri di cassazione, aventi almeno tre anni di grado; fu ripristinato un concorso per titoli per i posti di consigliere di cassazione, e fu adottato per b promozioni dei magistrati di tribunale a magistrati di appello il sistema cosi¬ detto degli « scrutimi anticipati », per effetto dei quali possono chiedere di essere scrutinati prima del proprio turno di anzia¬ nità, i giudici ed i sosituti procuratori del Re, i quali siano compresi entro il seicentesimo numero di graduatoria dopo quello dell’ultimo chiamato per lo scrutinio a turno, previo favorevole parere di un consiglio giudiziario, istituito presso ciascuna Corte di appello. Se si deve, dopo un’esperienza di 60 anni, dare un giudizio complessivo su tutta questa serie di riforme, il giudizio deve essere, a mio avviso, favorevole alla legge fondamentale del 186o, che appare tuttora come la più organica, la più rispon¬ dente alle esigenze pratiche della funz'one giudiziaria e quella che, distinguendo i magistrati secondo le loro attitudini e le loro aspirazioni, assicurava a tutti una carriera adeguata, e ga¬ rantiva ai migliori il conseguimento, in un temx^o relativamente breve, dei gradi elevati della magistratura. Il difetto fondamentale della legislazione posteriore sta in ciò che essa non venne, come la legge del 1865, coordinata con tutto il resto della legislazione italiana, e .‘opratutto non fu coordinata con i Codici di procedura civile e penale, di cui ogni legge sull’ordinamento giudiziario, deve essere il neces¬ sario complemento. Vano è infatti il voler mutare la disciplina degli organi quando rimane intatta quella della funzione. Tutte le leggi pertanto che si susseguirono dopo il 1865 operarono riforme esteriori e imperfette. È necessario ora, che l’Italia si appresta a rivedere tutti i suoi Codici, e quindi anche i Codici processuali, non lasciarsi sfuggire l’occasione di una riforma veramente organica dev’ordinamento giudiziario. — 253 — D’altro canto, se è vero che la revisione delle leggi sul¬ l’ordinamento giudiziario non può farsi se non in connessione con la ri Torma delle leggi processuali implica, per necessaria conseguenza, la revisione dell’ordinamento giudiziario. La di¬ sciplina della competenza, il tipo del processo civile, la strut¬ tura del processo penale, specie nella fase istruttoria; i mezzi di gravame tanto in materia civile quanto in materia penale, si ripercuotono di necessità sull’ordinamento giudiziario. D’altro canto la necessità di una organica revisione delle leggi sull’ordinamento giudiziario deriva anche dalle condi¬ zioni di disagio, in cui, malgrado le numerose riforme, con¬ tinua a versare la magistratura italiana. Causa fondamentale del disagio è sempre, a mio avviso, la lunghezza della carriera, dovuta alla fusione del ruolo della magistratura superiore con quella dei pretori, e alla fusione del ruolo del pubblico ministero con quella della ma¬ gistratura giudicante. Di fronte a 2350 posti di giudici e sostituti procuratori del Re l’ordinamento vigente non porta che 827 posti di consi¬ glieri e sostituti procuratori generali di corte d’appello e 187 posti di consigliere di cassazione e sostituti procuratori ge¬ nerali di cassazione, dimodoché in via normale non occorrono meno di 25-30 anni ad un giudice per arrivare in Corte di appello. La carriera si presenta così lunga e di una desolante uniformità, tale quindi da scoraggiare i migliori. Di qui quel desiderio, naturale del resto, nei più intelligenti o nei più ambiziosi di abbreviare questo lungo ed aspro cammino, quella ricerca dei mezzi atti a superare i colleghi posti innanzi nel ruolo, con promozioni di merito, che da taluno si è voluto de¬ finire col nome di « carrierismo ». I rimedi proposti, volta a volta, per dare sfogo al desi¬ derio legittimo, nei migliori magistrati, di un abbreviamento della carriera, sono stati vari. Ne ricorderò tre sperimentati nelle ultime riforme oppure suggeriti da gruppi di interessati: tm — 254 — il concorso per titoli; gli scrutinii anticipati, la equiparazione dei gradi. Il concorso per titoli, introdotto dalla legge del 1907 è stato oggetto di critiche e non tutte infondate, perchè non è sempre agevole giudicare un magistrato, in via assoluta e in via comparativa, dai titoli che egli può presentare. I titoli dei magistrati, assorbiti dal loro lavoro quotidiano, non possono essere che le sentenze o le requisitorie. Ora non tutti i magistrati hanno occasione di redigere sentenze o re¬ quisitorie importanti, in cui abbiano modo di risolvere gravi questioni, non sempre la sentenza o la requisitoria migliore è quella più ampiamente o dottamente motivata. D’altro canto i lavori scientifici non sono sempre P indDe della capacità del magistrato a bene esercitare la sua funzione. Nè il concorso per titoli tiene conto sufficiente di molti elementi che sono essenziali per la qualifica del magistrato. Infine il giudizio sui titoli che un magistrato può presentare offre tale campo, di necessità, alla valutazione subiettiva, da rendere il concorso per soli titoli una pura e semplice promozione per merito comparativo, senza limiti e senza nessuna seria sostanziale garanzia. Una critica analoga deve farsi al sistema degli scrutini anticipati, che pure offre largo campo all’arbitrio e che danneggia gravemente dal punto di vista materiale e morale, i magistrati pretermessi. Infine Pequiparazione dei gradi, che si chiede oggi limi¬ tatamente ai gradi di giudice di tribunale e di consigliere di appello, è un rimedio disperato, che consiste nel condurre alle più estreme conseguenze l’errore, da cui derivò il disagio attuale. Poiché, con la fusione della carriera inferiore con quella superiore e con Pequiparazione fra il grado di pretore e quello di giudice, si è creata nei primi gradini della carriera, una tale massa di magistrati da rendere difficile e lunghissimo Paccesso alla Corte di appello; continuiamo, si dice, per questa via e fondiamo anche il grado di giudice con quello di con¬ sigliere; così nessun giudice essendo consigliere, tutti avranno L’illusione di diventarlo. Ma si tratta di pura illusione; equi¬ parando i giudici ai consiglieri di appello non si farebbe che aggravare lo stato di disagio morale, in cui versa attualmente la magistratura. Di fronte infatti al vantaggio materiale di poter raggiungere, col semplice decorso del tempo, lo stipen¬ dio delTattuale consigliere di appello, starebbe il danno mo¬ rale gravissimo di una carriera, divenuta ancora piu uniforme, stagnante e congegnata in modo, da costringere il magistrato a una permanenza di oltre trenta anni nello stesso grado c, bene spesso, nelle stesse funzioni* Starebbe l’ingiustizia di equiparare con un egualitarismo assurdo, nel grado, e quindi nella dignità e nel prestigio, il giovane giudice con cinque anni di carriera, e il magistrato anzianissimo, con trentaemque o quaranta* E starebbe infine il danno e T ingiustizia insieme della con- fisca delle sedi migliori, a vantaggio dei magistrati che oggi vi si trovano come pretori o come giudici, e che vi restereb¬ bero diecine di armi, fino alla promozione in Cassazione, in a t tosa che una ulteriore riforma completi Top era equi parando¬ li pretore al consigliere della Corte suprema. Si comprende la tendenza ad allargare V impiego di magistrati di grado su¬ periore in collegi o uffici giudiziari inferiori, per rese inizio di funzioni speciali (esempio: consiglieri di Cassazione in fun¬ ziono di presidente di tribunale, consiglieri di appello in funzioni di presidente di sezione di tribunale, o di pretore capo). In tale modo si ottiene l’intento di aumentare i posti superiori, migliorando la carriera senza sopprimerla; e su questa via, per la quale si è messa già la riforma 0viglio, si può agevolmente proseguire. Non si comprende invece, se non come uno espediente suggerito da necessità, gravi certamente, ma transitorie, come la difficoltà dei trasferimenti per la crisi degli alloggi, l’idea di livellare tutti c tutto, sopprimendo ogni slimolo ed eliminando ogni soddisfazione nella carriera del — 956 — magistrato. A quei proposito sembra, anzi, opportuno tornare sopra una equiparazione attuata con l'ultima riforma: quella tra consigliere di Cassazione e prima presidente di Corte di appello, ripristinando il grado di primo presidente di (forte d J appello, di presidente di sezione di Cassazione, di prò tira¬ tore generale di appello e di avvocato generale di Cassazione. L'equiparazione, qui, come in ogni altro campo, toglie pre¬ stigio ed autorità al magistrato, e, con vertendo il grado in incarico temporaneo., ne diminuisce In serenità rii spìrito o ne menoma V indipendenza. Constatati gli inconvenienti dei vari sistemi, me ai in¬ nanzi per rendere meno lunga c meno aspra la carriera del magistrato, non si può negare che il rimedio più radicalo, ma più risolutivo sarebbe pur sempre quello di tornare alla legge fondamentale del 18G5 che, con saggio criterio, di tingo -va La carriera inferiore della magistratura (pretori) dalla carriera superiore (giudici di tribunale, di appello e di Cassazione)* Si operava, per tal modo, fin dall’ inìzio della carriera, una selezione volontaria, la piu efficace, e quella che, per sua na¬ tura, meno dà luogo a critiche è a recTiminazioni* I magistrati più modesti, di minori ambizioni, quelli che, per essere nati e vissuti in piccoli comuni, sentono meno il disagio di una vita isolata in sodi minori, pesato il prò od il con tra, sceglie¬ vano la via del proto rato, Quelli di maggiori ambizioni, de¬ siderosi di più vasti orizzonti di vita, prendevano la strada, più aspra in principio, ma più promettente di avvenire, della magistratura supcriore. Questa auto-selezione consentiva di formare gli organici della magistratura in modo, da rendere la carriera dei tribunali e delle Corti di appello relativamente assai rapida, senza perciò precludere la vìa dell'ascesa ai mi¬ gliori pretori. Il sistema non sembrò democratico, sebbene avesse fatto in complesso, buona prova, e Io si abolì, iv da veti ere pertanto se non con venga ritornarvi.* coi — 257 — necessari temperamenti ed adattamenti, fra cui in prima linea dovrebbe essere un buon trattamento economico dei pretori, sì da conferire sufficiente attrattiva anche alla carriera delle preture. Non è tuttavia possibile dissimularsi le difficoltà pratiche del ripristino di una situazione cessata oramai da trentacinque anni, e alla quale altre abitudini e altre tradizioni si sono sovrapposte. D’altro canto, diminuito il numero delle preture ed equiparato il grado di pretore a quello di giudice, il danno della unificazione delle carriere è alquanto scemato, essen¬ dosi ridotta, entro più ragionevoli limiti, la permanenza obbli¬ gatoria dei giovani magistrati nelle piccole sedi di pretura. Conservando il sistema oggi vigente, diventa più che mai importante la soluzione del problema della carriera. Con¬ viene a questo proposito riconoscere anzitutto che il desiderio di un più rapido avanzamento non è determinato soltanto da legittima ambizione di pervenire con relativa sollecitudine a un più elevato gradino della scala gerarchica, ma anche dalla aspirazione, più concreta, di conseguire in un tempo non eccessivamente lungo un più adeguato trattamento economico. In verità malgrado i miglioramenti sensibili recati, in questi ultimi anni, alla condizione materiale dei magistrati, si deve ri¬ conoscere che il trattamento economico della magistratura, in relazione all’importanza sociale della funzione, alla necessità per lo Stato di circondarla del più alto prestigio e di attirarvi i giovani migliori, non è ancora soddisfacente. Già i miglio¬ ramenti concessi, pure inadeguati di fronte alla svalutazione della moneta e al rincaro dei prezzi, sono stati largamente neutralizzati dall’aggravarsi dei due fenomeni. La situazione fatta alla magistratura dal decreto legislativo 23 dicembre 1923 fu certamente degna dal punto di vista morale, essendosi dato ai magistrati il vantaggio di un grado, in confronto degli altri funzionari dello Stato, ma dal punto di vista materiale non .-costituì che un insignificante miglioramento, essendo stata 17 — 258 — soppressa, ed assorbita dai nuovi stipendi la cospicua indennità di carica che la magistratura già godeva anteriormente alla riforma. E il risultato non certo confortante degli ultimi con¬ corsi, nei quali i concorrenti furono scarsi e mal preparati, tanto che grande parte dei posti vacanti non si è potuta co¬ prire, sta a dimostrare quanto poca attrattiva eserciti sui giovani la. carriera giudiziaria, e come tuttora inadeguato sia il trattamento economico fatto alla magistratura. A questa prima, fondamentale esigenza occorre dunque provvedere, e il Governo, pur nei limiti consentiti dalia generale situazione finanziaria dello Stato, non verrà meno n questo suo obbligo, se lo assisterà il consenso del Parlamento. Quando alla disciplina della carriera, constatati i difetti del sistema degli « scrutimi anticipati » bisognerà studiare se non convenga, anche In questo campo, tornare ali antico, con i miglioramenti suggeriti dalla esperienza e introdurre per la promozione da giudico a consigliere di Corte di appello, la trìplice classificazione di « merito distinto > da accertarsi mediante esame di concorso; di « pronto vibile a scelta » e di « promovi bile » . 11 concorso per esame, in verità, era dalla lcpge del 1890 stabilito per la promozione da aggiunto giudi¬ ziario o pretore a giudice, ma, fuso il grado di giudice con quello di pretore, stabilita la promozione automatica del giu¬ dice aggiunto a giudico dopo tre anni di funzioni, il concorso dal grado di giudice aggiunto a quello di giudice non avrebbe più ragione di essere, e dovrebbe forse essere sostituito dai concorso per il grado di consigliere di appello. Il concorso per esame, sotto il regime della legge del 1890, fece ccceiv lente prova e ad esso debbono la loro carriera parecchi ira i più insigni magistrati italiani. Ristabilendolo si ripristinerebbe lo stimolo allo studio e alla meditazione in tutti, i magistrati desiderosi dì una più rapida carriera; stùdio e meditazione, che gioverebbero non solo ai vincitori del concorso, ma a tutta i magistrati che tentassero la prova. Riservata una conveniente — 259 — aliquota dei posti vacanti ai vincitori del concorso per esame (un quinto sembrerebbe sufficiente) il restante dei posti do¬ vrebbe essere attribuito ai magistrati dichiarati promovibili a scelta. L’accesso al concorso dovrebbe essere disciplinato in modo da assicurare il possesso, nei vincitori, oltre che della necessaria cultura giuridica, anche della indispensabile maturità ed esperienza giudiziaria. Ad ogni modo questa è ma¬ teria che deve essere oggetto di attento esame. Per la nomina in Cassazione, richiesta una determinata anzianità di grado, criterio decisivo di scelta dovrebbe essere il merito, riservata forse soltanto una piccola aliquota dei posti all’anzianità con¬ giunta al merito, in modo da non precludere ogni speranza di ascesa a quei magistrati, che pur non distinguendosi per ecce¬ zionali requisiti, hanno per sè pur sempre, accanto a suffi¬ cienti doti di intelligenza e di cultura, una profonda e ma¬ tura pratica degli affari giudiziari. Disciplinato in tal modo l’avanzamento, migliorate con¬ gniamente le condizioni economiche dei magistrati, è da con¬ fidare che alla magistratura accorreranno di nuovo i giovani migliori, e che la carriera del magistrato si svolgerà in modo da garantire ad esso, come è pur necessario, una vita scevra dalle preoccupazioni che oggi, purtroppo, l’assillano. Quanto alla indipendenza della magistratura, essa, più che effetto delle norme giuridiche che la garantiscono, è una conseguenza dello stato di spirito, in cui il magistrato si trova; il problema pertanto più che un problema giuridico è un problema morale. Fra le cause infatti che possono limitare la libertà del magistrato, sono, è vero, le esorbitanze del Governo, ma più ancora le pressioni dell’ambiente, lo scatenarsi delle passioni politiche, le intemperanze della stampa. E contro tutte queste illegittime ingerenze, pure non negando l’efficacia delle difese legislative, bisogna contare sopratutto sullo spirito di indipendenza della magistratura, che bisogna conservare e rafforzare, garantendo ad essa condizioni ma- — 260 — feriali e morali di vita, che ne rendano altissima la dignità e incrollabile il prestigio. Bisogna dirlo ad onore della magistratura italiana. Mal¬ grado le angustie di ogni genere in cui si è spesso dibattuta, essa ha conservato sempre elevatissimo questo spirito. Tale prezioso patrimonio, rimasto intatto attraverso le prove più dure, il Governo intende custodire gelosamente, e se è possibile, con adeguate provvidenze, rafforzare, qualora, come non du¬ bita, il Parlamento vorrà essergli largo della sua fiducia. — 261 — SULLA DELEGA AL GOVERNO DEL RE DELLA FA¬ COLTÀ DI EMENDARE IL CODICE PENALE, IL CODICE DI PROCEDURA PENALE, LE LEGGI SULL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO E DI APPOR¬ TARE NUOVE MODIFICAZIONI E AGGIUNTE AL CODICE CIVILE ». DISCORSO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI (*) Onorevoli colleghi, sulla necessità e anche sull’urgenza della riforma dei due Codici penale e di procedura penale, si può dire che vi è stata concordia, sia tra gli oratori che qui hanno parlato e tra i relatori del disegno di legge, sia tra gli scrittori, i quali in questo periodo di tempo si sono occupati delTargomento. Dirò di più, durante la discussione del di¬ segno di legge presentato dal mio predecessore onorevole O- viglio per la delega al Governo il Re della facoltà di rifor¬ mare il Codice civile, il Codice di procedura civile, il Codice di commercio e il Codice della marina mercantile, voci si levarono e anche dai banchi dell’estrema sinistra, per invocare la riforma del Codice penale e del Codice di procedura pe¬ nale. E nel Senato del Regno, durante la discussione del bi¬ lancio della giustizia, oratori insigni come il senatore Garo¬ falo, hanno insistito non soltanto sulla necessità, ma anche (*) Pronunciato nella tornata del 27 maggio 1925. sull'urgenza della revisione della nostra legislazione penale; tanto che il senatore Garofalo domandò in modo preciso che si stralciassero alenili argomenti della riforma, come per e* seni pio, il problema dei delinquenti pazzi, dii delinquenti mi¬ norenni. e dei delinquenti abituali, e se ne facesse oggetto di un apposito disegno di legge, nella speranza che la riforma così ridotta potesse piu rapidamente attuarsi. Ài senatore Garofalo e ad altri senatori, che mi rivolsero simile richiesta, io ho risposto citando i cinque progetti di legge che sul problema della delinquenza abituale sono stati presentati alla Camera in tempi molto tranquilli, o che pure non poterono giungere in porto, ciò chi* è, a mio avvino, una riprova della necessità di ricorrere ad un altro metodo per ut- tenere l'intento, che tutti desideriamo. Eppure, come era del resto facile prevedere, il primo punto, che ha dato luogo a rilievi, è proprio quello che ha metodo prescelto per la riforma, quello cioè della delegazione legislativa. Non già che siano state messe innanzi obiezioni molto gravi, perchè anche gli oratori che non sono eccessi vani cute benevoli per il Governo, come por esempio gli onorevoli G aspa rotto e Kubllii, non hanno, in sostanza, fatto riserve sulTopporiunita di questo metodo, Yi ha invece insistito molto Tonorevole Boeri, il quale vi ha aggiunto una personale censura al guurdiasigilli per avere, elitre che errato nel metodo da scegliere, peccato per insuifieicnza anche nel metodo prescelto. Io devo una breve risposta all onorevole Boeri. CIANO, ministro delle comunicazioni. È assente. ROCCO, mmistro della giustizia e degli affari di culto. Non importa. J)a questo banco non mi rivolgo solo all’ono¬ revole Boeri, ma alia Camera © al paese. Devo una breve risposta sia sulla questione generale, sia sulle questioni particolari. Il metodo che noi abbiamo Séguito, e che è quello precisamente instaurato d allumare volo Oviglio col disegno di legge che riguardava gli altri quattro Codici, in sostanza non si discosta dalla tradizione italiana in questa materia. Che cosa si è fatto tutte le volte, ohe si è proposto al Parlamento la riforma di un Codice, a cominciare dalla fondamentale riforma del 1865, che investiva tutta quanta la nostra legislazione codificata? Si discusse forse alla Ca¬ mera e al Senato il tosto dei Codici articolo per articolo © si approvarono i singoli articoli dei vari Codici? Mai piu. Si fece sempre quello che è compatibile con il carattere e con la funzione del Parlamento, cioè una discussione sopra i principi forni amentali della riforma. La differenza sta solo in questo: che in altre occasioni, oltre ad ima relazione, fu presentato an¬ che uno schema, un primo disegno di Codice, il quale figurò non come oggetto della discussione e della deliberazione del Parlamento, ma soltanto come documento allegato al disegno di legge, elie serviva a spiegarlo ed illustrarlo, ed era, m so¬ stanza., una integrazione ed un complemento della relazione. Ma, anche nel passato, il progetto allegato non era che ima traccia della riforma; il suo testo non vincolava il Go¬ verno, che nella redazione del testo definitivo aveva facoltà di valiarlo secondo i risultati della discussione* Non era per¬ ciò il testo allegato che vincolava il Governo, ma la discus¬ sione, E ciò è tanto vero che, in occasione della riforma del Codice di procedura penale, accadde questo: che si riscontrò tale differenza fra il testo del Codice di procedura pubblicato dal Governo e lo schema annesso al disegno di legge che si arrivò persino a contestare la costituzionalità di tutto il Co¬ dice, Ciò dimostra che il metodo prescelto dal guardasigilli 0viglio por i Codici di diritto privato c da me seguito per i Codici di diritto penale, è perfettamente ortodosso e conforme ai precedenti. I Bimane Pai tra censura, più partieoi armento rivolta a me dall'onorevole Boeri, dì avere pure In questo metodo fatto — 264 — opera insufficiente, inquantochè la mia relazione sarebbe poco conclusiva e sostanzialmente vuota di pensiero. L onorevole Boeri non ha avuto tempo di leggere la re¬ lazione, e non glie ne faccio carico. Ma probabilmente, volen¬ do concludere con una critica di carattere essenzialmente poli¬ tico al Governo — e gliene riconosco il diritto — ha creduto di poter desumere sommariamente la condanna della relazione dalla sua apparente brevità. È breve, si è detto l’onorevole Boeri, dunque certamente non contiene nulla. Io non pretendo che l’onorevole Boeri abbia famigliarità con i miei scritti giuridici; se l’avesse, saprebbe che, dacché mi occupo di questi studi, cioè da oltre un quarto di secolo, ho sempre preferito di dire molte cose in poche parole piut¬ tosto che poche cose in molte parole. (Applausi). Ed e questo precisamente il caso della relazione premessa al disegno di legge, che, secondo il giudizio, non mio, ma di tutti gli scrittori di diritto penale, che si sono occupati del tema (il quale, nei tre mesi da che è stata presentata la rela¬ zione, ha già una letteratura notevole) rappresenta un docu mento di importanza decisiva per la riforma della legislazio¬ ne penale italiana. Citerò solo il giudizio di un penalista in¬ signe, maestro a tutti noi, che è anche un avversario politico del Governo, il senatore Luigi Lucchini, il quale, pubblicando la relazione nel fascicolo di maggio della sua Rivista penale , scriveva : « Qualunque sia, non di meno, il nostro apprezzamento, che non si è mai sognato e non si sognerà mai, per chi dirige questa rivista, di andar plasmando nei retroscena parlamen¬ tari, come qualche untorello eclettico della stampa giudiziaria è andato blaterando, sui concetti e sui propositi del ministro proponente, noi dobbiamo rendere omaggio all’elevatezza, alla rettitudine dei suoi intendimenti, e qualunque abbia ad essere il risultato finale degli studi e della opera riformatrice, che sempre confidiamo finisca di incanalarsi nella via maestra della patria costituzione, questa relazione rimarrà documento autorevolissimo e fondamentale della duplice riforma legisla¬ tiva ». (Applausi). Ma è chiaro che l’onorevole Boeri, il quale non ha avuto tempo di leggere la relazione ministeriale, meno che mai ha avuto tempo di leggere le riviste giuridiche che di essa si sono occupate. E a proposito del metodo seguito dal G-overno per la riforma, devo una breve risposta all’onorevole Cavalieri, che mi domanda quale sarà, nel dissenso eventuale fra relazione mini¬ steriale e Commissione, la norma per l’elaborazione futura dei Codici. È evidente, onorevole Cavalieri. Il Gloverno, quando avrà ottenuto la delegazione legislativa, non potrà essere vincolato- che dalle sue dichiarazioni e dagli ordini del giorno approvati dal Parlamento. La Commissione, per bocca del suo autorevole presidente, l’onorevole Carnazza, chiede che siano ancora allargati i poteri conferiti al Governo con la legge del 1923 per la riforma del Codice civile, e in relazione a tale proposta, formula un emenda¬ mento all’articolo 4 del disegno di legge. Il G-o verno ringrazia la Commissione e accetta questo emendamento, che integra e perfeziona le sue proposte. L’onorevole Bubilli, che ha fatto un discorso notevole e molto utile, ha trattato sia pure con molte cautele la questione del divorzio. Io sono obbligato a fare alcune dichiarazioni alla Camera sopra questo punto, anche in vista dei maggiori poteri che, in materia di riforma del Codice civile, vengono, con l’emendamento proposto dalla Commissione, conferiti al Go¬ verno. Dirò dunque all’onorevole Bubilli, che non è punto nostro intendimento introdurre l’istituto del divorzio nella nostra legislazione civile. E ciò non soltanto per la fondamen¬ tale ragione, che esso ripugna alla coscienza civile e religiosa dell’ immensa maggioranza degli italiani, ma per gravissime considerazioni di ordine sociale, e per la stessa concezione fa¬ scista della società e della famiglia. — 266 — Secondo la nostra concezione dello Stato e della società, gli interessi transeunti degli individui devono cedere di fronte agli interessi permanenti della società, la quale è un organi¬ smo, di cui i singoli non sono che elementi infinitesimali e transeunti. Egualmente avviene della società famigliare, che è la base e il nucleo fondamentale della società nazionale. Gl’ interessi degli individui devono essere sacrificati, anche quando ciò appaia crudele, a favore degli interessi del nucleo famigliare. Tutti gli argomenti a favore del divorzio sono di una logica impeccabile, quando si parta dalla concezione individua¬ listica, che il matrimonio sia un istituto fatto a beneficio dei coniugi. No, onorevoli colleghi, il matrimonio è una istituzione di carattere eminentemente sociale e tutti, uomini e donne, quando si sposano, devono sapere che compiono il più grave atto di dedizione e di sacrificio. Il giorno che nella nostra legislazione si aprisse in qualche modo uno spiraglio alle aspettative dei coniugi malcontenti, questo solo fatto sarebbe causa della di¬ sgregazione di molte famiglie, che altrimenti avrebbero su¬ perato le crisi, a cui ogni unione, anche la meglio assortita, non può sottrarsi. Noi non possiamo dunque che respingere un istituto, come il divorzio, perfettamente individualistico ed anti-sociale, il quale è in perfetto contrasto con tutta la dot¬ trina politica del fascismo, che è, essenzialmente, la dottrina della socialità. ( Approvazioni ). L’onorevole Barbiellini, sempre a proposito del Codice civile, ha domandato la riforma dei contratti agrari, ed ha deplorato che la nostra legislazione non provveda a frenare le esorbitanze dei grandi proprietari ed a favorire la costitu¬ zione e la difesa della piccola proprietà. Il Codice civile riformato si occuperà certo di questo argo¬ mento dei contratti agrari, ma mi sembra ingiusto affermare che la legislazione italiana sia stata indifferente di fronte al problema del latifondo e della sua trasformazione. Vi è — atiT — tutta una legislazione in questo campo* che e andata tanto al di là da giustificare persino le critiche, che recentemente le sono state mosso nell* altro ramo del Parlamento. L'onorevole Commissione chiude presentando un ordine del giorno, che io, a nome del Governo, accolgo e pienamente accetto perchè trovo giustificato il voto per la riforma dei Codici militari. La Camera conosce quaTè lo stato dei lavori per la ri¬ forma dei Codici militari. Sono state nominate tre Commissioni, delle quali una fu presieduta dal senatore Di Vico, una seconda dal Tono re volo Battaglieri, ed una terza dall’onorevole Bercnini. Quest 5 ultima ha formulato tre distinti disegni di légge, uno per il Codice penale militare per tutte le forze di terra e di mare, uno pel Codice di procedura penale militare c un terzo per l'ordinamento giudiziario militare. L evidente che 0. giorno, in cui saranno riformati il Codice penale comune e il Codice di procedura penale comune, si dovrà riformare anche tutto il nostro ordinamento penale militare, al quale scopo questi studi forniranno un materiale prezioso. Veniamo ora a parlare particolarmente della riforma del Codice penale, e poi della riforma del Codice di procedura pe¬ nale. Quanto alla riforma del Codice penale, la sua necessità e urgenza è stata messa in rilievo benissimo dalla eccellente 1 Iasione delionorcvole De Marsine. Non aggiungerò nulla a quello che egli osserva con tanta perspicacia. In sostanza ì mutamenti che si sono verificati nella strut¬ tura sociale, economica e politica del popolo italiano negli ultimi 35 anni, sono così profondi, che non è possibile che il Codice penale non appaia rispetto ad essi antiquato, ke si considera poi che il Codice penale, promulgato 35 anni fa, ef¬ fettivamente per gli studi che lo prepararono risale a qualche decennio prima, è chiaro che questa mancata corrispondenza ira lo stato politico, economico e sociale dell 1 Italia, e la legisla¬ zione penale che la governa, si manifesta oramai assai gravo. Il momento per una riforma del Codice penale è oppor- samm — 268 — tuno; opportuno, perchè siamo oramai, dopo molti anni di studi e polemiche giunti a un punto di superamento dei contrasti di scuola, che in Italia sono stati così vivaci alcuni anni fa. Come ben dice ^Onorevole De Marsico, il contrasto fra le dne opposte scuole di diritto penale, quella giuridica e cimila positiva, si placa, nel campo delle pratiche realizzazioni, Così è precisamente. I^a relazione da me presentata ha questo valore; che, pre¬ scindendo dai dissidi teorici e superandoli, ossa trova nel ter¬ reno della pratica legislativa raccordo tra i voti di riforme di entrambe le scuole. Infatti essa conserva la pena come sanzione giuridica e il principio che sta a fondamento della responsabilità penale, cioè V imputabilità basata sulla capacità di volere. Ma. d altro canto, integra la difesa dello Stato contro la criminalità, prima abbandonata ai soli mezzi repressivi (sanzioni penali e civili) con nuovi mézzi preventivi (misuri di sicurezza), in cui trovano attuazione 1 principi della scuola positiva, senza negare i principi fondamentali della scuola classica. Ciò posto vediamo quali differenze separano le misure di sicurezza, che intendiamo assai più largamente di quanto oggi giù non sia, introdurre nella nostra legislazione penale, da un lato dai cosi detti provvedimenti di polizia, da 11 nitro dii 11 e vere e proprie pene. Il mio amico Federzoni ha benissimo delineato le differenze che esistono fra le misure di sicurezza, che debbono trovar posto nel Codice penale e gli ordinari provvedimenti di polizia,, che debbono invece trovar posto nella logge di pubblica sicu¬ rezza. Le differenze tra le misure di sicurezza e gli ordinari provvedimenti di polizia, sono chiare. Anche i provvedimenti di polizia sono preventivi al reato, ma in un duplice senso, perchè combattono le cause della de¬ linquenza e perchè sono adottato ante factum. Invece le misure di sicurezza, che trovano posto nel Codice penale, sono mezzi — 269 — preventivi solo nel senso ohe combattono le cause della delin¬ quenza, ma «oiio adottate post factum. Come dice il Merisel c’è la stessa differenza, fra le misure di sicurezza e gli ordinari provvedimenti di polizia, ohe vi è tra il caso di ehi compera una pompa por la ipotesi di un incendio e chi la adopera quando V incendio è già scoppiato. I provvedimenti di polizia sono presi dall’autorità ammini¬ strativa, le misure di sicurezza sono prese dall'autorità giudi¬ ziaria. I provvedimenti dì polizia noa hanno connessione con la pena; le misure di sicurezza sono accessorie o sostitutive della pena, o alternative con essa* Ma le misure di sicurezza si distinguono anche dalle pene vere e proprie. Badate, onorevoli colleglli, io ho detto, anche nella mia relazione, che la sola pena non appare più uu mezzo sufficiente di lotta contro il delitto. Con questo non si vuol negare P immensa, importanza della pena come mezzo di lotta contro la criminalità. La pena è e rimarrà sempre il mezzo fondamentale eli lotta contro il delitto. Perchè la pena, men¬ tre opera come mezzo di repressione, opera anche come mezzo di prevenzione speciale e generale* La differenza, tra misura di sicurezza e pena, riguardo agli scopi lo dimostra; le misure dì sicurezza sono una difesa contro 11 pericolo di nuovi reati da parte del reo; le pene sono lina difesa contro il pericolo di nuovi reati sia da parte del reo, sia da parte della vittima e dei suoi famigliaci, sia da parte della colletti vita. La pena, cioè, si rivolge non soltanto al delinquente, non solo a coloro che delinquono in generale, ma si rivolge a tutti. Quando noi vogliamo dare nn giudizio sul valore pratico e sulla efficacia della pena, non dobbiamo considerare solo i delitti che si commettono, ma anche gli infiniti delitti che non si commettono. Quindi le misure di sicurezza mirano alla prevenzione speciale mediante eliminazione o adattamento; la pena mira anche alla prevenzione speciale mediante eli rum nazione o adattamento, ma. inoltre mira alla prevenzione spc- - 270 — t'iale mediante intimidazione, alla prevenzione generale, ari momento della esecuzione con la sua esemplarità e toh la sua funzione satisfattoria, in quanto impedisce le vendette e lo rappresaglie. Io, dunque, non voglio togliere alle misure di sicurezza il posto onorevole che spetta ad esse nella nostra legislazione pe¬ nale, ma torno ad affermare il concetto che il mezzo fon¬ damentale, U mezzo principe, non soltanto di repressione, ma di prevenzione dei reati, rimane la pena. La quale adempie meno bene, è vero, delle misure di sicurezza, la funzione di prevenzione speciale, la ricaduta cioè nel delitto da parte dd delinquente, ma adempie a quella funzione di prevenzione generale, che è la piu pratica o la più efficace, e che è estra¬ nea alle misure di sicurezza. Ho detto che lo misure ere di pubblica utilità; per quello die concerne la sospensione dall’esercizio di una professione o di un'arte, À proposito, anzi, della sospensione dalTesercdzio di una professione, devo notare che per l’articolo 35 del Codice pe¬ nale tale pena si può applicare anche ai delitti, soltanto si applica come un effetto speciale della condanna; ^onorevole De Mar si co vorrebbe che fosse considerata come ima pena a sè; ed io trovo giusta la sua richiesta. Invece non potrei del tutto consentire con Poziore vedo relatore per quello ohe riguarda l'ergastolo. Intendiamoci! Se 1 onorevole De Morsico edile de che si studi la soppressione della segregazione cellulare continua come inasprimento della pena dell’ergastolo., nessuna diffi¬ coltà; c un provvedimento che va seriamente meditato; ma se mi chiedesse la soppressione delTergastolo come pena car¬ cerarla perpetua dovrei recisamente dissentirà perchè, la pena carceraria perpetua nel nostro Codice ò una assoluta neces¬ sità, dalla quale non si potrebbe prescindere, Non potrei invece accedere alla proposta dell'onorevole relatore di adeguare le pene pecunia rie alla fortuna econo¬ mica del condannato, perchè si distruggerebbe in tal modo La proporzione tra la gravità del reato e la pena, che deve essere oggettiva, non soggettiva. Potrebbe essere soggettiva se lo scopo della pena fosse sol ( auto la prevenzione individuale, ma poiché lo scopo fondamentale della pena (e non mi stan¬ cherò mai dal ripeterlo) è la sua funziono generalo di pre- — 272 - vernicile* la proporzione tra la pena ed E reato deve essere necessariamente oggetti va. L’onorevole De Marsieo invoca la introduzione nel no¬ stro Codice dell'istituto del perdono giudiziale. La questione è troppo grava. Io mi riservo di studiarla molto profonda* mente, senza tuttavia prendere alcun impegna preciso, perchè nel nostro diritto pubblico, il diritto di grazia è prerogativa sovrana e non so se noi possiamo, e con quanto vantaggio pratico, Innovare su questo punto fondamentale della nostra legislazione. Circa Fapplicazione giudiziale della pena* consento con l’onorevole De Marsieo sulla necessità di aggiungere all'isti¬ nto attenuanti generiche Fisti luto delle aggravanti ge¬ neriche* e consento anche con lui sulla opportunità di fare una enumerazione, sia delle irne che delie altre, enumerazione esemplificativa, intendiamoci, non tassativa, ma che sia tale da obbligare il giudice a motivare su questo punto, e a non concedere, come oggi avviene purtroppo, attenuanti generiche in nessun modo giustificate dalle circostanze del fatto. Circa la condanna condizionale, consento anch'io .sulla opportunità di una più larga applicazione, salvo a stabilire cautele per evitare gli abusi eventuali. Diro ora Qualche cosa delle misure di sicurezza In par¬ ticolare, le quali si applicano a certo determinate categorie- di delinquenti; delinquenti minorenni, infermi di mento pe¬ ricolosi* ignavi e ripugnanti al lavoro, delinquenti abituali* Sono le più grosse questioni della riforma e quindi la Camera mi perdonerà se in questo punto non potrò essere cosi breve come vorrei. Delinquenti minorenni. Io non spenderò molte parole sulla piaga della delinquenza minorile, di cui si occupa la relazione dell Onorevole De Marsieo con tanta perspicuità e tanta effi¬ cacia. Xon ritornerò sopra le proposte concrete e molto savie che Tenore volo De Marsieo mette innanzi* Io convengo sulla opportunità di distinguere i delinquenti minorenni secondo l — 273 — periodi di età e secondo che sono primari o recidivi, salvo a vedere come determinare il delinquente primario e come il recidivo. Circa gli infermi di mente pericolosi ,sono perfettamente d’accordo con l’onorevole relatore sulla necessità di modificare la legge del 1904 sui manicomi, che rappresenta un vero scon¬ cio, perchè per ragioni puramente economiche la legge del 1904 stabilisce che gli infermi di mente delinquenti, assolti per infermità di mente, siano inviati nei manicomi comuni e messi a vivere in comune con pazzi normali, il che è un danno per questi e una vergogna per la società. Occorre, invece, che i delinquenti assolti per infermità di mente siano ricoverati nei manicomi giudiziari. Circa la semi-infermità mentale, la Camera conosce la grossa questione, che si agita fra gli studiosi di psichiatria e fra i criniinologi, sulla esistenza o meno della semi-infermità. Si dice da taluno che non esiste la semi-infermità mentale per¬ chè o si è pazzi o non si è. Tuttavia non si può negare — e la scienza lo dimostra — che esistono zone grigie fra la sanità e la pazzia, per cui il delinquente, che è semiinfermo, non può dirsi totalmente responsabile, ma neanche totalmente irre¬ sponsabile. Fra questi delinquenti è compresa tutta la schiera dei neuropatici, cioè degli epilettici, degli isterici, dei neurastc- nici, e io vi porrei anche gli intossicati, vale a dire gli alcoo- lizzati, i morfinomani, i cocainomani. Consento che si debbano internare in istituti speciali e solo eccezionalmente in sezioni speciali dei manicomi giudiziari, perchè nei manicomi giudiziari sono di solito internati i delinquenti incorreggibili ed in¬ curabili. Neanche potrei consentire nell’idea che la misura di si¬ curezza debba sostituire ed escludere in ogni caso la pena. Piuttosto, per quanto riconosca che la questione è molto grave, sarei dell’ idea di far scontare la pena dopo applicata la misura di sicurezza, o anche di dare al giudice la scelta fra la pena 18 — 274 _ e la misura di sicurezza, secondo la natura del reato c le sue par ticolari ciré os t anze, Quando poi agli al eoo lizzati cronici ed agli ubriachi abi¬ tuali si applichino misure di sicurezza, si può considerare sotto un nuovo punto di vista In briachezza come causa minorante od escludente l'imputabilità. Io sarei senz’altro contrario a con¬ servare alla ubriachezza volontaria jl carattere di scusante. Circa gli ignavi e i ripugnanti al lavoro, occorrerebbero stabilimenti speciali ma non si debbono dissimulare le diffi¬ coltà finanziarie. Tutta Questa riforma purtroppo ha una difficoltà gran¬ dissima ed è la necessità di impiantare stabilimenti speciali, che sono cestosi. Però debbo dire alla Camera, aprendo una parentesi che mi è molto gradita! che l J Am ministra zio ne car¬ ceraria italiana ha fatto grandissimi progressi in questi ultimi tempi. Intanto abbiamo già la separazione tra delinquenti minorenni e maggiorenni o in stabilimenti appositi, riforma¬ tori, o in sezioni speciali delle carceri giudiziarie. Noi abbiamo oramai manicomi giudiziari bene organizzati, ne abbiamo quattro ohe sono sufficienti per i delinquenti alienati di mente. Ora stiamo costituendo a Santo Stefano uno stabilimento di pena speciale per i così detti delinquenti istintivi, cioè per coloro che non sono pazzi, ma neppure nor¬ mali, Sono quei disgraziati che girano di ergastolo in ergastolo, di manicomio in manicomio giudiziario, senza trovare mai cosa ìn nessuno. Sono delinquenti pericolosi che vanno vigilati in modo speciale, e -che sono assolutamente incorreggibili, salvo casi addirittura eccezionali. Occorreranno altri stabilimenti; però come la Camera vede* sulla via della specializzazione ci siamo. Molto cammino si è tatto, per quanto ancora molto ne resti, a percorrere. Circa i delinquenti abituali, piaga grave e problema preoc¬ cupali te, io credo ohe bisogna anzitutto stallili re la nozione giuridica drir&hituaìità. Il delinquente abituale deve essere definito e deve quindi — 275 — costituirsi per lui un vero stato giuridico di minorata capa¬ cità, che consenta di adottare a suo riguardo provvedimenti tali da metterlo nella impossibilità di nuocere. Ora, per infliggere ad un uomo uno stato giuridico di così grave diminuzione dei propri diritti occorrono elementi sicuri che devono essere oggettivi e soggettivi. Gli elementi ogget¬ tivi consisteranno necessariamente nei precedenti reati com¬ messi che debbono essere in un certo numero e devono io credo, risultare da condanne passate in giudicato. Gli elementi sog¬ gettivi saranno dati dai precedenti, dalla vita anteatta, dalle circostanze del reato, dalla pericolosità insomma del delin¬ quente. Quanto al trattamento da fare a questi pericolosi elementi della società, è chiaro che debbono segregarsi perpetuamente o per un tempo assai lungo. Riconosco la gravità del problema, che concerne gli stabilimenti, in cui debbono essere rinchiusi i delinquenti abi¬ tuali, e i difetti dei vari sistemi proposti: relegazione, depor¬ tazione, detenzione in colonie agricole o stabilimenti speciali. La questione ha sopratutto carattere finanziario. Circa le cause estintive dell’azione e della condanna penale, sono d’accordo con la relazione. L’amnistia deve, come giusta¬ mente osserva l’onorevole De Marsico, restare prerogativa so¬ vrana. Guai se lanciassimo l’amnistia fra i dibattiti di parte e le discussioni del Parlamento. L’indulto e la grazia devono essere meglio disciplinati e si deve tener conto dei precedenti del delinquente, come del resto, in pratica già avviene. E vengo alla parte speciale del Codice penale che ha dato forse luogo a più vivace dibattito. Sui principi generali siamo d’accordo. Convengo che si devono in genere lasciare intatte le definizioni giuridiche dei reati, che per lo più sono ben formulate, e riformare sopra¬ tutto le pene. Sono pure d’accordo col relatore e con l’onorevole rovini per ciò che concerne i delitti contro la sicurezza dello Stato. ——mseaz ~~ — 276 — L onorevole Rubilli ha opposto contro lo studio, che ci apprestiamo a fare per la riforma di questo titolo del Codice penale, che m sostanza non se ne vede la necessità, perchè non sembra che negli ultimi anni gli attentati contro la sicurezza dello Stato si siano fatti più numerosi o più gravi. Questo e vero, ma è vero altresì che sono negli ultimi qua¬ ranta anni mutate profondamente le condizioni politiche e sociali non solo del popolo italiano, ma di tutti i popoli civili e, si può dire, il carattere stesso della civiltà. Quattro fatti sono intervenuti sopratutto a mutare queste condizioni. Anzitutto, l’evoluzione delle guerre. La guerra che era una volta urto di eserciti, è diventata lotta di popoli, per cui occorre oramai difendersi non solamente contro le armi e forze armate, ma anche contro gli assalti alla resistenza morale ed economica di tutto il popolo. Bisogna in secondo luogo ricordare l’influenza decisiva che hanno preso nello svolgimento della vita dello Stato e nei momenti più gravi della sua esistenza, l’opinione pubblica, la stampa, i partiti politici, le forze finanziarie. Una volta era il Governo nel chiuso ambito dei Gabinetti, che decideva; oggi e la grande moltitudine del popolo che decide dei destini di un paese, e con la stampa e con le pubbliche manifestazioni, coi partiti e con le forze economiche e finanziario. Come è possibile non preoccuparsi dell’azione che l’estero può eserci¬ tare su tutti questi elementi? Sorge la possibilità ogni giorno, m pace e in guerra, che si perturbi l’opera dello Stato, che si paralizzi o diminuisca la sua libertà, agendo sulle forzo interne del Paese. Occorre in sostanza, onorevoli colleghi, che noi ci pr«>ccu P iamo di disciplinare i rapporti internazionali stabi¬ li all infuori dello Stato. Se nel campo economico, intellet¬ tuale, culturale noi possiamo concepire che vi siano relazioni tra cittadini di più Stati diversi - i rapporti internazionali sono diventati molto più stretti, la vita dei vari popoli è più coordinata - noi non possiamo concepire che la politica si faccia da altri organi elle non sia lo Stato. Una politica di classe, di categoria* di gruppo, di associazione, nel campo internazionale è assurda, e intollerabile» (A pp ro vazì o n i). In terze) luogo dobbiamo ricordare V importanza assunta d^dla lotta pacifica ed economica fra i popoli; una volta la guerra tra gli Stati si faceva a distanza di lunghi periodi di tempo, ed era unicamente armata; oggi la letta internazionale è lotta di ogni giorno, e lotta di concorrenza politica, dì pe¬ netrazione economica, di influenza intellettuale. Questa batta¬ glia di ogni giorno puh avere i suoi traditori, e non si può permettere che il popolo italiano, che lotta per la sua affer¬ mazione nel mondo, sia insidiato, entro la sua stessa compagine e indebolito nella sua, forza combattiva. Bisogna considerare infine che i rapporti internazionali sono diventati sempre piu stretti e l 1 influenza che Popinione pubblica internazionale esercita sulla vita degli Stati sempre pili intensa. Non è possibile prescindere da questa realtà, non è po&ibile ammettere che cittadini italiani influiscano suITqpi- nionc pubblica estera a danno del proprio paese, per rendere più difficili e più dure lo condizioni della vita politica ed economica del popolo italiano. Questa opera nefasta, che pessimi ii ali ani compiono a danno del proprio paese, è vero o proprio tradimento, e come tale deve essere punita. Tutte queste nuove condizioni di vita dei popoli si sono venuto delincando nelTultimo secolo, ma V Italia ne ha ri¬ sentito gli effetti, si può dire, solo negli ultimi decenni, perchè solo negli ultimi decenni essa ha iniziato la sua parte - cip azione alla vita mondiale e si è affermata come grande po ten za mo n diale. Circa i delitti contro Tenore, a mio avviso, gli incouve- nienti della legislazione vigenti sono sopra tutto due. Uno è quello della eccessività delle pene, che finisce, come ognuno sa, per risolversi in causa di impunità. L’altro m conveniente gravissimo e costituito dagli sconci dei dibattimenti, in cui si svolge la prova del fatti, e clic si risolvono in una nuova* — 278 — più ampia e piu atroce diffamazione. Credo quindi anche io che la prova dei fatti, anzi che in sede giudiziaria possa farsi, quando debba essere ammessa, davanti idi a Corti d'onore, per la cui istituzione e il cui funzionamento occorrerà dettare norme opportune* L'onorevole relatore chiede ima più severa repressione delle speculazioni fraudolente, ed io gli dò ragione, per quanto non possa dissimularmi che in questa materia occorre proce¬ dere con cautela, al fine dì non intralciare* per il desiderio di una eccessiva repressione degli eventuali abusi, la vita economica e finanziaria del Paese. Per ì reati di sangue, infine, io credo che occorra un ade¬ guato inasprimento delle pene, perchè in Italia, in questo campo, si delinque assolutamente troppo a buon mercato* e consento con V onorevole Itubilli in ciò che egli dice sul- l’omicidio tentato c mancato, che rimane oggi praticamente impunito. E vengo al Codice di procedura penalo. Io debbo una lode all onorevole Sarrocchi per la sua relazione, che è veramente perspicua, completa, precisa; seno d/accordo con lui in molti punti e solo in alcuni in disaccordo. Sono d'accordo con lui nella premessa generale della sua relazione * L onorevole Sarrocchi afferma giustamente che, mal¬ grado le critiche mosse da ogni parte al vigente Codice, vi è in e.-so, accanto ai difetti, molto di buono. È vero. La riforma deve rispettare il buono e porre riparo agli in con venienti. In merito alsaziane penale non .sono d’accordo con loco- re volo Sarrocchi circa le questioni di stato, circa V influenza del giudicato civile sul penale e viceversa, circa il principio! eleeta una vìa non datar recursus ad alterami circa la ripa¬ razione pceuniaria. Kei riguardi della competenza osservo che, in caso di concorso delia giurisdizione ordinaria con la giurisdizione spe¬ ciale, non mi sembra che la prima debba, in ogni caso assor¬ bire la seconda. E ciò in omaggio al principia: in urduero iure — 279 — genièri per speciem derogatiif, che è in fondo un principio di logica naturale. Cosi avviene infatti per la giurisdizione spe- cirsi del Senato costituito in Alta Corte di Giustizia, e così do¬ vrebbe avvenire per la giurisdizione militare. E vengo a uno dei punti piu criticati del Codice del 101%, cioè alT istruttoria penale. La relazione consente con me, e no sono lieto, perchè si tratta di uno dei punti fondamentali della riforma, nella concezione del pubblico ministero come parte e non come giudice nel processo penale; consente nel principio che il pub¬ blico ministero non può sostituirsi al giudice neLF assunzione delle prove, compito, per cui manca della prepar azione tecnica e spiritual? e sopratutto dei mezzi necessari; e conviene infine, hi relazione, nella opportunità di tornare al sistema del Codice abrogate, rer cui il procedimento formale era la regola e quello sommario he erezione. Il procedi rncnttì istruttorio deve essere di regola forni al e, tanto per i reati di competenza della Corte d"Assisi, quanto per i reati di competenza del tribunale; soltanto eccezio¬ nalmente, quando per la semplicità dei fatti non siano ne¬ cessarie indagini e il pubblico ministero creda, fatte som¬ marie investigazioni, di poter rinviare dirottamente a giudizio, si può fare a mono del procedimento formale. Ma, se non sbaste, l’onorevole relatore vorrebbe fare eccezione alla regola anche nei caso che F imputato consenta dì essere rinviato a giudizio. Allora, so non ho mal compreso, si potrebbe fare a meno del prò cedimento formale e sulla richiesta dell imputato si avrebbe II rinvio a giudizio. BARROCCI XI, r dai ore* No, no. ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. L’onorevole Sarrocchi si limita dunque al caso in cui, dopo terminata F istruttoria formale, si debba pronunciare il rinvio. Ove F imputato lo richiedesse, si potrebbe fare a meno della decisione del giudice. Mi riservo di studiare la questiono, che praticamente non credo abbia grande rilievo. Teorica- - m * mente io, anche come studioso, troverei qualche difficoltà ad ammettere il principio dispositivo in materia penale. Il prin¬ cipio dispositivo deve essere la regola dei processi civili; ma in materia penalo lo credo alquanto pericoloso. Invece non sono d’accordo con l’onorevole relatore per quel che riguarda le facoltà del pubblico ministero rispetto all esercizio dell’azione penale. Questione grave, questione dì principio più che di grande importanza pratica. L’onorevole Sa rrocchi invoca iì principio della inderogabilità g della ob¬ bligatorietà dell'azione penale o lo contrappone al principio della discrezionalità dell’azione penale. Io comincio col dirgli che sono &accordo con lui sul principio della obbligatorietà delibazione penale, per una ragione molto semplice. L’azione penale è Peseremo di un diritto pubblico. Ogni pubblico di¬ ritto è anche pubblico dovere e quindi è naturale che il pub¬ blico ministero, il quale ha il diritto di esercitare T azione penale, abbia anello il dovére di esercitarla. Si tratta di una pubblica funziono, che come tale ha un doppio aspetto: diritto pubblico, dovere pubblico. Quando perciò, si parla di discrezio¬ nalità dell azione penale, non si intende parlare di *ii& rczioTUi- Utà pura, di puro arbitrio del pubblico ministero; si parla sempre di discrezionalità ragionevole e giusta. A nessuno viene in mente di sostenere che il pubblico mi¬ nistero possa, a suo arbitrio, esercitare o non esercitare razione penale; egli la deve sempre esercitare quando vi sono gli ele¬ menti, quando il fatto sia preveduto come reato, e appaia possibile e verosimile che sia stato commesso. La questione non sta dunque nel decidere se razione penale sia o non Obbligatoria* sia o non un pubblico dovere; lo è indubbia¬ mente, La questione sta nel vedere ehi debba essere giudice della esistenza concreta di questo pubblico dovere e del suo esercizio. Chi * in altri termini — deve giudicare se concorrono, in concreto, gli dementi per l'esercìzio donazione penale? Deve essere lo stesso pubblico ministero, a cui l’azione è affidata — 281 — o un'autorità estranea a luì, che si sovrappone a lui, che giu¬ dica su di lui e e he quindi usurpa in parte o assume, se non vogliamo usare questa parola troppo grossa, le funzioni del pubblico ministero ? 10 credo., e lo dichiaro frane amen te, che per quanto si debba riconoscere che il pubblico ministero abbia l’obbligo di esercitale l'azione penale quando ve ne siano le condizioni, non si possa ammettere die vi sia un’altra autorità estranea a lui che eserciti su di lui un controllo. Io credo che giudice deh l’esistenza degli elementi per l’esercizio dell’azione penale debba essere lo stesso pubblico ministero, sia pure con tutte le ne¬ cessarie garanzie, perchè la discrezionalità non si tramuti m arbitrio. Circa la necessità di rivedere la nozione delT imputato, consento coll'onorevole relatore e con l’onorevole Cavalieri. E vengo alle perizie. Secondo il Codice abrogato le perizie davano luogo a molti inconvenienti, perchè si aveva lo spettacolo elei periti che nel dibattito pubblicò si trasformavano in avvocati, e fra i piu accaniti e meno sereni, portando in una discussione che avrebbe dovuto limi tarsi alla tranquilla obiettività del re¬ sponso scientifico, elementi passionali di difesa. 11 nuovo Codice non ha ammesso più la discussione sulle perizie. I periti sono nominati dall Autorità giudiziaria e sol¬ tanto nel ìioriodo istruttorio. Io andrei molto cauto prima dì tornare al sistema dello perizie di parte e delle discussioni in eontradlttorio tra i periti nel pubblico dibattimento. Oc¬ corre eliminare gli. inconvenienti, certamente gravi, del Codice vigente, senza ricadere negli antichi abusi. Circa gli argomenti comuni alh istruttoria e al giudizio, poco o nulla avrei da opporre alle osservazioni del relatore sulle nullità o sui termini e sulla necessità di meglio discipli¬ nare il sistema dei mandati e la. libertà provvisoria. Trovo specialmente giustissima hosscrvazione che la materia delle nullità non è suscettibile di sistemazione scientifica, e ebe è imo dei difetti del Codice di procedura vigente di aver voluto una soluzione unica e generale. Bisogna invece procedere caso per caso con norme concrete. Invece non siamo del tutto d'accordo stalla questione della scarcerazione automatica, che il relatore vorrebbe integrai- mente mantenuta, mentre io credo all’opportunità dì radicali riforme, sia por sottrarre i magistrati inquirenti aiT incubo di termini ristretti che tolgono serenità alla opera loro* sia anche a tutèla dei diritti degli imputati, i quali dall’eccesso del ri¬ gore vengono oggi frustrati, in quanto la scarcerazione auto¬ matica sì riduce, non di rado, ad una pura finzione. Circa la prova testimoniale la relazione riconosce la ne¬ cessità dì rivedere le norme che ristringono 1 ■ prove e propone altro norme precise. Consento nella maggior parte delle cose dette dai relatore, salvo naturalmente qualche riserva sopra tal uni par titolar i, Sai provvedimenti del giudico vi è accordo fra Governo e relatore. Invece non vi è accordo con l’onorevole Cavalieri che fa una carica a fondo contro il decreto penale. Non bisogna esagerare* H decreto penale si applica nelle contravvenzioni piu pic¬ cole e si potrebbe applicare più largamente senza dar luogo a gravissimi inconvenienti. Ben s’Intende che quando Y imputato vuole instaurare 11 giudizio contraditto rio sta a lui il farlo, è se si rassegna significa o che egli ritiene giusta la pena o che il danno della pena (trattandosi sopratutto di jKme non infa¬ manti) sìa per luì così piccolo da non meritare neppure il di¬ sturbo di un processo e di una, difesa. Invece sulle formule di proscioglimento la relazione pro¬ pone raholizione del non doversi procedere per insufficienza d’indizi e dell’assoluzione per non provata reità. Queste formule danno effettivamente luogo ad inconve¬ nienti, ma io temo che gii inconvenienti, ohe deriverebbero dalla loro abolizione siano maggiori, di quelli provenienti dalla — 283 - loro conservazione. E non so proprio se ne trarrebbe un van¬ taggio l'imputato: temo che il giudice, messo nell'alternativa, preferirebbe condannare. Ad ogni modo, ragioni evidenti di difesa sociale contro le forme piu raffinate di delinquenza e contro abitudini purtroppo persistenti in qualche parte d fl Ita¬ lia, per cui difficile e talora impossibile riesce la raccolta delle prove, impongono la conservazione della doppia formula di proscioglimento. Quanto al giudizio la relazione osserva giustamente che le lungaggini dei dibattimenti penali, piaga propria del nostro paese, non sono facilmente eliminabili con riforme di carattere procedurale, perchè esse sono dovute principalmente a due cause: al costume giudiziario italiano, die ama approfondire e far dilagare le indagini anche al di. là di quanto sarebbe necessario per nna retta amministrazione della giustizia, e alle imperfezioni dell' istruttoria. Io aggiungerci una terza causa: la difficolta di preparare magistrati atti a ben dirigere dibattimenti penali, a ben so¬ stenere l’accusa e a compiere con efficacia le istruttorie penali. J L problema è grave e si connette con quello della specia¬ lizzazione dei magistrati penali, che dovrà certo formare oggetto di serio esame nella riforma dell’or din am ente giu¬ diziario . Circa Ì giudizi di Assise siamo d’accordo sulla necessita di una piu rigorosa selezione dei giurati. L’onorevole Ku- btìli ha aggiunto la necessità di meglio retribuirli ed io gli dù ragione. Invece non siamo d'accordo con l’onorevole relatore sopra un’altra proposta ohe io ho messo innanzi, quella di far parte¬ cipare i giurati al giudizio della pena 0 il magistrato al giu¬ dizio sui fatto. Sul primo punto soltanto Tori ore vele relatore consento, perchè riconosce che i giurati italiani vogliono essere padroni della pena come sono giudici del fatto. Invece lo spa¬ venta E idea di fare intervenire il magistrato anche nel gùi- dizio sul fatto, perchè il magistrato o avrà una parte troppo — 284 — piccola nel giudizio, se essa sì limiterà al solo suo voto, o ne avrà ima troppo grande, se peserà con la sua autorità sul giu¬ dizio dì tutti. Io ammétto la gravità dì queste obiezioni. Am¬ metto pure che con la proposta messa innanzi si trasforma profondamente I istituto della giurìa e lo sì avvicina assai allo scabinato. È naturale thè la riforma implicherebbe non solo una scelta molto più rigorosa dei giurati, ma anche la riduzione del loro numero a non più di sei. I verità gli inconvenienti dell'attuale giudizio per giurati sono tanti, e da ogni parte rilevala, e il modo con cui l'isti¬ tuto funziona, specie in qualche parte d'Italia, cosi privo di serie garanzie di una efficace tutela, sociale contro la piaga della delinquenza, che una seria considerazione del problema s impone, Non sì tratta di respingere ì' idea della partecipa¬ zione deirelemento popolare al giudizio penale, idea che ha in sò molto di giusto e di vero, perchè effettivamente nel magi¬ stero ; penale sì riflette piu direttamente la coscienza popolare. Si inatta di disciplinare II principio* in modo che dia il massimo dei vantaggi, e il mìnimo dei danni. Io non dirò che la riforma da me delineata possa acco¬ gliersi senza profondo studio: ma prego la Camera di non precludermi la via a questi studi. Sui giudìzi contumaciali non sono d'accordo con il relatore, per questa ragione che trovo effettivamente contraddittorio ammettere la difesa nei giudizi contumaciali o poi negarle i mezzi per farsi valere. Ma riconosco, e in questo sono più ra> dicale dell'onorevole Sarroechi, che tutto il sistema della nostra legislazione in materia di giudizi contumaciali è arretrato ed imperfetto. Non si può approvare sopratutto il principio delia purgazione della contumacia. Purgazione della contumacia, la cui introduzione, come è stato detto dallo stesso relatore in una note molto arguta, fu dovuta alle declamazioni dei filosofi. Risponde proprio ad altri tempi, ad altra mentalità. Perchè si deve ammettere il diritto del!; imputato di mantenersi lati¬ tante e di presentarsi quando gii pare e piace, fino alla pre- — 285 — uir scrizione, col diritto di far rinnovare completamente il di- battimento? Questa è una tutela eso r tante dei diritti dell’im¬ putato. Così si favorisce la latitanza si intralcia la giustizia penale, si producono infinite lungaggini nel procedimento. Credo pertanto che questo istituto della purgazione della contumacia vada eliminato con due temperamenti: 1’ inter¬ vento della difesa nel dibattimento senza restrizioni, e una piu larga applicazione dell’istituto della revisione dei giudicati. Circa l’appello, io ho fatto nella mia relazione un timido cenno all’idea dell’abolizione dell’appello penale. In verità, siamo giusti, logicamente, tanto in materia civile che in ma¬ teria penale, il principio del doppio grado di giurisdizione non ha nessuna giustificazione. Una voce . Teorie! ROCCO, ministro della giustizia e degli affari di culto. Esso risponde a una mentalità oltrepassata. È un vero detrito storico. Ma io riconosco che, data la restrizione, la mentalità nostra, la consuetudine giudiziaria italiana, non sarebbe fa¬ cile affrontare il problema dell’abolizione di questo istituto, nè in materia civile nè in materia penale, e l’accoglienza fatta anche in quest’Aula alla proposta mi dimostra che il pregiu¬ dizio e l’abitudine sono, in tale materia, piu forti della logica. Dico però: rivediamo l’istituto, rivediamolo almeno per at¬ tenuarne gli inconvenienti più gravi, in attesa della più radi¬ cale riforma, che s’imporrà in un avvenire più o meno lontano. Circa la Cassazione, la Commissione respinge la proposta di ripristinare il deposito, ed io riconosco che le ragioni addotte sono valide; pertanto non insisto nella proposta. La Commissione propone pure di limitare i casi di ricorso alla violazione di legge. È una formula sintetica, comprensiva e felice, ed io l’accetto. Accetto anche le altre proposte minori, che riguardano il giudizio di Cassazione. In ultimo, per terminare questo argomento della riforma del Codice di procedura penale, non insisto nella proposta di — 286 - introdurre la revisiona dei giudicati assolutori, che il relatore respinge. Si tratta di una riforma di importanza pratica limi¬ tata e riconosco che non vale la pena, per essa, di scuotere il princìpio fondamentale della cosa giudicata. Rimane a parlare dell’ordinaménto giudiziario. Non mi dilungherò molto, perchè rargomento è stato da me trattato altre volto in questa atessa Aula © nell 1 aula del Senato e si può dire ormai formato una specie di consenso sopra i punti fondamentali della riforma. Sono lieto che il relatore della Commissione per la parto concernente lordi riamente giudiziario, onorevole DI Marzo» il quale conosce bene questa materia anche dal punto di vista storico, perchè è un insigne culture del diritto romano, con¬ venga nelle due ragioni da me addotte per gitisticarc la necro¬ filia di una riforma: la stretta connessione di Questa materia con quella del Codici di procedura civile e penale e Fattuale disagio della magistratura. Circa la connessione tra le due riforme, essa è evidente. È naturale che la funziono determina Porgano, e che Tergano si debba adattare alla funzione* Mai dal 1865 in poi, e le riforme sono stato un'ottantina, si. è avuta un'occasione così felice per una riforma organica deh; ordi¬ namento giudiziario, e saebbe colpa lasciarla sfuggire. Vi è poi quel corto disagio che non si può negare nella magistratura italiana, e a cui occorre mettere riparo. Questo disagio è dovuto a una triplice causa: la lentezza della carriera, il fastidio dello piccole sedli e il trattamento economico. Sulla carriera ha suscitato molti consensi in questi Aula e in quella del Senato, ed alcune critiche, per esempio da parte ddFouorevole Macco tta. la proposta di tornare alle li noe fon¬ damentali della logge del 1865 circa la separazione della car¬ riera superiore dei tribunali e delle Corti di appello. Il sistema della legge del 1865, salvo alcuni inconvenienti funzionò bene. Per ovviare a questi inconvenienti la leggo Za- nardelli del 1890 fuse le due carriere, e questo mutamento ebbe conseguenze gravi, perchè da un lato allungò enormemente la — 287 carriera, e dall’altra obbligò tutti i giovani, che entravano in magistratura, a restare anni ed anni in piccole sedi di preture lontane. E se per un certo tempo i danni dell’ordinamento non si risentirono troppo gravemente, ciò avvenne perchè nel pe¬ riodo che seguì la riforma, le Università dettero un gran nu¬ mero di laureati, e fra questi moltissimi valenti che, date le condizioni economiche dell’Italia in quell’epoca, non trovavano agevole collocamento nella libera professione, nelle industrie e nei commerci. Ma, mutate le condizioni ed apertesi altre vie pei giovani, i difetti del nuovo ordinamento si rivelarono in tutte le loro conseguenze; oggi siamo arrivati al fenomeno dell’abbandono della carriera giudiziaria da parte dei giovani migliori, e di quelle difficoltà di reclutamento, di cui ho altre volte parlato, tanto alla Camera che al Senato. L’onorevole relatore consente in questa mia osservazione, ed anche nell’altro ramo del Parlamento l’idea di tornare alla legge del ’65 con i necessari adattamenti è stata favorevolmente accolta da più di un autorevole oratore. Ed io pure credo che i vantaggi della riforma sarebbero di gran lunga superiori agli svantaggi. Intendiamoci! Ogni cosa umana, e sopratutto in materia giudiziaria, ogni riforma ha i suoi lati favorevoli e i suoi lati contrari; ma in sostanza il vantaggio derivante dalla autose¬ lezione, che ha luogo per la scelta degli stessi interessati in principio di carriera, è tale che compensa, a mio avviso, tutti 1 danni. Gli inconvenienti del sistema del ’65 non erano necessaria¬ mente connessi al sistema; dipendevano dalla cattiva scelta, dal reclutamento imperfetto dei pretori, ed anche dal fatto che la carriera della magistratura inferiore non aveva suffi¬ cienti attrattive e svolgimento adeguato. Io credo pertanto che, opportunamente modificato e mi¬ gliorato, il sistema della separazione delle due carriere possa dare ottimi frutti. Riconosco però le grandi, le enormi diffi¬ coltà pratiche di una riforma di questo genere, sopratutto nel - 288 — periodo della prima applicadone. Solo isorci ò, se mi riuscirà di trovare una soluzione che co il temperi tutti gli interessi ed eli¬ mini tutti gli inconvenenti. mi indurrò ad affrontare il grave problema, Sul trattamento economico dei magistrati siamo d‘accordo. Bisogna porre i magistrati in condizioni di tranquillità e di serenità, anche m per far ciò occorresse creare ad essi una po¬ sizione di favore di fronte agli altri funzionari. In realtà nes¬ suna categoria di funzionari si trova forse nella condizione del magistrato, la cui funzione, di giudicare i propri simili, ho definito altrove « sovrumana ». Tale funziono, per essere escr- citata in modo da non dar luogo a critiche e a sospetti, e con tutto il necessario prestigio, richiede da chi è chiamato a com¬ pierla il più assoluto controllo di tutti, anche I più consueti rapporti della vita sociale* ed una sorta di isolamento spirituale pieno di duri sacrifici e di rinunzie penose, E gli uomini clic a questo sacerdozio e a questa missione (che sacerdozio e missione debbono chiamarsi) si dedicano han¬ no diritto almeno ad una vita scevra dalBassiilo delle preoccu¬ pa zioni eco n amiche, (Appro vario nì ). Onorevoli colleglli, ho finito. Questuo pera, a cui ci si'imo accinti, di rivedere tutta la nostra legislazione codificata, è ima grande opera e resterà uno dei titoli di gloria del Governo na¬ zionale. La nostra codificazione risale in massima parte al 1865. Ora, quanto diverso è il popolo italiano del 1925 dal popolo del 1865; quanto divèrsa è V Italia di oggi dall 7 Italia di sessantanni fai II piccolo Stato, che moveva i primi passi incerti nella via della indipendenza, oggi è una grande po¬ tenza, che esercita la sua influenza politica ed economica in tutto il mondo, un centro di cultura originale e di elal fraziono giuridica indipendente* A questa nuova Italia noi dobbiamo dare una nuova le¬ gislazione, Essa deve esser degna, non solo delle tradizioni del suo passato, ma anche delle esigenze dei suo presente e del suo avvenire! (Vivissimi applausi — Molle congratulazioni)* — 289 - SULLA DELEGA AL GOVERNO DEL EE DELLA FA¬ COLTÀ DI EMENDARE IL CODICE PENALE, IL CODICE DI PROCEDURA PENALE, LE LEGGI SULL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO E DI APPOR¬ TA RE NUOVE MODIFICAZIONI E AGGIUNTE AL CODICE CIVILE ». DISCORSO AL SENATO DEL REGNO (*} Io debbo mi ringraziamento molto vivo alla Commissione speciale che ha esaminato questo disegno di legge, perché essa lia assolto il compito suo con la diligenza consueta a questa alta Assemblea c con profonda dottrina; e in special modo debbo esprimere il mio ringraziamento al relatori ed al presi¬ dente deir Ufficio stesso, senatore d Amelio, La loro opera costituisce un contributo prezióso alla ela¬ borazione legislativa dei più ardui principi del diritto e della procedura penale. La discussione generale fatta sul disegno di leggo è stata assai breve; ma la brevità del dibattito ha un chiaro signi¬ ficato, che molto mi conforta; significa, io penso, che il Senato consente nelle idee fondamentali esposte nella mia relazione. Io posso dunque essere, relativamente, breve in questo mìo discorso. Dico relativamente, perchè targ-omento è vasto (*) Pronunciato nella tornata del 19 dicembre 1925* JO e d'importanza capitale; è necessario pertanto che certi con¬ cetti fondamentali della riforma restino consacrati negli atti del Senato; tanto più che, se vi è accordo tra Commissione e Ministro, si può dire, sulla massima parte delle materie sulle quali verte il disegno di legge, non mancano, qua e là, i punti di dissenso, gravi sopratutto per quel che concerne la procedura penale. Sulla questione preliminare, che, nell’altro ramo del Par¬ lamento sollevò un dibattito assai vivace, sulla questione cioè del metodo da seguire per la riforma del Codice di diritto penale e dell’ordinamento giudiziario, vi è perfetto accordo tra Governo e Commissione. E la Commissione, per bocca del suo presidente e rela¬ tore, senatore d’Amelio, ha detto, in modo che non si po¬ trebbe migliore, le ragioni per cui è consigliabile appunto il metodo prescelto. L’illustre relatore è con me d’accordo nel ritenere che non è possibile alle assemblee politiche discutere articolo per articolo un progetto di Codice e nell’ammettere che effettivamente questo metodo non è stato mai adoperato da che esiste il Regno d’Italia. Da questa duplice constata¬ zione discende la conseguenza che un dibattito parlamentare è solo possibile sui principi fondamentali, sopra una traccia generale, che dia un preciso indirizzo per la concreta formula¬ zione degli articoli del Codice. Questo in sostanza si è fatto sempre, perchè, se pure altre volte al disegno di legge che dava facoltà al Governo di pubblicare questo o quel Codice era annesso un concreto progetto, effettivamente la discussione non ebbe luogo che sui principi generali. E il frutto concreto di essa fu appunto la determinazione di alcune linee fonda- mentali, che servirono poi di traccia al Governo nella formula¬ zione del testo definitivo del Codice, per la quale gli furono concessi i poteri legislativi più estesi. Questo è accaduto altre volte, e questo in sostanza av¬ viene anche oggi, perchè, se pure manca un progetto completo — 291 — cfi Codice articolato disposinone per disposizione, esistono X>erò ampie relazioni, in cui i concetti fondamentali del Co¬ dice sono sin d'ora stabiliti, di modo che la loro traduzione in articoli di legge sarà opera di carattere pnevalentemente tecnico. Bel resto, giustamente la relazione dell 7 Ufficio centrale os¬ serva che, oltre questo controllo preventivo simile, nella sua portata pratica, a quello che fu altre volte, nella pratica, esercitato dal Parlamento, e che consiste nello stabilire i principi fondamentali del Codice, vi sarà questa volta anche un controllo successivo, in quanto il progetto definitivo sarà sottoposto all’esame delle stesse Commissioni parlamentari, che hanno riferito sul disegno di legge. La nostra tradizione legislativa, nella materia, non è dunque sostanzialmente toc¬ cata, e se è modificata, lo è uel senso di un controllo piu preciso e di più ampie garanzie. Venendo poi alla sostanza della riforma, dira anzitutto qualcosa del Codice penale. La riforma del Codice penale solleva, e non può non sol¬ levare, la grande questione della natura e del fondamento del diritto di punire, e quindi della concezione stessa del de¬ litto e della pena: questione grave, sulla quale, come ognuno sa, por lungo tempo si è disputato, specialmente in Italia, fra le due opposte scuole di diritto penale: la cosidetta scuola classica e La cosidetta scuola positiva, o, se si vuole me¬ glio, tra la scuola giuridica e la scuola antropologico-so¬ ciologica. Non è il caso di rifare qui tale dibattito e neppure di riassumerne ì termini fondamentali. Le due relazioni che la Commissione senatoria ha presentato su questo punto, ima det¬ tata dal senatore Garofalo, che dovrebbe rappresentare i con¬ cetti della scuola positiva, l'altra dettata dal senatore Di Biasio, che dovrebbe rappresentare i concetti della scuola classica, in sostanza non sono cosi divergenti come potrebbe a prima vista sembrare; esse divergono sopratutto in al¬ cune affermazioni teoriche, ma poi nelle concrete proposte — 292 ™ di riforma il dissidio sì placo, di fronte alio esigenze pratiche delia realtà. Ma neanche nel campo teorico il dissenso è così incora- punibile, come può sembrare a prima vista. Il problema, infatti, che dovrebbe essere fondamentale, il problema cioè della libertà- del volere, non può risolversi cer¬ tamente ammettendo un determiniamo fisico o meccanico, per cui la volontà umana sarebbe determinata da cause puramente fisiche e quindi fatali* Ma non si può neppure ammettere T inde terminiamo assoluto, Y arbitrimi ìndiffernitiae, una vo¬ lontà cioè che si determini sciita motivi e si sottragga, quindi, totalmente alla legge di causalità. La verità, come sempre accade, sta nel mezzo. La volontà umana non si sottrae alla legge di causalità applicata al fenomeno volitivo* 01 sono Infatti, tre specie di causalità : c’è una causalità meccanica o fisica, uè una causalità fisiologie, c e’è una causalità psichica. Ora noi non possiamo ammettere, rispetto alla volontà, una causalità imminente fisica o meccanica, e noti possiamo neanche ammettere una causalità fisiologica, che ai manifesti come puro stimolo. Ammettiamo invece una causalità psichica: riteniamo cioè che la volontà si determini per motivi consci!, in conformità del carattere dì ciascun soggetto* Vi è in altri termini determinazione, ma solo nel senso di un 'auto -deter min a zio ri b * Respinto pertanto l’ indo termini mio assoluto, quello che si suole chiamare arhitrhtrn indìffermtioe, respingiamo altresi il determinismo meccanico o fisiologico; e ammettiamo quel determinismo* che è condizione necessaria e sufficiente per concepire ìa pena come una sanzione giuri¬ dica, vale a dire il determinismo psichico. Tutte le sanzioni giuridiche, infatti, e quindi anche le sanzioni penali, agiscono ponendo motivi alla volontà, in modo da determinarla in uno piuttosto che in un altro senso* Tutte le sanzioni giuridiche sono con troniotivi. Tutto il diritto* e quindi anche IL diritto penale, presuppone l'antodi' derni inazione per motivi consoli, il determinismo psicologico* — 293 — Concludendo : la pena non si giustifica, nè col concetto dell’arbitrio puro, del libero arbitrio assoluto, nè col concetto del determinismo fisico; la pena si giustifica soltanto col con¬ cetto del determismo psicologico. Del resto, la questione del libero arbitrio, o del determismo, è una questione metafisica, che riguarda non il volere, ma le cause remote del volere. In¬ vece, perchè possa parlarsi di sanzioni giuridiche e quindi di sanzioni penali, basta considerare il volere. In questa maniera, il dissidio fra le due scuole si supera anche nel campo teorico: e si supera dispensandosi dal ricer¬ care quali sono le cause remote del volere, e limitandosi ad affermare che esiste una volontà, che si determina immediata¬ mente per motivi consci. Affermando resistenza di una tale volontà, si afferma la possibilità d’influire su di essa, di creare una causa psicologica, un motivo, capace di determinarla, la possibilità, cioè di una sanzione. Superato nel campo teo¬ rico, il dissidio deve dirsi, a più forte ragione, superato nel campo pratico. Nel campo pratico quale è la differenza che separa la scuola classica dalla positiva ? La scuola classica riduce tutte le misure contro la delinquenza alla pena e ammette soltanto misure di sicurezza come misure preventive di polizia, da affidarsi alla pubblica amministrazione. Invece la scuola po¬ sitiva sopprime la pena, e riduce tutto a misure di sicu¬ rezza. Noi crediamo che non si possa sopprimere la pena, anzi che la pena debba restare sempre il mezzo fonda¬ mentale di difesa della società; ma, accanto alla pena, con¬ sentiamo ad accogliere nel Codice penale le misure di sicurezza. Pena e misure di sicurezza debbono coesistere come due diverse forme di difesa dello Stato nella sua lotta contro la crimi¬ nalità. Ilo detto che l’importanza fondamentale in questa dicoto¬ mia-pena e misure di sicurezza, spetta sempre alla pena; e si comprende, perchè la pena rimane sempre il mezzo piu im¬ portante di prevenzione dei reati. La funzione essenziale della — 294 — pena per me è sempre la sua funzione dì intimidazione o* come si suol dire, di prevenzione generale. La pena non ai rivolge tanto al delinquente quanto a tutti i cittadini, e ciò, sia nel momento della minaccia, sia nel momento della esecuzione, creando sempre nella collettività un nuovo motivo atto a de¬ terminare la volontà all'osservanza della legge. Esiste, è vero, anche una funzione individuale della pena, o meglio, una funzione di prevenzione individualo che si attua mediante l'intimidazione o l'adattamento o Pelimi nazione del reo, ma lo scopo preminente della pena sta sempre nella pre¬ venzione generale. Invece le misure di sicurezza hanno un ca¬ rattere esclusivamente individuale, si rivolgono al delinquente in modo specifico, sia per impedirgli di nuocere, aia per cu¬ rarlo e correggerlo. E che la pena abbia questo valore fon da mentale è dimo¬ strato dalla storia del diritto penalo, perchè dalle leggi di Hamxmirabi in poi, la pena e la legge penale sono sempre esi¬ stite, e nel contempo è sempre esistita la recidiva. Se adun¬ que la pena è sempre esistita, malgrado la recidiva, ciò signi¬ fica che il suo scopo non è soltanto quello di prevenire la re¬ cidiva, non è cioè soltanto la prevenzione individuale, ma deve essere anche uno scopo diverso, e cioè appunto la prevenzione generale. Altrimenti la pena avrebbe fatto fallimento fin dal suo primo sorgere; mentre il contrario è vero, perchè il valore della funzione della pena non è dato ai oasi, relativamente pòco numerosi. In cui la legge penale è violata, ma dall 7 im¬ mensa maggioranza di quelli, in cui la legge penale c os¬ servata. Bene a ragione pertanto la relazioni* ministeriale mantiene fede al concetto della capacità dì volere, e quindi della Impu¬ tabilità e della responsabilità Individuale, e assegna alla pena la parte preponderante che le spetta; ma propone cP intro¬ durre accanto alla pena le opportune misure di sicurezza. Tale sistema ha sostanzialmente riscossa l’approvazione della Com- — 295 — missione senatoria, come ebbe già il consenso della Camera fi¬ letti va e della pubblica opinione. Circa il sistema delle pene vi sono alcuni punti gravi, sui -quali mi devo brevemente fermare. In via generale consento perfettamente con, il relatore on, Gamfalo sulla necessità di rinvigorire le pene. Le pene in genere comminate dal codice vigente sono in sut fic lenti, speci al- mente per certe categorie di reati, fra i quali sono anzitutto da annoverare 1 reati di sangue. Lon, Garofalo Ita giustamente osservato che l’Italia in questa, categoria di delitti gode di un assai triste primato e aggiunge, non senza ragione, che la cri¬ minalità di sangue, come dimostrano le statistiche, già ele¬ vata prima della guerra, si è nel dopo guerra accresciuta. Io posso dire al senatore Garofalo che dopo il 1922 vi è stato un miglioramento, specialmente pei più gravi delitti di sangue, come romicidio. Noi primo semestre del 1922 noi avemmo in Italia denunzie per 2021 omicidi; nel primo semestre del 1925 il numero delle denunzie scese a 1462, cioè circa il 23 per cento in meno, dà che è prova dell’assestamento graduale della nostra vita, a cui, mi si, consenta di dirlo, non è estranea lo- pera del Governo fascista. Per esempio, i delitti di violenza, oltraggio o resistenza alla autorità nel primo semestre del 19^.2 davano un complesso di 8809 denunzie, mentre nel primo se¬ mestre del 1925 le denunzie per tali reati sono discese a 81356. An che i reati contro lo proprietà, che erano cresciuti, se non nella stessa misura dì quelli di sangue, certo in proporzioni sempre notevoli, sono nelle forme più gravi in diminuzione. I furti denunziati nel primo semestre del 1922 in numero di 88,384 sono discesi nel primo semestre del 1925 a 79,197. So- praiuito le rapine, le estorsioni e i ricatti, forme gravi di de¬ linquenza contro la proprietà, presentano una diminuzione piu sensibile, giacché le 4,2211 denunzie del primo semestre del 1922 sono discese nel primo semestre del 1325 a 4,455. C’è dunque un miglioramento innegabile, ma le cifre sono ancora alte, troppo alte; e un rinvigorimento della repres- — 296 — sione penale è necessario. E a proposito dei delitti più gravi di sangue, l’onorevole Garofalo ha fatto un accenno alla pena suprema, che, nel nostro codice, come il Senato sa, è l’er¬ gastolo. Il problema delia pena è grave; e risorge anche dopo che, con la abolizione della pena di morte, si è creduto di averlo definitivamente risolto. L’ergastolo infatti, più di una volta si trasforma in una specie di pena capitale attenuata e, se si vuole dir meglio, prolungata. E ciò specialmente a causa della segregazione cellulare, che è stabilita in tutti i casi per il primo periodo di espiazione della pena. Contro questo isti¬ tuto della segregazione cellulare, si sono appuntati gli strali della critica, e la minoranza della commissione, per bocca del relatore Di Biasio, ha fatto alcuni rilievi, che tenderebbero alla abolizione della segregazione cellulare nella pena per¬ petua. L’onorevole Garofalo ha invece osservato, a mio parere giustamente, che una volta abolita la pena di morte, è difficile fare a meno anche della segregazione cellulare; non solo perche è la segregazione cellulare appunto che rende la pena perpetua temibile ai delinquenti, ma anche perchè vi sono casi, come quello dell’ ergastolano, che commette un nuovo delitto, nei quali, abolita la segregazione cellulare, verrebbe a mancare al delitto ogni sanzione. Io non nego gl’ incon¬ venienti e anche gli orrori della segregazione cellulare. Ma bisogna anche rendersi conto delle supreme necessità di difesa della società contro i delinquenti; e purtroppo alcuni recenti fatti hanno dimostrato che la repressione penale non e quale dovrebbe essere, ed anche quale è re¬ clamata dalla coscienza pubblica. Cito alcuni orribili delitti commessi su innocenti bambini a Roma e in altre città, per i quali, come per altre forme gravi di delinquenza di sangue, a molti sembra pena inadeguata perfino lo stesso ergastolo. In verità è mia opinione che questo problema della pena su¬ prema, che sembrava definitivamente risolto, sia da considerare ancora aperto. Ciò significa che, in occasione della riforma — 297 — dot codice penale, si debba seriamente considerare se non convenga, come è avvenuto in altri paesi, dopo Tesperimento dell’abolizione, ripristinare la pena di morte. Praticamente è certo che la pena di morte sia la più per¬ fetta delie pene. Essa infatti realizza, al massimo grado la funzione intimici a tr Ice e quella eliminati va della pena, (Com- menit). Ma contro la pena di morte vi sono molti preconcetti dottrinali, anzi diro che le difficoltà maggiori e le obiezioni più gravi che si possono opporre contro la pena eli morte, vengono appunto dalle dottrine l'ino a ieri dominanti in Italia. Ed, in verità, Fobbiezione veramente decisiva contro la pena capitale rimane pur sempre quella desunta dal prin¬ cipio* che Filoni o il quale è fine, non può mai essere assunto al valore di mezzo. -Scila pena di morte si sopprime la per¬ sonalità umana per realizzare quella funzione di intimida¬ zione e di prevenzione generale, che è 1 essenza della péna. Vale a dire, Fucino è considerato come semplice mezzo o strumento per la. realizzazione di un interesse sociale. E que¬ sta una obiezione di indole teorica grave, e che non può essere evitato, e sfuggita, se non negando i prineipii su cui essa si basa, che sono i, prineipii fondamentali della filosofia individualistica. V inventore della formula «F individuo che e fine, non. può essere assunto al valore dì mezzo » fu infatti Emanuele Kant. È dunque lo stesso pensiero liberale ohe si ricollega a questa dottrina. Era perciò assai difficile respìngere, nel campo della legislazione, le conseguenze di un princìpio ohe si accettava senza contrasto nei campo della polìtica e della filosofia. Ma oggi la situazione e profondamente mutata. La rivoluzione intellettuale, che ha seguito la rivoluzione politica dell otto¬ bre 1922, ha rovesciato I termini del problema dei rapporti tra individuo e società, quali li poneva la dottrina liberale-de¬ mocratica-socialista già dominante. Noi crediamo che F in¬ dividuo sia mezzo e non fine, ohe la società abbia fini suoi propri, che trascendono la vita delF individuo, e a cui i fini - 298 — individuali debbono subordinarsi. Questa ipotesi, che sem¬ brava assurda alla filosofia dell’individualismo, che F indivi¬ duo sia assunto al valore di mezzo, noi la riconosciamo essere perfettamente possibile e normale, e come l’unica atta a spie¬ gare certi grandi fenomeni della vita sociale, che la dottrina liberale non spiega che come assurde degenerazioni o mo¬ struose eresie: ad esempio, la guerra. La guerra è infatti l’esempio più grandioso di sacrificio della vita degli individui ad un fine più alto, alle necessità storiche ed immanenti dello Stato e della Nazione. Ora, se ’ questo sacrificio totale della vita si impone a uomini, che nulla hanno da rimproverarsi, a cittadini esemplari, perchè lo stesso sacrificio non potrà imporsi ai delinquenti, i quali, certo, non meritano la stessa pietà e la stessa considerazione, per le necessità sociali dell’ intimidazione e della eliminazione ? Se è assunto aft valore di mezzo il soldato, perchè non potrà esserlo il reo ? Io credo pertanto che questo problema della pena di morte non sia, come molti credono, esaurito, ma sia una que¬ stione ancora aperta, che debba, con la dovuta ponderazione* discutersi e risolversi nella preparazione del nuovo codice. In relazione alla soluzione, che si potrà dare a tale pro¬ blema, si risolverà anche quello della pena perpetua e della segregazione cellulare. È chiaro che se fosse possibile, ripri¬ stinare per alcuni più atroci reati, quelli che più commuo¬ vono la opinione pubblica, la pena di morte, si potrebbe per gli altri sopprimere o almeno ridurre la segregazione cel¬ lulare. Circa le pene carcerarie minori, io non credo che si deb¬ bano abolire. Può invece studiarsi, come suggerisce l’on. Ga¬ rofalo, di elevare il minimo, perchè tali pene, nei limiti in cui sono ridotte nel codice vigente, non rappresentano effet¬ tivamente una minaccia apprezzabile, che possa fare presa sul¬ l’animo dei delinquenti. Più grave teoricamente, se non praticamente, è il prò- — a99 — Iberna delle pene pecuniarie, Sorgo qui anzitutto la questione dell’aumento della misura della pena. L’on. senatore De Bia¬ sio vi si manifesta contrario, ma, se io non sbaglio, sopra¬ tutto perché gli sembra pericoloso consacrare legislativamente la svalutazione della moneta, fenomeno elio tutti auguriamo puramente transitorio, A E su questo punto si può essere d’accordo. Ma in verità, anche alt infuori della svalutazione della moneta, le pene pecuniarie del nostro Codice sono basse, sia in rapporto alla aumentata ricchezza del popolo italiano negli ultimi quaranta anni, sia in rapporto alla funzione propria della pena pecu¬ li! aria. In altri paesi, le pene pecuniarie hanno un’applicazione assai più larga che da noi, e credo con vantaggio. Vi sono varie categorie di reati, per i quali la pena paeuniana e piu adatta che non la pena restrittiva della libertà personale, ma a condizione che non sia irrisoria; 'di qui la necessità di au¬ mentare tanto i minimi, quanto i massimi delle pene pe- clini arie. Il tema della pena pecunia ri a pone un altro problema, su cui pure si è discusso: quello della corrispondenza della pena alla fortuna eonomica dei condannato. Deve la pena pecunia- ria essere prò [«raion ata non so tei alia gravità del reato, ma anche alla fortuna, del condannato? A prima vista la risposta parrebbe dovesse essere senz’alt™ affermativa, Dna stessa pena pecimiaria infatti può essere leggerissima per un uomo provviste largamente di beni di fortuna e gravissima per un nomo che nulla possegga* Ma T i neon veniente, clic certe esi¬ ste, non risolve l’argomento, perchè la pena, anche peouniana, ha sopra tutto funzione di prevenzione generale e di intimida¬ zione, e la funzione intimidatoria della pena richiede che essa corrisponda obbiettivamente alla gravità del fatto, e non subbie t ti v am ente alla situazione personale del condannato* Mettersi su questa via potrebbe essere sommamente pericoloso* Anche la pena restrittiva della libertà personale ha, diversa efficacia afflittiva secondo le condizioni del reo: pochi giorni — soo — eli reclusione possono essere pena leggera por una persona di umile condizione e costituire, Invece, la rovina totale, ma¬ teriale e morale, di tutta la vita, per una persona, appartenente alle classi più elevate della società, A questi incon venienti nellùipplieazione de Ile pene io credo clic non si possa rimediare, commisurando, in via assoluta e generale, la pena alle condizioni personali del colpevole; ina piuttosto affidando all’autorità giudiziaria, al momento dell’applicazione della sanzione penale, il compito di tener conto anche dell'efficaci a afflittiva della pena. In r dazione allo stato economico e sociale del reo, li allora tutto si riduce ad aumentare i poteri del giudice, in modo che egli possa spaziare tra un minimo abbastanza basso ed un mas-imu abba¬ stanza elevato. Poche parole dirò sulla condanna condizionale e sul per¬ dono giudiziale. Circa la condanna tornii zio rial e, non vi è dubbio che di essa qualche volta, come osserva, l'onorevole senatore Garofalo, si fa abuso dai nostri magistrati in modo che può dirsi oramai diffusa nelPamb lente della delinquenza la persuasione che nn primo delitto non si paga. Credo che riconveniente dipenda molto dal fatto, che per V applicazione della condanna condizionale non si richiede ultra condizione, oltre quella delia breve durata della jienii inflitta e della man¬ canza della recidiva. Invece bisognerebbe tener conto anche della natura del reato e del carattere dei reo, e concedere la condanna condizionale quando vi sono tutte le probabilità che il colpevole non ricada nel delitto, perchè si è trattato di un momentaneo traviamento, determinato da cause occasionali, non facilmente riproducibili. Per quanto riguarda il perdono giudiziale, sono d’ac¬ cordo con l'onorevole Commissione itdl'escluderìo senz'altro: il diritto di grazia spetta soltanto al Sovrano, secondo la no¬ stra Costituzione, ed è questo principio fondamentale del no¬ stro diritto pubblico, a cui non conviene derogare, Solo nel caso di condannati minorenni si potrebbe aro mettere qualche — 301 — istituto analogo al perdono giudiziale. Ma al di là di questo limite io non anderei e forse non arriverei neppure, come pro¬ pone ^onorevole senatore Dì Biasio, ad ammettere il perdono giudiziale nelle condanne per reato di azione privata. Quando la parte lesa, receda dalla querela dopo la condanna. Infatti la querela è condizione per l'esercizio dell'azione penale, ma razione penalo è pnr sempre pubblica e, una volta intervenuta la sentenza di condanna, vale a dire, dopo esaurita l'azione pe¬ nalo, logicamente il recesso dalla querela non dovrebbe più avere influenza sull'esecuzione della sentenza. Riconoscere tale efficacia al recesso della querela dopo la condanna, equi¬ varrebbe concedere alla parte lesa un diritto di grazia, elle contraddirebbe ai prìncipi fondamentali del nostro diritto pubblico. Sempre nel campo delle pene, è argomento grave, che è stato molto dottamente discusso dall’onorevole Commissione, quello delle aggravanti generiche e delle attenuanti generi¬ che, Sulle attenuanti generiche, salva ^opportunità di con¬ cedere al giudice maggiori poteri, dando ad esso facolta di scendere al disotto dei minimi stabiliti dalla legge, non vi è altro da osservare. Fui grave e la questione delle aggravanti genèriche; istituto, che non esiste affatto nel nostro codice e, che nella relazione presentata all’altro ramo del Parlaménto, io proponevo di introdurre, con una enumerazione semplifica¬ ti va, che costringesse il giudice a motivare circa la loro appli¬ cazione. La Commissione senatoria ha mosso obbiezioni a que¬ ste istituto, obbiezioni della cui gravità ini rendo perfettamente conto, È corto che, se le aggravanti generiche si ;potesserci estendere, per analogìa, da caso a caso, il multato sarebbe qualche cosa molto vicina alla introduzione della pena inde terminata. Si verrebbe, Infatti, a concedere al giudice la fa¬ coltà di superare i massimi legali, quasi, sì può dire, senza al¬ cun limite, salvo quello derivante dall obbligo della motiva zione. Non sono portante alieno dall'entrare nell’or dm e d’idee espresso dall'onorevole Commissione e dall'ammettere che F e - numerazione delle aggravanti generiche sia da farsi in modo tassativo, senza dissimularmi però che ciò equivale alla tra¬ sformazione radicale dell’istituto. In sostanza non si avrebbero più vere aggravanti generiche, ma aggravanti specifiche, co¬ muni a tutti i reati. Ciò che ho detto sulle aggravanti generiche è sufficiente per far comprendere il mio pensiero circa un altro istituto, quello della pena indeterminata. Sono contrario alla pena in¬ determinata, contrario perchè la indeterminatezza è un con¬ cetto antitetico a quello della pena, che, per adempiere alla funzione sua essenziale, quella della prevenzione generale, deve essere, anzitutto, certa. La pena indeterminata non dà alla collettività sociale la rappresentazione chiara e imme¬ diata delle conseguenze del reato, e l’efficacia intimidatrice della pena ne viene diminuita. L’onorevole senatore Leonardo Bianchi, nel suo importante discorso di ieri, a proposito del sistema delle pene, ha invo¬ cato una riforma completa del sistema penitenziario, ed ha affermato, pur con espressioni molto deferenti per il personale carcerario, delle quali molto lo ringrazio, che in sostanza il nostro sistema penitenziario non funziona come dovrebbe. Se io dicessi che in questo campo tutto procede in modo per¬ fetto, direi cosa non esatta, soprattutto perchè i mezzi, che occorrerebbero per un assetto completo dei nostri stabilimenti carcerari, purtroppo difettano. Ma debbo dichiarare al Senato, come ho già accennato altra volta, che lentamente, anno per anno, il nostro regime penitenziario va facendo progressi ve¬ ramente mirabili. I vari istituti carcerari si sono andati perfezionando e commisurando alle necessità concrete della repressione, della prevenzione e dell’adattamento individuale. I manicomi giudiziari sono stati creati ed aumentati in modo che, posso dirlo con coscienza, rispondono oramai perfetta¬ mente allo scopo, sia per numero che per organizzazione. Ne possediamo oggi cinque, bene attrezzati e benissimo diretti. Il personale che vi è addetto, è superiore ad ogni elo- — 303 — gio, per spirito di abnegazione, per competenza e per zelo. I direttori e gli assistenti sono oramai tutti medici e i carce¬ rieri infermieri. Anche le case di pena ordinarie sono in via di continuo progresso, e si sono tutte trasformate in veri stabilimenti in¬ dustriali o in colonie agricole. Chi oggi fa il suo ingresso ih una nostra casa di pena (la cosa e diversa per le carceri giu¬ diziarie) rimane edificato dalle prove di capacita organizzatrice del nostro personale carcerario. Si tratta di vere officine, in cui l’idea del carcere spesso esula del tutto; e se io dovessi fare un appunto dovrei dire che ne esula forse troppo. Vi sono poi i riformatori per i minorenni. Ormai la separazione dei minorenni nelle carceri è un fatto compiuto, perchè nè durante la detenzione preventiva, nè durante l’espiazione delle pene essi sono più confusi con gli altri detenuti. Anche i riformatori hanno assai più 1 aspetto della scuola che del luogo di pena. Vi è poi uno stabilimento speciale per i delinquenti istin¬ tivi (i così detti delinquenti nati), che non possono essere trattati come pazzi, ma non possono, per il loro carattere san¬ guinario e inadattabile, essere confusi con gli altri delinquenti. Insomma ogni giorno andiamo migliorando il nostro si¬ stema penitenziario. Esso non è perfetto, e non può esserlo, perchè la perfezione in questa materia e difficile, ed è so¬ pratutto molto costosa, mentre lo Stato non può certamente mettere a disposizione dell’Amministrazione delle carceri tutti i mezzi che sarebbero, a stretto rigore, necessari, quando al¬ tri, e, a vero dire, più urgenti bisogni, premono da ogni parte. C’ è tuttavia un vero e profondo progresso, talché può dirsi che l’Italia, in questo campo, poco o nulla ha da invidiare alle più civili e ricche nazioni. E vengo alle misure di sicurezza. Sul carattere di queste misure ormai penso che si sia raggiunta la concordia. Sono mi¬ sure amministrative, ordinate dall’autorità giudiziaria per ra¬ gioni di connessione. Nulla di nuovo o di eccezionale in ciò, — 304 — perchè — come ognuno sa — alla autorità giudiziaria sono di sovente affidate funzioni amministrative. Anche in questo caso una funzione, che in sè avrebbe carattere amministrativo, viene esercitata dalla autorità giudiziaria in occasione dell’eser¬ cizio della giurisdizione penale, per gli stretti legami che intercedono fra la pena e la misura di sicurezza. Sulla necessità di introdurre nel nostro codice penale tali misure, salvo qualche isolato dissenso dottrinale, oggi non vi è più disaccordo. Si può discutere circa il modo di organiz¬ zare le misure di sicurezza nel codice penale, ma sulla ne¬ cessità di introdurvele, in maniera più larga ed organica di quella che non le accolga la legislazione vigente, non vi è dubbio alcuno. Certo, la misura di sicurezza ha importanza subordinata di fronte alla pena, ed è quindi senz’altro da respingere l’idea, pur balenata a molti valorosi criminalisti, di sostituire addi¬ rittura la misura di sicurezza alla pena. Ma, ammesso che, di regola, la pena debba coesistere colla misura di sicurezza, e coesistere in posizione preminente, è da vedere se, in taluni casi speciali, non si debba sostituire alla pena la misura di sicurezza; il problema — come è noto — si pone sopratutto pei minorenni, i pazzi e i delinquenti abituali. Per i mi¬ norenni e per gli infermi di mente non vi è dubbio; la pena presuppone la capacità di volere, che costoro non hanno, la pena quindi non può colpirli, ma li colpisce la misura di si¬ curezza, non come sanzione giuridica, ma come mezzo di di¬ fesa sociale e di prevenzione speciale. Se ho ben compreso, il sen. Garofalo propenderebbe per fare identico trattamento anche ai delinquenti abituali, sosti¬ tuendo anche per questi la misura di sicurezza alla pena. È certo che la misura di sicurezza è necessaria per i delin¬ quenti abituali, perchè l’abitudine del delitto da essi contratta ne rende pericoloso il reingresso nella società, dopo espiata la pena, ma sarei di avviso di aggiungere alla pena la misura di sicurezza, non di sostituirla addirittura con essa. I delin- — 305 — queliti abituali infatti non sono irresponsabili, non mancano di capacità di volere, e dove e ? è capacità di volerò deve esserci la pena. Manca pertanto, a mio avviso, una seria ragione per sottrarrci delinquenti abituali alla pena, ma essendosi, rispetto ad essi, la pena dimostrata insufficiente come mezzo di corre¬ zione e di prevenzione individuale, occorre aggiungervi la misura di sicurezza, che alla funzione di prevenzione indi¬ viduale adempiè assai meglio* La stessa cosa È a dirsi per i semi-infermi di mente* Se si ammette il concetto della semi-infermità mentale, si deve ammettere la. pena, perchè dove esiste una capacità di volere, per quanto diminuita, c'è ìa possibilità della sanzione giuri¬ dica* Soltanto, la persistente pericolosità del reo richiede, agli effetti della prevenzione individualo, che quando la pena è espiata* si applichi la misura di sicurezza. Le misure di sicurezza, ho già detto, hanno carattere am¬ ministrativo e sono soggette pertanto a tutte le norme che regolano i provvedimenti amministrativi, tra cui la possibi¬ lità della revoca. Mutando lo stato di fatto, i presupposti cioè, in baso ai quali il provvedimento fu emanato, questo deve potersi rovocare* Nè è di ostacolo alla revocabilità del pio v vedi mento elio ordina la misura di sicurezza il fatto che ■esso sia contenuto in una sentenza: la cosa giudicata non investe, a mio avviso, questa parte della sentenza, che non è vera decisione, non ha carattere giudiziario, ma ammi¬ nistrativo. Dopo la pena* mi rimane a dire qualche cosa del reato* Le questioni, anche qui, sono molto e gravi; mi limiterò ad alcuni, piu importanti, rilievi. Circa il tentativo; la mag¬ gioranza della Commissione è d'avviso, se non erro, che si debba sopprimere il requisito della idoneità del mezzo* E anche mi pare che, se non la maggioranza, certo l’onorevole relatore Carotalo vorrebbe equiparare, agli effetti delia pena, il reato mancato al reato consumato* Io sarei di diverso parere, tanto sull'uno che sull’altro punto* Non credo che si — 306 — possa prescindere dal requisito dell’idoneità del mezzo nella, figura del tentativo, come non credo che si possa equiparare al reato consumato il reato mancato, agli effetti della pena. Penso invece che lo stesso risultato pratico, a cui mirano le due proposte, quello cioè di una piu efficace repressione de], conato delittuoso, potrebbe ottenersi con la equiparazione degli atti preparatori agli atti esecutivi, sopprimendo cioè la distinzione tra atti preparatori e atti esecutivi nella configu¬ razione del tentativo, sempre quando gli atti preparatori siano univoci e idonei. Univoci: è la vecchia teoria carrariana che credo sempre esatta: gli atti preparatori univoci costituiscono il tentativo. Occorre poi che gli atti siano idonei, perchè mancando l’idoneità manca l’elemento obbiettivo o mate¬ riale del reato. Un’altra equiparazione opportuna è, a mio avviso, quella, tra reato tentato e reato mancato; distinzione sottile, che in pratica non è sempre facile a cogliersi e che sarebbe proba¬ bilmente, agli effetti della legge penale, più semplice abo¬ lire del tutto. Circa le cause che diminuiscono ed escludono l’imputa¬ bilità abbiamo le grosse questioni dei minorenni, degli infermi di mente e degli ubriachi. Minorenni: siamo arrivati, io penso, oramai all’accordo sulla questione dei minorenni. La irresponsabilità completa si deve elevare al disopra del limite massimo di nove anni, quale è consacrato dal nostro codice e si può far giungere fino ai 14 anni. Irresponsabilità s’intende, agli effetti del¬ l’applicazione della pena, salvo l’adozione delle misure di sicurezza, più che mai necessarie in questo caso. Mi sembra che l’onorevole senatore Garofalo sia d’accordo con l’onorevole senatore Di Biasio sul limite dei 14 anni* che è in vero già sufficientemente elevato, e non può elevarsi ancora senza pericolo, come dimostra l’aumento continuo della delinquenza minorile, anche nelle più gravi forme di reati di sangue. Non. posso pertanto accogliere la proposta dell’onorevole senatore - 307 — Leonardo Bianchi di sancire la completa irresponsabilità pe- nàie fino ai 1S anni. Il senatore Garofalo al contrario abbasserebbe addirittura la. maggiore età penale ai 18 anni. È forse miglior partito tenere lina via media, stabilendo V irresponsabilità fino ai 14 anni, una responsabilità minorata dai 14 ai 18 anni, una responsabilità ancora minorata, ma di poco distante dalla normale, dai 18 ni 21, e la maggiore età penale ai 21 anni. Circa gli infermi di mente, sorge la, glossa questione della semi infermità mentale. Esiste la semi infermità men¬ tale ? Se si deve stare alla dottrina, di una certa scuola psi¬ chiatrica si dovrebbe rispondere di no, perchè infermi di mente si e o non si è. Ma questa stessa scuola spinge poi talmente in là il concetto dell'anomalia psichica, fino a restringere in confini limitatissimi Patirò concetto della nor¬ malità, in modo che la maggioranza degli uomini diverrebbe anormale. Questa stessa conseguenza devo dunque farci ritrarre dalla premessa. Ma la verità è che il concetto della semi in¬ fermità risponde a certe situazioni di fatto intermedie, che esistono realmente; vi sono molti individui, i quali sono, fino a un certo punto, responsabili, ma in minor grado di foìoro, che godono di una perfetta salute; i quali hanno una certa capacità dì volere, di autodeter min arsi, certi poteri inibitori, ma non nella misura, con cui questi operano nor¬ malmente presso gli individui normali, È evidente pertanto che la pena si può applicare a costoro clic hanno una, sia pur limitata., capacità di volere, ma in misura meno grave che a coloro, che sono pienamente capaci, cioè che sono nel pieno possesso delle loro facoltà inibitorie. Soltanto, poiché individui di tal fatta, clic hanno scarsa capacità di dominarsi, possono essere socialmente pericolosi, alla pena deve essere aggiunta la misura di sicurezza, che consente di opportuna¬ mente segregarli, a scopo di cura e di prevenzione indivi¬ duale. À proposito del trattamento da farsi agli infermi di - BOB mente, il senatore Garofalo fa una proposta che accetto, quella cioè di predeterminare la durata della custodia. Certo, dal punto di vista puramente teorico si potrebbe obbiettare che, essendo la custodia ordinata eoa una misura am m inia tra ti va, la quale constata una condizione di cose, come la malattia mentale, essenzialmente mutabile, mutando k condizione di salute dell 1 infermo LI provvedimento dovrebbe potersi senz'altro revocare. Ma. in realtà, quando mi infermo di mente ha commesso un reato grave, e, in base alla infer¬ mità, lo si è riconosciuto penalmente ir resta) usa bile, dò signi¬ fica die F infermità stessa è grave in modo da doversi pre¬ sumere non facilmente sanabile. Il provvedimento, che prede¬ termina la durata della custodia, non fa clic constatare la gravità della malattia, ed è, pertanto, perfettamente logico. Si comprende che anche questo provvedimento, restando atto amministrativo, non sarà irretrattubile come un giudicato. Tuttavia, stabilendo esso una presunzione di continnazione dello stato di infermità per tutto il tempo prestabilito, non potrà cadere che di fronte alla prova della completa guari¬ gione data in modo non dubbio ed accertata con nuovo prov¬ vedimento dello stesso giudice, die emanò U primo. Un'altra proposta del senatore Garofalo in questa mate¬ ria dell’infermità di mente è quella che nei pili gravi delitti il precedimento di sicurezza contro F infermo assoluto sia adottato prescindendo da un’indagine speciale circa la perico¬ losità dei colpevole. Oggi il fatto dì aver commesso un omicidio anche gra¬ vissimo, quando si è assolti per infermità di mente, non e motivo sufficiente per essere internato in un manicomio.; al giudico rimane libero Fa p prezzami onte sopra la pericolosità dell'ammalate; se il giudice ritiene V infermo pericoloso, tic ordina V in ternamente), ma se, malgrado l'omicidio commesso, lo ritiene innocuo, può ordinarne la immediata scarcerazione. Ora tutte ciò ripugna al senso morale, alla logica, e alle necessità pratiche; il fatte che un uomo abbia commesso un — 309 — grave delitto perchè infermo di mente, dimostra che Fintar- mità è tale da richiedere sony/altro F interuamento in un ma¬ nicomio. Trovo dunque giusta la proposta del senatore Ga¬ rofalo é credo anche io opportuno rendere obbligatoria la misura di sicurezza, tutte le volte che il reo sia assolto per infermità di niente. Intorno all’ubbriaehezza dirò poche cose. Sono più d'ac¬ cordo con l’onorevole senatore Garofalo che con F onorevole di Biasio. Io credo che Pubbriacbozza volontaria non debba mai costituire una scusante. In questa materia, deve valere il principio ebe si è responsabili anche di ciò che è avvenuto nello condizioni, in cui ci siam posti volontariamente, Iii- somma. sì deve ammettere che sono punibili anche le azioni ad liherfatevi, relatae, cioè che si possono riferire ad una con¬ dizione di libertà. L'ultimo argomento, su cui tratterrò brevemente il Se¬ nato in questa materia del reato in genere, è il problema della recidiva e della abitualità; annoso problema, di cui il Senato ha avuto piu volte occasione di occuparsi. Siamo d ? accordo: questa della delinquenza abituale è una piaga, alla quale oc¬ corre por rimedio, ed in maniera molto più radicale e profonda di quel che faccia la legislazione vigente. Per ciò pare ne¬ cessario anzitutto dare una nozione precìsa della delinquenza abituale. Il delinquente abituale deve essere definito con una formula chiara; si tratta infatti di una qualificazione giuiL dica, che pone Pindividuo in uno stato dì minorata tutela, che lo rende passibile di gravi restrizioni ai suoi diritti di liberta. Bisogna distinguere, e in ciò sono d'accordo eoi senatore rotalo, tra abitualità e recidiva; per darsi la recidiva basta, aver commesso più di un reato; ma per il recidivo c suffi¬ ciente Fa gravamento delia pena, non occorrono provvedi¬ ménti di sicurezza. Invece per definire Pabifualifca è necessario qualche altro elemento: per lo meno un certo numero di reci¬ dive; ma fi delinquente abituale deve essere colpito da efficaci misure di sicurezza, che lo allontanino dal consorzio sociale. — 310 — E qui sorge la questione: basterà un certo numero di re¬ cidive per definire l’abitualità ? L’onorevole Garofalo ai ac¬ contenta di questo elemento estrinseco e formale, ohe non offre in vero difficoltà d T indagini- Al contrario, Toner oralo Di Biasio crede che un certo numero dì condanne non basti, e richiedo inoltre un giudizio dei magistrato sulla pericolosità del delinquente. I due sistemi hanno ognuno vantaggi e svantaggi, e non oserei pronunziarmi senz'altro. Credo che sia questo uno dei punti da esaminare con più ponderazione nei lavori preparatori del Codice. Un’altra questione, che sorge in questa materia, è quella del trattamento da fare al delinquente abituale. Basterà ag¬ gravare la pena, infliggere cioè una pena maggiore, 0 si dovrà aggiungere alla pena la misura di sicurezza? È evi¬ dente ohe la pena dovrà essere aggravata, e che alla pena aggravata dovrà essere unita la misura di sicurezza. La durata delia misura di sicurezza non può essere sta¬ bilita preventivamente; deve essere indeterminata, per evitare T inconveniente, a cui Poh* Garofalo così giustamente accenna nella sua relazione, della rotazione dei delinquenti, i quali stanno alcuni anni nei luoghi di relegazione, poi sono liberati e riprendono la loro vita di criminali, per lasciare il posto ad altri delinquenti, che dopo un soggiorno relativamente breve nei luoghi di relegazione ritornano, alla loro volta, alle abitudini per poco interrotte. Niente affatto; quando si è ac¬ certato che in un individuo concorrono tutte le condizioni per dichiararlo delinquente abituale, bisogna segregarlo d alla società n tempo indeterminato. Se si avrà la prova sicura del suo riadattamento alla vita sociale, se ne potrà consentire la liberazione; la presunzione deve restare quella della persi¬ stenza della abitualità criminosa, ciò che importa la conti una- zio ne indefinita della segregazione. Si discute anche circa il modo pratico di attuare la se¬ gregazione dei delinquenti abituali, se debbono cioè essere relegati in colonie di oltre mare, come si è fatto dall leghi]- — 811 — terra e dalla Francia, o in colonie agricole 0 in stabilimenti industriali da impiantarsi in Italia? La tendenza della dottrina e della pratica in questa ma¬ teria ò piuttosto per la seconda soluzione, perche la relega¬ zione in colonia ha costato fortissime somme all 7 Inghilterra o alla Francia c non sempre ha dato buoni frutti. Si tratta di una questione di tecnica penitenziaria, da studiarsi ma- tm 1 a e riente. Ho rosi finito di parlare della parte generale del Codice penale* Circa la parte spedate, posso esser brevissimo, perchè vi è accordo completo fra Governo e Commissione. Vi è accordo nel desiderare una migliore disciplina degli attentati contro la sicurezza dello Stato* vi è accordo nel ritenere che si deb¬ bano più severamente reprimere romicidio e gli altri reati di sangue, vi è accordo nell 7 invocare una miglior disciplina dei reati di diffamazione e di ingiuria. IVonorevole senatore Garofalo fa poi qualche proposta ottima, a cui aderisco; quella ad esempio di allargare il concetto della difesa legit¬ tima, estendendola dalla difesa della persona a tutti i casi di difesa del patrimonio contro una violenza attuale ed ingiu¬ sta* Si potrebbe inoltre, come pure propone ho no re vole sena¬ tore Garofalo, diminuire il limite entro il quale le lesioni sono considerate lievissime. Con gli attuali progressi della scienza medica, una lesione che guarisce in dieci giorni può essere assai grave* Le lesioni poi dovrebbero essere punite più severamente c dovrebbero considerarsi in ogni caso come mancato omicidio se lesioni in ferie con arma propria, specie se in parti vitali del corpo. Lo sfregio dovrebbe esser punito con pene gravi* E vengo al codice di procedura penale. Qui raccordo fra Governo e Commissione è minore che per Ì1 Codice penala. L’onorevole relatore, senatore Stoppato, che ha avuto tanta parte nella elaborazione del vigente Codice di procedura, è, per naturale affetto paterno, portato all' indulgenza verso — 812 — quella che, in buona parte, è opera sua. Io non credo che il nostro codice di procedura meriti tutte le critiche, a cui è stato fatto segno, ma certo esso ha dato luogo, nella pratica, a non pochi inconvenienti. H Codice ha pregi innegabili, sopra tutto di sistemandone e di tecnica legislativa. Ma, dal punto di vista pratico, ! esperienza che se ne è fatta giustifica i voti di riforma che son venuti da ogni parte. 'Son si tratta di soli difetti di applicazione, come dice l’onorevole Stoppato, dovuti all' inesperienza degli avvocati e dei giudici. Vi sono difetti sostanziali, che è necessario cor¬ reggere, Moti già che il codice sia tutto cattivo e vada io tal¬ mente riformato, ma una revisione attenta s ? impone, e spe¬ cialmente di taluni istituti, che hanno dato luogo nella pra¬ tica ai maggiori inconvenienti. Io mi limiterò a notare i piu importanti punti di dissenso tra me e Fon. relatore e sor¬ volerò sugli altri. Azione penale. Lron. relatore ammette che il privato debba essere escluso dall’esercizio detrazione penale, ammette cioè che 1 azione penale sia pubblica, È un principio questo 1 ondamen tal e del nostro diritto processuale penale, clic ver¬ rebbe gravemente vulnerato, quando si estèndesse, come vuole il senatore Sterpato, la citazione diretta della parto a tutti I reati d azione privata, non restringendola più, come è oggi, ai soli reati di diffamazione e d ? ingiuria. Se l’azione penale è pubblica, non si può, in un campo così vasto, come quello dei reati dì azione privata, concedere Fazione al privato. L eccezione sarebbe cosi ampia, da, far cadere la regola, Ij onorevole relatore vuole anche che rimanga fermo li principio deirart. 179 della proe. penale, cioè che l’esercizio del Fazione penale da parte del Pubblico Ministero sia sotto¬ posto al controllo del giudice istruttore. Questo è un punto abbastanza grave* Secondo il Codice di procedura penale vi¬ gente, qualunque denuncia penale obbliga il Pubblico Ministero a esercitare Fazione penale, e a provocare una decisione del - 318 - giudice istruttore. Sono infiniti gli inconvenienti di questo sistema; e sopra tutto è infinita la perdita di tempo die esso importa, di fronte molto spesso a denunzie manifesta¬ mente infondate, che non hanno nemmeno la più lontana parvenza di serietà. Ora, se razione penale è nelle mani del: Pubblico Ministero, è chiaro che giudice dell'esistenza delle condizioni per l'esercizio detrazione penale deve essere Io stesso Pubblico Ministero. Io so bene elio te questa materia si con ir appone Qui d così detto principio di legalità ai così detto principio di op~ poriunita. Per il principio di legalità, il Pubblico Ministero è obbligato ad esercitare l’azione penale, e l'esercizio di que¬ sto dovere non comporta alcuna latitudine di appresa amento. Monde la necessità d’un controllo, affidato al giudice istrut- orT . Al principio di legalità si suol contrapporre il principio d'opportunità, per cui il Pubblico Ministero avrebbe una certa latitudine di apprezzamento circa l’opportunità o meno di esercitare lezione. Io dico subito che la questione così posta è mal posta. È evidente ohe il Pubblico Ministero, a cui è affidata l’azione penale, ha Fobbligo di esercitarla. Quindi non si può parlare di un principio di opportunità contrapposto al prin¬ cipio di legalità. È stata la dottrina tedesca a creare questa distinzione, che è errata e artificiosa. Se il Pubblico Mini¬ stero ha diritto di esercitare Fazione penale, esso ha il dovere di esercitarla. Nd campo del diritto pubblico, ogni diritto pubblico è un pubblico dovere, e cioè una pubblica funzione. La questione non sta dunque nel vedere se U Pubblico Mini¬ stero abbia facoltà di non esercitare Fazione, quando non. lo creda conveniente, ma nel vedere se egli abbia o no com¬ petenza a giudicare se esistano gii estremi ]>er 1 esercizio dell’azione. Porre cosi la questione, è risolverla. Non vi è alcuna ragione per togliere al Pubblico Ministero la facoltà di fare questo appresa amento e darlo a un altro organo. Al¬ trimenti si creerebbe una situazione essenzialmente con tradii- 314 — toria. Non si può dare 1 esercizio di un diritto ad. un organo, e non dargli là facoltà di determinare se Fesercìzìo di que- sto diritto è giustificato, se cioè ci sono gli estremi dì legge per esercitarlo, Lonorevole senatore Stoppato si rende cónto della serietà di questa obiezione, ina la combatto citando gli articoli 281 e 2S4 del codice di procedura, cioè citando il caso della sen¬ tenza che chiude 1 istruttoria, ifgli dice; ma il giudizio sul- Pesistenza degli dementi per Peseremo dell Azione penale è sempre dato dal magistrato istruttore, il quale devo in ogni casii pronunziare il rinvio a giudìzio o LI non luogo a pro¬ cedere. Ora, io credo che bisogna distinguere. Quando si dice esercizio dell azione penale si dice una cosa molto complessa, che comprende una quantità di facoltà e di fasi. Vi è Feser- rizio dell azione istruttoria, vi è F esercizio delF azione in giudizio, e vi è V esercizio delF azione esecutiva. L’ azione penale si scinde in azione istruttoria, azione in giudizio e azione esecutiva. Ora il decidere suU' esercìzio delF azione in giudizio è certamente riservato al giudice istruttore, ma il decidere se sia il caso d’iniziare Fazione, cioè di eser¬ citare F azione istruttoria è del pubblico ministero, e non può essere che del pubblica ministero. Non si tratta già dì una decisione cervellotica, ma dì una valutazione ob- biettiva delF esistenza degli dementi per F inizio dell'azione penale. Togliere al Pubblico Ministero ogni facoltà di va¬ lutazione di tali elementi, e renderlo un materiale trasmet¬ titore di carte, equivale, praticamente, a togliere al Pub¬ blico Ministero la facoltà di iniziare Fazione penale c tra¬ sferirla al giudice istruttore. Ibi altro punto, in cui non sono d’accordo con Fonare- vole Stoppato è nella sua concezione del Pubblico Ministero, Tradizionalmente 11 Pubblico Ministero è stato ritenuto parte nel processo penale. È soltanto da poco tempo che la conce- ztem primitiva si è deformata, e si è attribuita al Pubblico Ministero la qualità di giudice. Ora io credo ehr il Pubblica — 315 — Ministero, se ha ragione di essere, non può esistere che come parte, come rappresentante dello Stato nell’esercizio del po¬ tere esecutivo. Il senatore Stoppato dice : « Il Pubblico Ministero non è parte, perchè non persegue un interesse proprio, personale, egoistico». Ma è naturale che il Pubblico Ministero non persegue un interesse proprio, perchè rappresenta lo Stato nella sua figura di potere esecutivo. Se il Pubblico Mini¬ stero non può esser parte, bisogna concludere che lo Stato non può esser mai parte. Ma, aggiunge l’onorevole sena¬ tore Stoppato, il Pubblico Ministero non è parte, perchè rappresenta la giustizia, perchè rappresenta anche l’interesse dello Stato alla libertà dei cittadini innocenti e non solo l’interesse dello Stato alla punizione dei colpevoli. M!a Qui, se non erro, si confonde lo Stato potere esecutivo con lo Stato potere giudiziario: si dimentica cioè il principio della divisione dei poteri. Lo Stato si presenta infatti sotto diversi aspetti: è uno nella sua essenza, ma molteplice nelle sue funzioni: esso si presenta ora come potere legislativo, ora come potere esecutivo, ora come potere giudiziario. Il Pub¬ blico Ministero rappresenta lo Stato come potere esecutivo e pertanto rappresenta precisamente l’interesse dello Stato alla punizione dei colpevoli, il quale si realizza attraverso l’esercizio dell’azione penale. L’interesse dello Stato alla libertà dei cittadini innocenti, che pure indubbiamente esiste, è tutelato dal giudice, che rap¬ presenta lo Stato nell’esercizio della funzione giudiziaria, os¬ sia lo Stato come potere giudiziario. Del resto, lo stesso on. Stoppato ammette che il Pubblico Ministero esercita il diritto di punire dello Stato, e con ciò riconosce che esso è parte. Nè vale il dire che il diritto di punire si esercita contro i col¬ pevoli e non contro gli innocenti, perchè, finché vi è un pro¬ cedimento in corso, non vi è nè un colpevole nè un innocente, ma soltanto un indiziato: solo al momento, in cui interviene la sentenza si saprà se l’indiziato è colpevole o è innocente. - 316 - È dunque necessario ridare al Pubblico Ministero intera la .sua qualità di parte, che il Codice di procedura vignile in più di un punto disconosce, con danno grave della giustizia, li Pubblico Minis tero, infatti, trasformato in giudice istruttore, esercita vere funzioni giudiziarie, mentre non possiede nè In organizzazione, nè ì mezzi, nè la capacità professionale per tale esercizio. Di qui una serie dì guai: gli uffici del Pubblico Ministero ingombri di processi. Za cui istruttoria deve essere compiuta senza il necessario personale e senza mezzi mate- riali; duplicazione e intreccio di funzioni con relative continue interferenze tra Pubblico Ministero c ufficio d‘istruzione; I istruttoria si fa ora nell ufficio del giudico istruttore, ora nell ufficio del Pubblico Ministero. Bisogna decidersi: se si ritiene che il Pubblico Ministero sia un giudice e debba eser¬ citare Le funzioni di un giudice, allora tanto vale sopprimerlo e affidare le sue funzioni al giudice istruttore. Se si ritiene, com è, che il Pubblico Ministero sia parte, elio rappresenti il potere esecutivo presso I autorità giudiziaria, come dicevano i nostri vecchi, non gli si debbono affidar© funzioni che gii sono estranee. Gli inconvenienti del sistema del Codice di procedura vi¬ gènte sono conosciuti da tutti: esso crea un processo Istruttorio alternato, 11 quale si svolge ora presso V Ufficio del Pubblico Ministero, ora presso l’Ufficio del Giudice Istruttore e affida al Pubblico Ministero il compito dell*istruzione, per II quale esso non ha i mezzi necessari e non è preparato* Il rime- ^ (J * 0 ^ accennato — e uno solo: tornare all'antico, am¬ mettere come règola il procedimento formale, il procedimento cioè che si svolge negli uffici d’istruzione* con tutte le garan¬ zie e con tutti i mezzi: e stabilire poi come eccezione il pro¬ cedimento sommario, da affidarsi al Pubblico Ministero solo quando bastino sommarie indagini per compiere Piste 11 rione. In sostanza, mi sembra che Po nere vola senatore Stoppato, nelle conseguenze pratiche della sua relazione, non sia molto lontano dalParrivare a questa conseguenza; perchè egli vuole - 317 — ■conservare teoricamente il sistema attuale, ma, lo tempera praticamente concèdendo facoltà sia all’imputato, sia al Pub¬ blico Ministero di chiedere la conversione dall’istruzione da sommaria in formale. Che cosa accadrà praticamente? Che il Pubblico Ministèro, non avendo mezzi, tempo e possibilità di fare l’istruttoria, chiederà, in quasi tutti i casi, la trasfor¬ mazione dell’istruttoria da sommaria in formate, c tale tra¬ sformazione diventerà la regola. Sulla questiono delle pregiudiziali, pure non vi è perfetto accordo tea il ministro « il relatore. L’onorevole relatore, circa ia questione delle pregiudiziali civili, vuote conservato il si¬ stema del codice attuate, cioè ritiene che te questioni pregiudi¬ ziali si debbano limitare ulte questioni di stato Civile e non vadano estese a tutte te questioni di Stato. Io credo die qui non vi sia ragione di fare distinzioni, perché vi sono questioni di stato non civile, come per esempio quella della cittadinanza, che hanno la stessa importanza e te stesso valore. Un’altea questione riguarda l’autorità reciproca dei giu¬ dicati civili e penali. È un punto questo, che ha dato luogo a numerose critiche. Oggi il codice vigente parte dal concetto della unicità della giurisdizione, ammette l'autorità assoluta del giudicato civile nel penate c del penale nel civile. Questo sistema, specialmente in ciò che riguarda l’autorità, del giu¬ dicato civde nel penale, non è scevro di inconvenienti. L uni¬ cità della giurisdizione è un princìpio esatto, ma teorico e astratto: la giurisdizione è unica, si capisce, coinè lo fatato e imo, ma ciò non toglie che vi siano diverse specificazioni de la giurisdizione, così come vi sono diverse specificazioni della attività della Stato, Credo pertanto che Questo punto vada riveduto e si de a studiare la possibilità dì ritornare al sistema del ™cc io Codice che non aveva dato luogo ad alcun inconveniente pratico, . , mi,. Altra questione importante è quella delle perirne. u. i sanno Pi neo uve niente, a cui dava luogo il sistema delle peri- - 318 — zie. Secondo ij codire vecchio, le aule giudiziarie erano trasfor¬ mato in saie di conferenze, dove i periti sostenevano, ognuno come assertore di verità scientifiche, le tesi più opposte. H co¬ dice attuale ha posto una remora a questi inconvenienti, sta¬ bilendo che in sede di giudizio non vi possano essere dibattiti fra periti, e limitando la perizia alla sede istruttoria, durante la quale, al perito nominato dal giudice, si può aggiungere il perito della parte* Ma anche questo sistema non è andato esente da critiche. Si dovrà perciò ritornare al sistema del codice abrogato ? Non credo. In questa materia delle perizie* bisogna tener predente alcuni punti fondamentali, tanto per la perizia penalo che per la civile. In sostanza, il perito è una specie di giudice è un giudice tecnico o, almeno, un consulente tecnico del giu¬ dice. Ora, contraddice a questo concetto del pento rarnrais- sione dei periti di parte. Un giudice tecnico, un consulente tecnico del giudice che è nominato dalla parte e che difende J: interesse della parte è una con tradizione in termini. Che cosa possono in¬ vece fare le parti? Le parti possono nominare dei difensori tecnici, cioè persone che sostengono le loro tesi, cosi come le sostengono gli avvocati; ma a questo persone non si deve dare, in nessun modo, il carattere di giudici tecnici* Credo pertanto che la risoluzione delia questione sia in un sistema, per cui non si ammettano più periti nominati dalle parti. Il perito deve essere un consulente tecnico del giudice, e deve essere nominato unicamente dal giudice. Le parti son libere di discutere la perizia c di nominare, ae credono, altri tecnici, ma non già In veste di periti, cioè ili consulènti tecnici del giudice, ma di «avvocati tecnici, a cui si crede nei li¬ miti, nei quali si crede agli avvocati. Quanto poi alla opportunità di limitare intervento di questi avvocati tecnici al periodo Istruttorio* osservo che cer¬ tamente può essere utile limitare tale intervento nel periodo. — 819 — durante il quale si procede agli accerta menti di fatto e un certo controllo nclP interèsse delle parti è necessario. Sono ri'accordo con Bono re voi e relatore sulla questi ode delle nullità, vale a dire sulla opportunità di ridurre le nul¬ lità assolute, scopo che si può ottenere, estendendo alle nullità assolute il principio della inopponibilità, quando la parte vi abbia dato causa o quando non vi abbia interesse. Accetto anche le proposte - delia relazione in materia di mandato di cattura c in materia di libertà provvisoria. Ri tratta di un punto importale, in cui sono lieto di avere il consenso del relatore. Circa la contumacia bisogna ammettere anche ! ■ prove a discolpa nel processo contumaciale; e abolire l’istituto della purgazione della contumacia, che molte volto sì risolve in vero scandalo e in una irrisione alla giustizia. Circa l f appello osservo che tutti un dicono male e che tutti lo vorrebbero conservare. L’appello è un residuo della concezione medioevale della giustizia., ma che non è facile eliminare, perchè vi si oppongono radicatissimi pregiudizi. Piuttosto andrebbe regolato diversamente, sopratutto in ma¬ teria penale; perchè, se l’appello in materia civile funziona male, rappello in materia penale funziona malissimo. Bisogna ammettere Teff etto devolutivo totale anche in caso d appello del condannato. Quando il condannato appella, il giudice di appello deve essere investito in tota della questiono. In relazione a questo principio si dovrebbe istituire le refoTwatio in peiu$ anche in caso di appello. Oggi il condan¬ nato clic appella è sicuro, perchè 1! giudice superiore può di¬ minuire la pena, ina non aumentarla. Ammesso il principio devolutivo, una volta che il condannato appella, e che il pro¬ cesso è portato avanti al giudice di appello, questi, può se 1 erede insufficiente la pena stabilita dal giudice precedente-, aumentarla. Cosi si porrà una remora non indifferente alla moltiplicazione degli appelli e ai accrescerà il prestigio del magistra fco d 7 a ppel lo. Un altro punto, in cui non sono d’accordo con Sonore vele relatore è quello della scarcerazione automatica, una delle istituzioni del nuovo codice, che non soltanto dà luogo quo¬ tidianamente a gravi inconvenienti, ma ad uno degli spetta¬ coli per me più dolorosi, cioè la violazione sistematica della legge. Al principio della scarcerazione automatica oggi ci si sottrae in tutti i modi; è naturale: il magistrato è talmente assillato dal lavoro, e, specialmente in alcuni grandi tribu¬ nali, è così sovraccarico, che non gli riesce, spesso di esple¬ tare il suo compito istruttorio nel breve periodo stabilito dalla legge. Molte volte si tratta di processi gravissimi, che richie¬ dono indagini lunghe e difficili; allora si ricorre a una serie di espedienti per evitare lo scoglio della scarcerazione auto¬ matica, la quale in tal modo non costituisce nessuna garanzia per P imputato, ma solo un grande impaccio per il giudice. Io credo che sia molto più opportuno rinunciare senz’altro ad un principio teoricamente eccellente, ma in pratica inat¬ tuabile. Un punto grave invece, in cui sono lieto di essere d’ac¬ cordo con l’on. Commjissione, non però completamente col relatore, è la questione della giuria; grave questione perchè l’attuale organizzazione del giudizio per giurati ha dato luogo a inconvenienti gravissimi e a casi frequenti di vera offesa alla giustizia. I giudizi per giurati già non andavano bene, ma, con l’estensione del suffragio, che ha peggiorato la qualità dei giurati e con il nuovo codice di procedura, che ha complicato e reso più difficile tutto il procedimento per la formazione del verdetto, le cose sono giunte a un punto tale, da richiedere radicali provvedimenti. II desiderio di riforma è oramai universale: la Commis- missione si è compiaciuta di accogliere un’ idea che io avevo adombrata un po’ timidamente nella relazione alla Camera elettiva, ma l’essere confortato da così autorevole avviso mi è di sprone a persistere in questa idea e a perfezionarla. ~ 321 — 10 pensavo che fosse venuto il temilo, ormai, non soltanto eli rendere la selezione dei giurati più severa c la formula¬ zione del verdetto più facile, ma di trasformalo radicalmente l’istituto della giuria, facendo partecipare i giurati ai giu- dizio sul diritto e il magistrato al giudizio sul fatto; cioè, pra¬ ticamente, trasformare V istituto della giuria nell’istituto dello scabinato. Si tratterebbe di ridurre i giurati a quattro, nu¬ mero congruo e clic consente una scelta migliore e anche, non dico ima retribuzione, ma una indennità meno incongrua; eli ritmile i quattro giiu-atl al presidente e di affidare al Col¬ legio cosi costituito il giudizio sia del diritto, sia del fatto. Sì avrebbe così una serio di vantaggi, tra cui quello di con¬ servare nel giudizio per giurati l’elemento popolare, che è ne¬ cessario perchè ^applicatone della pena, nei reati più gravi, risponda, interamente allo stato della coscienza pubblica, e quello di controllare e correggere la formazione del giudizio con V infervento del niagistrato. 11 sistema dello scabinato ha fatto eccellente prova dovun¬ que è stato applicato. Io penso che, se riusciremo a congegnare bene la riforma, avremo fatto un’opera veramente meritoria per Pamminis tramone della giustizia in Italia, Quanto alla Cassazione siamo sostanzialmente d’accordo; la semplificazione dei casi di ricorso s’impone; la formula a cui si era pensate « violazione della legge » può darsi ohe sia b sufficiente e vada, come suggerisce Tonorevote relatore, completata, con la detemiinazione dei casi in cui la viola¬ zione della legge processuale apre Indite al ricorso. Onorevoli senatori, io volgo alla fine di questo discorso, che è stato forse più lungo di quanto avrei desiderato, colpa della importanza della materia e della, vostra indulgenza. Dirò pochissime parole sull’ultimo argomento di cui il di_ segno di legge si occupa, cioè dell’ordinamento giudiziario, e queste non perchè il tema sia meno vitale, o meno difficile, ma perche la via nn e stata spianata in mamera mnabile dal presidente della commissione, onorevole senatore d Amelio, la ai — 322 — cui relazione è un contributo veramente prezioso recato alta soluzione del grave problema. Consento pienamente tanto nella conclusione, quanto nelle motivazioni della relazione* e sono lieto sopratutto di vedermi confortato da sì autorevole ade¬ sione in un'idea, elle da parecchi anni vagheggiavo, per risol¬ vere il problema della carriera della magistratura; Tidea cioè di separare la carriera dei tribunali c delle Corti d’appello dalla carriera delle preture. Il sistema delia doppia carriera, come tutti sanno, è stato in vigore in Italia per molti armi, e la. relazione del tono- revoie senatore d’Am elio dimostra, con abbondanza di dati, che era anche il sistema vigente in molti degli antichi stati, dove fece sempre ottima prova, ed il sistema vigente in quasi tutti gli Stati civili. In Italia, vi derogò Fon, ZanardnJJ^ con la legge 8 giugno 1890, la quale fuse le due carriere, quella delle preture e quella dei tribunali. I concetti, che ispirarono la fusione furono certe nobilis¬ simi, ma resperi enza ha dimostrato che quella unifica zio rie, specialmente nelle condizioni attuali, ha reso difficile il re¬ clutamento dei magistrati, lunga e penosa la carriera, in¬ certa la selezione dei migliori, ed è la causa principale dell’odierno disagio della magistratura italiana. Le altre questioni, che riguardano Tordinamento giudi¬ ziario, sono, a confronto di questa secondarie, perchè io penso che una volta riorganizzata la carriera sulla base della separa¬ zione della carriera dei tribunali dalla carriera delle preture, avremo per nove decimi risolto il problema. Onorevoli senatori, questa riforma del codice penale e del codice di proc ed aura penale e dell'ordinamento giudiziario, è un altro passo che V Italia fa verso il rinnovamento della sua legislazione. Gli avvedimenti., che hanno contrassegnato gli ultimi anni hanno profondamente modificato la struttura economica e sociale della nazione italiana; è naturale che a questo - 323 — nuovo atteggiamento dei rapporti sociali risponda una nuova legislazione codificata. Noi. che abbiamo l’immenso onore e la grande responsa¬ bilità di realizzare questo compito storico, non dimentiche¬ remo le tradizioni giuridiche, che hanno fatto la nostra Pa¬ tria, maestra di diritto alle genti. Posso dire fin d’ora, con orgogjlio di italiano, che gli studi per il rinnovamento della nostra legislazione codificata sono seguiti in tutto il mondo con la più grande attenzione: prova, se pur ve ne fosse bisogno, della importanza decisiva, che l’Italia ha assunto nel consesso dei popoli e nel movi¬ mento della cultura mondiale. (Vivi e prolungati applausi , congratulazioni ). LA RIFORMA SOCIALE Legge sulla disciplina giuridica dei rap¬ porti COLLETTIVI DEL LAVORO. La nuova disciplina del lavoro e lo stato CORPORATIVO. - 327 — LEGGE SULLA DISCIPLINA GIURIDICA DEI RAPPORTI COLLETTIVI DEL LAVORO (*). I. Il problema dei rapporti fra capitale e lavoro, quella che si è chiamata lungamente la questione sociale, ha origini coeve al sorgere della grande industria, che è quanto dire del mondo economico moderno. L’economia medioevale, che dominò, con pochi muta¬ menti, fino al principio del secolo XVIII, non conobbe un problema del lavoro. Essa si fondava essenzialmente sull’arti- gianato e sulla piccola industria, ossia sostanzialmente sul si¬ stema dell’imprenditore-lavoratore. Il proprietario della bot¬ tega o dell’officina vi lavorava egli stesso, organizzando la produzione ed eseguendola nel medesimo tempo, o solo o circondato da pochi garzoni, che erano suoi collaboratori e suoi discepoli, e spesso figli, fratelli, nipoti. In questa orga¬ nizzazione semplice, non vi erano conflitti possibili, e il lavoro non era fonte di delusioni o di rivolte, ma di alte soddisfa¬ zioni dello spirito. L’operaio era sopratutto artefice, non i rado artista, per cui il lavoro non era soltanto mezzo di sus¬ sistenza, ma piacere. In tal modo si spiega come m quel periodo ogni specie di lavoro manuale avesse in sè carattere e sapore d’arte, e come le più umili cose e gli utensili piu (*) Relazione al disegno di legge presentata alla Camera dei de- pntati nella sedata del 18 novembre 1925. consueti bene spesso avessero pregio artistico, anche nella semplicità e rozzezza della loro costruzione. Tale forma di organizzazione del lavoro era fonte di armonia e di serenità. Le cose mutarono profondamente quando sorse prima la media, poi la grande industria, conse¬ guenza della sostituzione delle macchine al lavoro ornano. Que¬ sti trasformazione, che si operò prima in Inghilterra v di qui si estese in tutto 11 continente durante il secolo XVHI è sopra tutto nei primi decenni del XIX, renne a poco a poco distruggendo Findustria domestica e fece chiuder" le bot¬ teghe e le piccole officine, dove l'Operaio era anche pa¬ drone cd artista. Sorsero in quel tempo le grandi fabbriche, rumorose di macchine e brulicanti di uomini, che gettavano sul mercato enormi quantità di prodotti, non pi il finemente la* vera ti coinè per 1 innanzi, ma a costi infinitamente minori. In queste grandi imprese occorrevano menti organizzatrici e direttrici, grandi capitali d'impianto, forti capitali di oserei* cizio. La figura dell'imprenditore ^ del capitalista si staccò nettamente da quella del lavoratore. L'imprenditore, con ca¬ pitali propri, ma piu spesso con capitali altrui, organizzò la produzione, e questo lavoro grave, preoccupante, pieno di responsabilità e difficoltà, Fassorbi interamente. Intorno a lui si raccolse una folla di tecnici, di impietrati, di lavoratori manuali. Col crescere vertiginoso delle imprese € delia produ¬ zione. la richiesta di mano d’opera divenne enorme e da ogni parte accorsero i lavoratori, allettati dai maggiori agi della città, e dal miraggio di un salario fisso e di una libertà maggiore. Le campagne si spopolarono e si iniziò il fenomeno delibi rbanesimo. Ma in quali diverse condizioni i nuovi operai della grande Industria si trovarono dì fronte agli artigiani dei secoli passati! L introduzione delle macchine e del principio della divisione del lavoro, spinto fino alle piu estreme applicazioni* rese meccanica e monotona IVipera del lavoratore manuale. Questi perdette il gusto della produzione, che all'epoca delibar- — 329 — tigianato allietava il lavoro. Chiuso in grandi officine a ripe¬ tere per centinaia e migliaia di volte lo stesso gesto divenuto automatico, il suo spirito si allontanò sempre più dalla visione d* insieme dell'opera produttiva, e il lavoro si ridusse per lui pura fatica, semplice mezzo di sussistenza materiale. Era naturale che in tali condizioni di cose la psicologia dell’operaio mutasse profondamente. Mentre il lavoro dive¬ niva per lui mero sacrificio, il compenso materiale era tut¬ tavia meschino e tendeva piuttosto a diminuire che ad aumen¬ tare. I primi decenni infatti del secolo XIX furono contras- segnati da una enorme offerta di lavoro, determinata dai- l’accorrere nelle città di grandi masse di contadini, desiderosi di abbandonare il duro lavoro dei campi, per quello che pa¬ reva più agevole, e più sicuro, e meno soggetto alle vicissi¬ tudini del tempo e delle stagioni, che offrivano le grandi officine della città. Si ebbe così il fenomeno, rilevato da David Ricardo, di una offerta di lavoro superiore alla do¬ manda per cui i salari tendevano a abbassarsi e a livellarsi al minimo necessario per il sostentamento dell’operaio. Fu in quell’epoca che venne formulata la ferrea legge dei salari, che sembrò destinata a condannare gli operai ad una perpe¬ tua e sempre crescente miseria. In realtà gli imprenditori e i capitalisti abusarono di questa situazione di cose. Di fronte alla folla anonima degli operai, ignorante, abbrutita da un lavoro faticoso, e prolun¬ gato con un orario estenuante, divisa e disorganizzata, stava l’industriale, intelligente, colto, avveduto, padrone e capo incontrastato deH’offieina, che rendeva conto del suo operato solo ai suoi azionisti, i quali non gli chiedevano che una sempre maggior rimunerazione del capitale. Si ebbe così una fase di vera oppressione padronale. Gli operai furono conside¬ rati come bestie da lavoro, da pagarsi il meno possibile e da ignorarsi per tutto il resto. Lo Stato fu in questo periodo assente. Anzi m un primo tempo (secondo i principi della rivoluzione francese, la quale — 380 — avendo distrutto tutte le istituzione di origine mediovale, e quindi anche le corporazioni, aveva sancito il divieto dì coa¬ lizione), prestò man forte ai padroni, impedendo che gli operai dispersi e divisi potessero stabilire fra di loro una solidarietà, capace di renderli piu atti a resistere alla dominazione dei loro principali. In seguito il divieto di coalizione fu tolto, ni a Io Stato non muto il suo atteggiamento di neutralità con¬ sono ai principi del liberalismo, che Jo informava tutto. Ma* po¬ nendosi neutrale tra i forti e i deboli, favoriva ue cessa ria¬ mente i primi a danno dei secondi* Doveva derivarne fa¬ talmente la rivolta* E questa non tardò* Il socialismo, che ne fn lo stru¬ mento, deve qualificarsi la conseguenza fatalo della mutata situazione del lavoro e delia indifferenza dello Stato di fronte al nuovo problema. Un sistema politico, come quello proprio dello Stato liberale* che, mentre si disinteressava delle condizioni gravi e talvolta intollerabili, fatte alla massa lavoratrice dalla evoluzione degli ordinamenti economici, ed anche spesso dalla malavoglia e dall egoismo dei padroni, lasciava d altra canto piena libertà di organizzare la ribel¬ lione, doveva condurre, come condusse, alla lotta dalla classi e delle categorie, cioè al socialismo. Poiché la situazione delle classi operaie era grave od ingiusta, e lo Stato non si ac¬ corgeva della ingiustizia, era fatale Porganizzazione dell'au¬ todifesa delle classi operaio. 11 socialismo, non fu altro ap¬ punto che questa organizzazione. Tutto Papparato di dottrina e di filosofia che precedette ed accompagnò il fenomeno socia¬ lista fu un accessorio. La sostanza del movimento restò la organizzazione delPautodifesa delle classi lavoratrici* Questa autodifesa restò dapprima limitata neirambito della legalità. Anzi pretese di inquadrarsi nello stesso sistema dell’economia liberale* Lo sciopero, cioè Pastensione collet¬ tiva dal lavoro da parte degli operai, non fn in principio che un mezzo diretto a rarefare l’offerta di lavoro* ? quindi a — 331 — fare aumentare la domanda, determinando così un aumento dei prezzi, cioè dei salari operai. Ma ben presto, e questo sopratutto negli ultimi decenni del Secolo XIX e nei primi anni del XX, il movimento operaio as¬ sunse un carattere ben più accentuato. L’organizzazione del lavoro si andò sempre più estendendo e rafforzando, sotto la direzione dei capi socialisti, che ne fecero un formidabile stru¬ mento della loro influenza politica. Ben presto le grandi or¬ ganizzazioni di lavoratori divennero potentissime. Fiancheg¬ giate dal partito socialista, che alimentavano coi loro voti e coi loro contributi economici, esse capovolsero rapidamente la situazione. Nei rispetti degli imprenditori e dei capitalisti le parti si invertirono. Di fronte alle grandi organizzazioni operaie do¬ minanti spesso lo Stato, i padroni dovettero cedere e talune volte capitolare. Egli è che oramai le armi, di cui le organizza¬ zioni dei lavoratori disponevano, erano divenute ben altrimenti potenti. Allo sciopero considerato come semplice mezzo di lotta economica, diretto a influire sulle condizioni del lavoro, me¬ diante il giuoco della diminuzione dell’offerta, era subentrato lo sciopero a carattere politico, diretto a creare uno stato di disordine e di agitazione, preoccupante per l’ordine pubblico, e quindi atto a provocare l’intervento dello Stato. Lo sciopero, d’altro canto, non fu più mera astensione volontaria dal la¬ voro; fu spesso astensione forzata, imposta dall’organizza¬ zione agli operai recalcitranti mediante la violenza brutale. Lo strumento necessario degli scioperi divennero le così dette squadre di vigilanza, in cui si realizzava la forza materiale dell’organizzazione. Lo sciopero fu pertanto soprattutto vio¬ lenza, disordine nelle strade, sabotaggio, boicottaggio. L’au¬ todifesa economica si era automaticamente trasformata in au¬ todifesa materiale; la lotta di classe in guerra di classe. Di fronte all’attacco anche le classi padronali corsero alla difesa. Esse si organizzarono alla loro volta e resistettero. I — 332 Con minore efficienza dei loro avversari, perchè più egoi¬ ste, più individualiste, più restie all’organizzazione. Ma ne¬ gli ultimi anni anche le associazioni padronali avevano preso sviluppo e la lotta era diventata più aspra e la guerra più diu¬ turna e più pericolosa. Fra le due parti contendenti stava lo Stato rappresen¬ tante dell’intiera collettività. Ed appunto nei rapporti con lo Stato la situazione creata dalla reazione socialista e dalla controreazione padronale divenne negli ultimi tempi sopra¬ tutto gravissima. Invano lo Stato liberale aveva preteso di astenersi dalla lotta e di farsi soltanto tutore dell’ordine pub¬ blico, per evitare che la massa dei cittadini restasse danneg¬ giata dall’urto delle forze avverse. Questo programma era irrealizzabile, perchè quando la lotta infuria, non fra gruppi isolati, ma fra tutti i lavoratori e tutti gli imprenditori, in modo che non vi è gruppo o categoria che possa dirsene estranea, non può esservi pace per nessun cittadino. Ed infatti lo Stato liberale dovette ben presto assistere impotente alla lotta di tutti contro tutti, cioè al dilagare della guerra civile e dell’anarchia. Le grandi organizzazioni operaie si posero arbitre della vita nazionale. Esse costruirono altrettanti Stati nello Stato, disponenti dei servizi pubblici secondo il loro capriccio, più ancora che secondo la loro volontà. Si ebbe così lo spettacolo in Italia della Confederazione generale del lavoro, dei Sinda¬ cati socialisti dei ferrovieri, degli impiegati postali e telegra¬ fici, della gente di mare, sospendere la vita o i traffici o le co¬ municazioni del Paese e decidere della politica estera. Anche i servizi pubblici essenziali furono in balìa degli organizza¬ tori socialisti. E il concetto della lotta di classe si allargò in molo smisurato e ridicolo, fino a comprendere i rapporti fra lo Stato e i suoi impiegati, quasi che la Nazione fosse una classe, contro cui era lecito condurre battaglia in nome di in¬ teressi particolari. Le cose ormai erano giunte a tale, che dall’autodifesa di — 333 — classe, dii categoria, di gruppo era sorta nettamente 1 anar¬ chia. Lo Stato liberale divenuto l’ombra dì se stesso andava Ói- facendosi. Il Governo era considerato un affare privato dai partiti, che essi si spartivano proporzionalmente secondo le loro forze. Tutta la vita sociale minacciava di disgregarsi e la civiltà di sommergersi in un nuovo Medio Evo. Questa condizione di cose, seppure non in forma così grave come quella che abbiamo ora descritto, e che fu pro¬ pria dell’Italia nel triennio posteriore alla guerra, continua anche oggi in altri Paesi. In Italia il processo di disgrega- mone fu arrestato nettamente dall Irrompere del fascismo, e il processo di ricostituzione fu iniziato dalPavvento del fa¬ scismo al potere il 28 di ottobre del 1922. n. XI fascismo aveva già affrontato risolutamente il pro¬ blema del lavoro, facendosi iniziatore e propagatore di un suo sindacalismo, nettamente distinto dal sindacalismo socialista. In realtà l’organizzazione dei gruppi e delle categorie, se non vogliami dire delle elassi, è una necessità insopprimibile della vita, moderna. Necessità sentita in tutti i tempi, che u movimento disgregatore e livellatore della rivoluzione fran¬ cese aveva potuto per poco sopire, ma che doveva fatalmente ri-orge re più forte, ooll/intenrifiearsì e il complicarsi de a vita sociale. Soltanto, il Fascismo comprese che il problema dell’organizzazione dei gruppi sociali, cioè del sindacalismo, non era niente affatto connesso dì necessità col movimento fu¬ retto a distruggere l’economia capitalistica, a base di orga¬ nizzazione privata della produzione, e a sostituirvi l’economia socialista, a base di organizzazione eomunitativa della pio — 384 — duzione. Vide cioè che bisognava isolare il fenomeno sindacale dal socialismo, che lo aveva complicato di tutte le ideologie antinazionali, internazionalistiche, pacifiste, umanitarie, ri¬ bellistiche proprie della sua dottrina politica, e che coll’orga- nizzazione sindacale non avevano nulla da fare. Così il Fa¬ scismo creò un sindacalismo nazionale, vale a dire tutto ispi¬ rato dal sentimento della Patria e della solidarietà nazionale. Oggi, che possiamo considerare il fenomeno da un punto di vista più sereno e quasi storico, siamo tratti piuttosto a meravigliarci che il sindacalismo sia sorto in Italia colle ca¬ ratteristiche con le quali il socialismo ve lo introdusse. In Italia, infatti, paese scarso di risorse naturali, ma esube¬ rante di popolazione, il che è quanto dire povero di capitali e ricco di lavoro, il problema sociale è sopratutto problema di aumento della ricchezza e della produzione nazionale, e non già di distribuzione della produzione. In un equilibrio mon¬ diale, dove ad altri popoli sono riservate le posizioni di ric¬ chezza e di potenza, il proletariato italiano soffre della con¬ dizione di inferiorità, in cui la Nazione italiana si trova di fronte alle Nazioni concorrenti, ben più che dell’avarizia o dell ingordigia dei padroni. Se vi è dunque paese, in cui il sin¬ dacalismo internazionale è assurdo, questo è appunto l’Italia; logico invece da noi è un sindacalismo nazionale, che ricordi esistente tra le categorie e i gruppi sociali in Italia una ra¬ gione di solidarietà che sovrasta le ragioni di contrasto, la solidarietà che unisce tutti ì gruppi, tutte le categorie, tutte le classi di un popolo povero, ma esuberante di uomini e di vo¬ lontà, il quale deve camminare verso il suo avvenire come un esercito ordinato in battaglia. La pratica del sindacalismo nazionale introdotta dal fa¬ scismo, anche prima della Marcia su Eoma, e diffusasi lar¬ gamente dopo l’avvento del Governo fascista, ha risoluto or¬ mai in Italia, nel campo pratico, il problema dei rapporti fra capitale e lavoro. All’autodifesa di classe cieca e disordinata, incurante delle sorti della produzione e delle sorti stesse — 835 — della Nazione, anzi invasata dall'idea suicida della lotta con¬ tro la produzione e contro la Nazione, il sindacalismo fasci¬ sta ha sostituito una autodifesa di classe ordinata, consape¬ vole, rispettosa delle necessità del processo produttivo e delle esigenze della vita nazionale. Tanta onestà di propositi, tanto patriottismo, tanta consa¬ pevolezza sono state coronate dal successo più pieno. Il patto del 2 ottobre 1925 stipulato fra la Confederazione delle Cor¬ porazioni fasciste, con cui le due organizzazioni stabiliscono di riconoscersi reciprocamente come le sole legìttime rappre¬ sentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori dell’industria, segna il trionfo del sindacalismo nazionale e prepara la via alla trasformazione piu profonda, che lo Stato abbia mai subito dalla rivoluzione francese in poi, e che il Governo fa¬ scista inizia col disegno di legge sottoposto oggi alla vostra- approvazione. m. Lo Stato fascista che noi vogliamo realizzare e stiamo realizzando, è lo Stato veramente sovrano, che domina tutte le forze esistenti nel Paese e tutte indirizza ai fini stoiici ed immanenti della vita nazionale. Orbene è naturale che lo Stato fascista non si disinteressi, come lo Stato liberale, del più grande problema che tormenti il mondo contemporaneo, e che da un secolo è la causa di tutte le difficoltà e di tutti i disordini dello Stato moderno. Lo Stato fascista deve prendere in mano anche la que¬ stione dei rapporti fra capitale e lavoro, e deve risolverla nell’interesse di una pacifica convivenza fra i gruppi sociali e di una sempre maggiore intensificazione e di un sempre mag¬ gior perfezionamento della produzione nazionale. 336 — Nella evoluzione dello Stato problemi di questo genere non furono ignoti. Lo Stato primitivo, che moveva i primi passi incerti e stentava ad affermare la sua autorità sugli individui e sui gruppi, dovè aspramente combattere l’autodi¬ fesa. Tutto il processo di formazione dello Stato è domi¬ nato da questa lotta, e lo Stato non giunse al suo pieno consolidamento, se non quando fu in grado di reprimere l’au¬ todifesa individuale e di gruppo, e sostituire ad essa la giustizia di Stato. Oggi sembra molto naturale che il cit¬ tadino, il quale si creda leso in un suo diritto, si rivolga al magistrato per ottenere giustizia, invece di farsela da sè con le sue proprie forze. Eppure quanti secoli pose lo Stato per reprimere 1 autodifesa individuale o famigliare, che ancora nell’epoca delle invasioni barbariche insanguinava il paese in una serie di lotte e di risse senza fine ! Roma aveva già percorso lo stesso cammino, e gli Stati usciti dalla disgre¬ gazione e dalle Darbarie medioevale dovettero ripeterlo, come lo devono ripetere tutti gli Stati, che sorgono da un periodo di anarchia e di oscurità. Il cammino è lungo e faticoso. All autodifesa disordinata ed incontrollata si comincia a so¬ stituire 1 autodifesa ordinata e controllata; è l’epoca del duello, che è appunto il regolamento giuridico dell’autodifesa. Poi lo Stato si interpone come paciere ed arbitro; prima come ar¬ bitro volontario, che decide se le parti consentono; poi come arbitro necessario, che impone il suo arbitrato. Ma anche qui quante difficoltà e quante lotte per imporre prima l’arbitrato, poi l’osservanza del lodo, quando la decisione è emessa! In¬ fine si passa allo stadio più perfetto: lo Stato crea la giuri¬ sdizione, impone cioè non solo il giudizio, ma anche il giudice e vieta, sotto la sanzione di pene gravi, di farsi giustizia da se. Di questa lenta evoluzione restano spesso residui negli istituti giuridici anche dei tempi più maturi. Nella proce¬ dura romana ver formulas rimangono tracce evidenti dell’an¬ tico carattere arbitrale del processo civile. — 337 Ebbene, oggi, mentre nessuno dubita che sia illecito agli individui e alle famiglie di farsi giustizia da sè, sembra invece molto naturale ancora che le categorie e le classi sociali facciano valere con le proprie forze i propri interessi econo¬ mici, esercitino cioè l’autodifesa, quella stessa autodifesa che agli individui è vietata. E fino a poco tempo fa sembrava na¬ turale che le categorie e le classi si facessero giustizia da sè con le forme più brutali della lotta materiale. Vi fu perfino tempo in cui l’occupazione delle fabbriche venne qualificata come una contravvenzione! Orbene lo Stato non è lo Stato, cioè non è sovrano, se non riesce, come già fece, coll’autodifesa individuale, a vie¬ tare anche l’autodifesa di categoria e di classe e a porsi come giudice nei conflitti fra le classi. Questo problema fondamentale della vita moderna lo Stato fascista se lo è posto e intende di risolverlo. Le condizioni sociali e politiche dell’ Italia conferiscono al nostro Paese la possibilità, che è un vero privilegio storico, di metter fine alla disordinata autodifesa di classe, che affligge tutto il mondo, e di sostituirvi la giustizia di Stato. Uno Stato forte come non fu mai, per il prestigio del Governo e per il consenso delle popolazioni; un’organizzazione sindacale di spi¬ rito schiettamente nazionale, fortemente costituita e perfet¬ tamente disciplinata; le classi padronali convinte della bontà dei propositi del Governo e della necessità di assecondarli. È naturale che il divieto dell’autodifesa di classe e l’isti¬ tuzione della giurisdizione del lavoro, che ne è il presupposto necessario, richiedano l’organizzazione di tutto un sistema atto a renderne possibile il funzionamento pratico. Questo sistema comprende, in sostanza, due istituti: i Sindacati di datori di lavori e di lavoratori legalmente rico¬ nosciuti e posti sotto l’effettivo controllo dello Stato, e l’ef¬ ficacia giuridica dei contratti collettivi da questi sindacati sti¬ pulati, rispetto a tutti i datori di lavori e a tutti i lavoratori. 22 — 338 — Riconoscimento giuridico dei Sindacati sotto il più rigo¬ roso controllo dello Stato; efficacia dei contratti collettivi; magistratura del lavoro esercitante la giurisdizione nei con¬ flitti collettivi; divieto dolTautodifesu e sanzioni penali in caso di violazione; ecco i quattro punti fondamentali del nuovo ordinamento del lavoro, che noi vogliamo creare. Sem¬ plici linea di un grande edilizio* la cui costruzione è stata e sarà ancora faticosa, ma che segnerà ima pietra miliare sul cammino della civiltà. Diciamo una pietra miliare, perche nessuna legislazione conosce firn ora un sistema così compiuto e così organico come quello che noi abbiamo delineato. Non già che tentativi par¬ ziali di sistemare questa o quella parte della materia non siano stati fatti fuori d’Italia. Ma si tratta, appunto, di soluzioni parziali di un problema, che è unico, e che deve es¬ sere risoluto in modo integrale, altrimenti non è risoluto af¬ fatto. Si tratta di una catena, che cade, se ne vien meno un solo anello. Questa è la ragione del fallimento delle leggi, che ali’estero hanno affrontato il problema da un lato solo, o in via indiretta, invece dì aggredirlo di fronte e nella sua totalità. Cosi In Australia la leggo federale del 1920 sulla conci¬ liazione e Tarbitrato e la legge del 1920 sulla paco indu¬ striale stabilirono varie specie di magistrature del lavoro, e con risultati in genere favorevoli. Ma manca in Australia una disciplina organica dei Sindacati, perchè la costituzione e la appartenenza ad essi è tutta facoltativa e ìl controllo dello Stato in sufflè lente. Cosi in Germania la conciliazione e l'ar¬ bitrato furono disciplinati dal decreto 30 ottobre 1923 e dalle successive ordinanze regolamentari del 10 dicembre e del 29 dicembre 1923, con le quali furono istituite Goni mis¬ sioni di conciliazione con la facoltà di intervenire nel conflitti del lavoro, anche d’ufficio, per tentarne la conciliazione e t ove questa non riesca, per emettere una proposta di sentenza — 339 — arbitrale, die può essere dichiarata obbligatoria-, se 1" interesse pubblico lo esige. Questo sistema non ha dato risultati troppo confortanti, perchè nel 1924 sopra 3559 provvedimenti termi¬ nanti con una richiesta di dichiarazione di obbligatorietà della sentenza, ili 1079 casi la sentenza obbligatoria fu respinta. Ma in Germania un’organizzazione sindacale controllata dallo Stato non esisto clic per la piccola industria e il piccolo commercio, mentre i Sindacati operai sono soltanto sottoposti alla legge generale sulle associazioni del 1.8 aprile 1918. Egualmente le leggi norvegesi del fi agosto 1915 e del 9 giugno 1916, che stabilirono la conciliazione e l’arbitrato obbligatorio, non hanno sortito tutto l’effetto desiderato, sia per il modo im¬ perfètto con cui è in esse disciplinata l’obbligatorietà della decisione, sia per l’imperfetta disciplina dei Sindacati. E lo stesso presso a poco è a dirsi per le altre legi¬ slazioni, clic anche più timidamente hanno regolato la difficile materia. La soluzione, che noi proponiamo invece è, come ab¬ biamo già detto, integrale. Il disegno di legge, che sottopo¬ niamo alla vostra approvazione, non è una legge sull arbitrato obbligatorio soltanto, o stola, registrazione dei Sindacati sol¬ tanto, 0 sui contratti collettivi di lavoro soltanto, o sudò sciopero o la serrata soltanto; ma è una legge, . la quale comprende la disciplina giuridica di tutti i rapporti collettivi del lavoro, e che si inizia eoi riconoscimento giuridico dei Sin¬ dacati, prosegue col regolare i contratti collettivi di lavoro, istituisce, la magistratura del lavoro e ne dichiara obbligatone le decisioni, vieta lo sciopero e la serrata e li punisce, in modo meno grave, quando si tratta di scioperi puramente economici, in modo più grave quando si tratti di scioperi nei pubblici servizi, in modo gravissimo quando si tratta di scioperi politici. — 340 - IV. H primo capo del disegno di logge è dedicato al rico¬ noscimento giuridico dei Sindacati, I concetti fondamentali del disegno di legge sa questo punto sono i seguenti: 1°) li Sindacato non può essere legalmente riconosciuto se non risponde ad alcune condizioni tassativamente prescritte le quali sono: a) il comprendere un numero minimo di ade¬ renti per libero consenso, numero che l'articolo 1 ■ determina, per i datori di lavoro, in tanti di essi che rappresentino almeno il decimo dei lavoratori della categoria impiegati, e per i la¬ voratori, che siano almeno il decimo della categoria; b) il per¬ seguire, oltreché scopi di natura economica anche scopi di assistenza, di istruzione e di educazione morale e nazionale; c) il dare garanzia di capacità, di moralità e di sicura fedo nazionale, II numero minimo ri ci dento non è troppo esìguo, quando si pensi che sì tratta di un numero iniziale; in regime di libertà sindacale assoluta, come vige oggi, la molteplicità dei Sin¬ dacati rende già cospicua la cifra indicata del decimo, senza contare che là massa dei lavoratori e del datori di lavoro in Italia è organizzata, o un organizzazione che ne comprenda il decimo è già molto importante. L'esigenza di una attività rivolta anche a scopi estranei allentereste economico dèi soci e giustificata, sia dalla natura pubblicistica di questi enti, sia dall opportunità dì favorire lo sviluppo ulteriore dei sin¬ dacati, i quali, da mero strumento di difesa di categoria e di classe si debbono trasformare gradatamente in vere corpo¬ razioni, che, sotto il controllo dello Stato, esercitino una serie di funzioni di interesse pubblico, come Kstruzione professio¬ nale, 1 assistenza economica, I educazione morale. religiosa o - 341 — nazionale, e forse anche la disciplina dell’arte, del mestiere e della professione. La norma dell’articolo 4, ultimo capo verso, intende appunto ad aprire la via a questo graduale perfe¬ zionamento degli organismi sindacali. Infine si richiede una completa garanzia di disciplina e di devozione alle supreme ragioni dell’ordine nazionale, non solo col prescrivere, come fa l’articolo 1°, che tali requisiti debbano possedere i dirigenti dell’associazione, ma con lo stabilire, come è detto nell’arti¬ colo 4, secondo comma e nell’articolo 7 ultimo comma, che condizione essenziale per l’ammissione dei soci è la buona con¬ dotta politica dal punto di vista nazionale, e che i soci inde¬ gni per condotta morale o politica possono, in qualunque tempo essere espulsi. In tal modo, mentre al Sindacato legalmente riconosciuto non viene attribuita alcuna caratteristica politica di partito, si assicura in modo preciso che non possano nè entrare nè permanere nel Sindacato elementi di dubbia fede nazionale. Diverrà così automaticamente incompatibile la presenza nel Sindacato legalmente riconosciuto di elementi appartenenti a Sindacati di partito, ma non sarà escluso che operai o artisti o professionisti iscritti ad associazioni, anche Sindacali, aventi rapporti, non con partiti, ma con organizzazioni di carattere puramente spirituale o religioso, possano essere ammessi a far parte dei Sindacati ufficiali, e restarvi, finché nel Sinda¬ cato e fuori esercitino azione conforme ai principi della disci¬ plina e dell’ordine nazionale. 2°) Possono essere riconosciuti, non solo i Sindacati di datori di lavoro e di lavoratori, ma anche di liberi esercenti un’arte o una professione (art. 2); è naturale che gli ordini, collegi ed associazioni di professionisti liberi, già regolati dalle leggi vigenti, continuino ad essere disciplinati in modo particolare. Gli ordinamenti attuali sono per essi conservati, ma sono soggetti a revisione, per esser messi in armonia coi principi fondamentali della legge generale sull’ordinamento sindacale (art. 2, 2° e 3° comma). — 342 — 3° Possono essere riconosciuti tanto i Sindacati di sali datori dì lavoro o di soli lavoratori, come i cosidetti Sinda¬ cati misti, nei quali siano compresi contemporaneamente da¬ tori di lavoro e lavoratori. In questo secondo caso, deve essere nel seno del Sindacato organizzata, oltre la rappresentanza comune di rutti i soci, anche la rappresentanza particolare dei datori di lavoro e quella dei lavoratori, e, se il Sindacato com¬ prende, come di regola awvlene* lavoratori di diverse categorie, come tecnici, impiegati, olierai, anche la rappresentanza parti¬ colare di ciascuna categoria (art* 3). In tal modo sono evitate le obbiezioni che, nel campo internazionale, sono state mosse contro i Sindacati misti, i quali Tappresentano, a nostro av¬ viso, una forma più evoluta e perfetta dei Sindacati, perchè, comprendendo in modo integralo tutti i fattori della produ¬ zione, il Sindacato misto ha una visione più completa delle necessità della produzione e no diviene più efficace tutore, e adempie in modo più sicuro la sua funzione di interesse pub¬ blico o generale, 40 ) Può essere riconosciuto un solo Sindacato per cia¬ scuna categorìa di datori di lavoro, di lavoratori, di artisti o di professionisti, in ciascuna circoscrizione territoriale. Questo principio è importantissimo, è anzi una delle chiavi di volta dellordinamento, che proponiamo, perchè la molteplicità dei Sindacati riconosciuti crea tra essi una concorrenza, che è fonte di disordini e di indisciplina; rende più difficile e meno efficace il controllo dello Stato; favorisce la formazione di Sindacati di partito, nefasti sempre* perchè fanno dell'orga¬ nizzazione operaia uno strumento di politica partigiana ed elettoralistica. 5°) I Sindacati legalmente riconosciuti rappresentano legalmente tutti i datori dì lavoro, lavoratori, artisti e profes¬ sionisti della categoria, per cui sono costituiti, vi siano o non vi siano iscritti, nell’ambito della circoscrizione territoriale, dove operano; e hanno diritto di imporre a tutti coloro che rappresentano, vi siano o non vi siano iscritti, un contributo - 343 — anmio per sopperire alle necessità del proprio funzionamento (art. 5). Questo principio è un complemento necessario del precedente, ne è anzi un corollario. Se uno solo e il Sinda¬ cato legalmente riconosciuto, è naturale che esso rappresene tutti i datori di lavoro e tutti i lavoratori della categoria, e poh i soli iscritti, perchè altrimenti i non iscritti restereb¬ be privi di rappresentanza legale, e non potrebbero esercitare j diritti nè godere dei vantaggi che sono connessi col rmono- scimento giuridico. , ,, ,, g,j) Il Sindacato legalmente riconosciuto e soggetto ai controllo dello Stato, il quale « manifesta sotto molteplici fonne che vanno dalla approvazione per decreto Beale o prefettizio della nomina del presidente « segretario, che lo dhW (art 7), dalla vigilanza c dalla tutela esercitata dal ministro ovvero dal. prefetto e dalla Giunta provinciale ammi¬ nistrativa competente (art. 8, eomm. 2» e 3°> fa» alte fa¬ coltà di scioglimento del Consiglio dirottavo (art. 8, ultimo comma) e alla revoca del riconoscimento (art. 9). Questo controllo rigoroso non toglie però nulla all’autonomxa de Sindacato e ai libero svolgimento della sua vita interiore ed esteriore. Infatti: le norme che disciplinano la vita interna del Sindacato e la sua azione esterna sono date dallo Statuto, che ogni Sindacato deve avere (art. 4), il quale è bensì ap¬ provato con decreto Beale, come avviene per gli Statuti di tutti i Corpi morali, ma è compilato dalle stesse associazioni e in esso ^ordinamento e la vita del Sindacato sono, entro ì lìmiti delia legge, lìberamente regolati (art. 4, 7, 8). _ ». quando si tratta di Sindacati regolarmente unita in federatolo, alla federazione viene conferita la maggiore libertà dazione. Non solo le viene dato il potere disciplinare sulle associa¬ zioni aderenti e anche sui singoli partecipanti di esse, da esercitarsi nei modi stabiliti dallo Statuto (art G, 1» comma), ina p U ò ad essa essere trasferito Poseremo delle funzioni di vigilanza e di tutela sui singoli Sindacati, che 1>cr spetterebbero all’autorità governativa (art. 8, 2“ comma). — 844 — 7' ) sono Sindacati, che non possono mai essere rico¬ nosciuti. Così quelli che abbiano contratto, senza l’autoriz¬ zazione del Governo, vincoli di disciplina o di dipendenza con associazioni di carattere internazionale. I rapporti internazio¬ nali sono, di necessità, rapporti fra gli Stati, e il mantenerli è attribuzione esclusiva dello Stato. Troppo lungamente si è tollerato in Italia che si facesse politica internazionale, da parte di organizzazioni viventi all’infuori dello Stato e spesso contro lo Stato. Un paese bene ordinato non ha che una sola politica internazionale: quella che fa il suo Governo. Benché i Sindacati legalmente riconosciuti siano enti di diritto pub¬ blico e quindi inquadrati nello Stato, pure non è possibile consentire, neanche ad essi, relazioni internazionali senza l’au¬ torizzazione e il controllo dello Stato. A ciò intende la dispo- sizione delParticolo 6, ultimo capo verso. Egualmente non possono essere riconosciuti i Sindacati di dipendenti dello Stato, delle provincie, dei comuni e delle istituzioni pubbliche di beneficenza (art. 11, 1° comma) I rapporti fra gli enti pubblici di carattere politico e i loro di¬ pendenti sono di loro natura tali, che non consentono la crea¬ zione di organi sindacali di diritto pubblico, perchè è incon¬ cepibile il riconoscimento giuridico di una difesa di categoria o di classe contro enti che rappresentano l’interesse generale. Questi Enti hanno già di per sè obblighi verso i loro dipen¬ denti, che esulano dal puro campo contrattuale e privatistico. Il far giustizia ai propri dipendenti è già un obbligo dello Stato, e degli Enti pubblici, che essi debbono adempiere per il loro stesso carattere etico. Da ciò deriva che il problema dei rapporti fra lo Stato e gli altri Enti politici e i loro im¬ piegati ed agenti, è un problema interno, che deve essere ri¬ solutivo nell’ambito dei loro stessi ordinamenti. Noi non diciamo che la legislazione vigente abbia risoluto il problema, per quanto già con la istituzione della giustizia amministrativa, si sia fatto un passo importante su questa via. Nulla vieta che si possa pensare ad ulteriori perfeziona- t— 345 — menti, ma è chiaro che non è quella di un disegno di legge sui Sindacati la sede adatta a fede scapo. Le esigenze anzi della vita, dello Stato e degli Enti autar¬ chici esigono che- per talune categoria di funzionari e di im¬ piegati ed agenti, sia negata !o stesso diritta di sindacarsi, nuche liberamente. Si tratta delle categorie aventi funzioni di natura polìtica ed essenziali per la vita stessa dello Stato. Giustamente pertanto il 2° comma dell'articolo 11 vieta, sotto pena della destituzione, le associazioni sindacali di ufficiali, sottufficiali e soldati del Regio esercito, della Regia marina, della Regia aeronautica e dogli altri Corpi armati dello Stato, delle provineie e dei comuni; le associazioni di magistrati dei l'ordine giudiziario e amministrativo* di funzionari, im¬ piegali ed e genti dipendenti dai Ministeri dell’interno, degli esteri e delle colonie, S ri ) T Sindacati non legalmente riconosciuti continuano a sussistere come libere associamomi regolate dai diritto co¬ mune e soggette alle generali leggi di polizia, nonché alla vigilanza del prefetto, quando amministrino fondi di spet¬ tanza dei soci, a termini del Regio decreto-legge 24 gen¬ naio 1924, m 64. In tal modo nulla si toglie a ciò che i Sin¬ dacati attuali posseggono e si rispetta quella che si suol chia¬ mare la libertà sindacale. Ma è naturale che il Sindacato legalmente riconosciuto, che è divenuta parto integrante dello Staio, abbia facoltà negate ai Sindacati liberi. Vi è un solo Sindacato legalmente riconosciuto, come vi è un solo comune, una sola provincia, un solo Stato, La moltiplicazione degli Enti pubblici per Peseremo delle identiche funzioni pubbliche, è propria dei tempi di disgregazione e di anarchia, © bisogna risalire al medio evo, per trovare situazioni del genere di quelle che vorrebbero stabilire i fautori non solo della libertà, ma anche d di'eguagli ari za sin d a e a le. Nel primo capo del disegno di legge, oltre che del ricono - sci mento giuridico dei Sindacati, si tratta anche dei contratti collettivi dì lavoro e della loro efficacia giuridica. À questo - B46 argomento è dedicato l^rticolo 10 del disegno di legge., il quale stabilisce che i contratti collettivi di lavoro stipulati dai Sindacati legalmente riconosciuti hanno effetto rispetto a tutti i datori di lavoro, lavoratori, artisti e professionisti della categoria, & cui il contratto collettivo si riferisce, e che essi rappresentano, a nonna delTarticoIo 5. Nei Sindacati misti non si può parlare di contratti collettivi, perchè rassodatone p unica* Si parla invece di norme da stabilirsi dal Sindacato, previo accordo tra lo rappresentanze dei datori di lavoro c quelle dei lavoratori (articolo 10 2 (> comma). Tali nonne hanno lo stesso valore giuridico dei contratti collettivi o li sostitui¬ scono interamente, in modo che tutte le volte che nel disegno di legge si parla di contratti collettivi, nell'espressione debbono essere anche comprese le norme stabilite dai Sindacati misti, previo accordo fra gli interessati. I contratti collettivi devono essere pubblicati, il che è naturale quando si pensi che si tratta dì norme obbligatorie anche per coloro che non vi hanno partecipato, e a cui oc¬ corre dar modo di conoscerle, cosi come si conoscono le leggi e i regolamenti (articolo 10 3° comma). L osservanza del contratti collettivi è disciplinata rigore- sani ente nel disegno di legge. L'articolo 10 ultimo comma stabilisce che i datori di lavoro, ì quali non osservano i contratti collettivi, a cui sono soggetti, sono responsabili ci¬ vilmente dell 1 inadempimento tanto verso l’associ azione dei datori di lavoro, quanto verso quella dei lavoratori, che hanno stipulato il contratto. L per rafforzare la responsabilità dei Sindaca ti, Turbi - colo 5, il quale dà facoltà ad essi di imporre contributi a ca¬ rico di tutti i datori di lavoro e di tutti I lavoratori che rappresentano, vi siano o non vi siano iscritti, stabilisco l'ob¬ bligo, per ciascun Sindacato, di devolvere annualmente al¬ meno il decimo del provento dei contributi alla costituzione di un fondo patrimoniale, destinato appunto a garantire Tadem¬ pimento degli obblighi assunti da esso nei contratti collettivi. — 347 — Il regolamento, a cui l’articolo 5 rinvia, determinerà le norme dell’impiego di questi fondi, che dovranno assicurarne la in¬ tangibilità, affinchè ne sia garantito lo scopo. V. Il 2° capo del disegno di legge è dedicato alla magistra¬ tura del lavoro. Nelle legislazioni straniere, che hanno istituito un organo per la decisione delle controversie in materia di rapporti col¬ lettivi di lavoro, si parla sopratutto di arbitrato obbligatorio. E il termine arbitrato obbligatorio ricorre spesso nelle trat¬ tazione di questo tema, come fosse la forma piu perfetta del- F intervento dello Stato nei conflitti del lavoro. Il disegno di legge invece istituisce addirittura la ma¬ gistratura del lavoro. Come abbiamo già accennato dianzi, l’arbitrato obbligatorio non è che una forma più arretrata e più imperfetta della giustizia di Stato. L’arbitro è qualche cosa di meno del giudice. Esso è scelto dalle parti e rappre¬ senta le parti nel collegio arbitrale. Questa caratteristica dell’arbitrato di essere in tutto o in parte un’emanazione degli interessati ha un grave difetto: quello di dare al giudizio un carattere di transazione e di compromesso, un carattere quasi contrattuale, che ne diminuisce necessariamente l’autorità. Una decisione non è veramente autorevole, e non s’impone alle parti, se non deriva da un organo imparziale, che faccia giustizia, e dia ragione a chi l’ha, non transiga, dando a tutti ragione e a tutti torto. Malvolentieri si ricorre ad un giudizio che fatalmente vi darà in parte torto, e meno che mai si ac¬ cetta volentieri un giudizio, che non sia una sentenza, ma un compromesso. - 348 — Ecco perchè noi abbiamo creduto di dover superare questo stadio intermedio ed imperfetto dell'arbitrato* e giungere som z nitro alla forma più completa e piò precisa della vera giuri¬ sdizione. che non può essere esercitata se non da un magi¬ strato., da un giudice imparziale, non interessato nè diretta- mente nè indirettamente nella controvèrsia. Abbiamo cosi nel disegno di legge consacrato addirittura V istituzione della magistratura del lavoro. Ed un altro passo abbiamo fatto su questa via, affidando la giuri sdizione nelle controversie collettive del lavoro, non già a un giudice speciale, ma al magistrato ordinario, che ha ^abitudine del giudicare, è perfettamente indipendente dal potere esecutivo, ed c lontano da ogni influenza economica e po¬ litica. Anziché creare una giurisdizione speciale, una dello in¬ numerevoli giurisdizioni speciali, die hanno frantumato là nostra organizzazione giudiziaria, e V hanno fatta tornare In¬ dietro di settanta anni, abbiamo affidato la giurisdizione del lavoro alle Corti d’appello, magistratura elevatissima, la cui autorità e il cui prestigio sono indiscussi. L'articolo 13 del disegno di legge pone il principio ; gli articoli li e 15 danno le modalità per Ja costi tua ione del giudice e la procedura del giudizio. La sezione di Corte d'appello, che è destinata a giudicare le controversie collettive del lavoro, viene costituita, non di soli magistrati, ma anche di tecnici, come richiede la natura speciale del giudizio. Ma i tecnici sono unicamente esperti, da scegliersi da un albo formato con le opportune garanzie, non sono rappresentanti dello parti, cioè interessati. L'articolo 15 nelPultimo comma stabilisco anzi espressamente che non possano mai far parte del Collegio giudicante gli iscritti nell'albo, che siano direttamente o indi inettamente iu- teress at i nel la con tre versi a. Sarebbe stato certo desiderabile che la giurisdizione della ( tute d'appello funzionante come magistratura del lavoro fosse stata piena, vale a dire che le parti fossero state in ogni caso obbligate a ricorrervi, in modo che con la semplice citazione. -349 — come avviene in tutti i giudizi civili, fosse legittimamente costituito il giudizio. Purtroppo non si è potuto giungere sen¬ z’altro a questa mèta. Più che veri interessi vi si oppongono pregiudizi e vecchie abitudini mentali, per cui si teme che dal giudizio del magistrato del lavoro possano uscirne sover¬ chiamente gravati i datori di lavoro, specialmente quelli che meno godono di simpatie, e la cui opera è meno apprezzata dalla generalità, come i datori di lavoro industriale. Si è temuto che, in un periodo ancora delicato per la vita del- F industria, fosse imprudente affidare senz’altro la determina¬ zione dei patti di lavoro al magistrato. Forse in queste diffi¬ denze hanno avuto influenza anche preconcetti teorici, tratti dalle dottrine del liberalismo economico. Noi sappiamo perfettamente che questo disegno di legge esce dal quadro dell’economia liberale. Ma il fallimento del¬ l’economia liberale in questa materia è stato così eloquente¬ mente provato dai fatti, che non v’è bisogno d’insistervi. Il fallimento è stato totale ed irrimediabile, perchè, in pieno regime liberale, non era già più la domanda e l’offerta che determinavano le condizioni del lavoro, ma la forza politica delle organizzazioni. Nella pratica le leggi dell’economia libe¬ rale non funzionavano più; valeva invece unicamente la vo¬ lontà del più forte. Non è contestabile che l’equilibrio neces¬ sario alla vita economica può esser molto meglio stabilito dall’intervento di un giudice imparziale. Tanto più che, po¬ sto un freno all’esercizio della forza privata, il libero giuoco della domanda e dell’offerta riprende automaticamente il suo posto e nei casi normali si determina senza ostacoli, dando così al magistrato del lavoro un elemento sicuro di giudizio. Non è del resto la prima volta nella nostra legislazione che si deferisce al magistrato la facoltà di determinare il giusto prezzo delle cose (Codice di commercio art. 38, 60), ovvero, in genere, di stabilire il modo con cui si debbono regolare i rapporti patrimoniali fra privati. Basti ricordare 1 arti¬ colo 544 del Codice civile per cui « sorgendo controversia tra — 350 — i proprietari, a cui l’acqua può essere utile, l J autorità giudi¬ ziaria deve conciliare l'interesse deflagri coltura e dell' indu¬ stria coi riguardi dovuti alla proprietà », e l’articolo 678 Co- dice civile, per cui nella comunione « se non si forma mia mag¬ gio fan za, o se le deliberazioni di essa risultano gravemente pregiudizievoli alla cosa comune, i 1 autor iti giudiziaria può dare gli opportuni provvedimeli ti » m E gli esempi si potreb¬ bero moltiplicare. La verità è che tutti i giorni il magistrato deve, nel suo prudente arbitrio, regolare i rapporti giuridici, perchè le leggi non prevedono tutti i casi, anzi in genere non danno che le linee direttive generali per la risoluzione delle controversie, e nella maggior parte dei giudìzi è il ma¬ gistrato che crea la nonna speciale valevole per il caso con¬ creto. L’esperienza insegna che il magistrato adempie magni¬ ficamente a questo compito, per quanto varia e difficile, dal punto di vista tecnico, sia la materia che gli è sottoposta. Tutti i giorni i nostri tribunali decìdono questioni eli respon¬ sabilità civile, di brevetti, di adempimento di contratti che richiedono cognizioni tecniche non facili, certo piò difficili di quelle che richieda la valutazione della capacità di una industria a dare un determinato salario e della corrispondenza di questo salario alla mercede corrente del lavoro. Malgrado ciò, abbiamo voluto indulgere a questi pregiudizi, sicuri che reperimento, che. si farà della giurisdizione del lavoro li vincerà con la prova eloquente dei fatti, e abbiamo perciò stabilito nell’articolo 13 del disegno di legge che la giurisdi¬ zione della Corte d’appello funzionante come magistratura del lavoro è obbligatoria per tutte le controversie relative all'ap¬ plicazione (lei contratti collettivi esistenti e che, quanto alle controversie relative alla determinazione di nuove condizioni di lavoro, essa sia obbligatoria per le contro ver sie tra datori di lavoro e lavoratori agricoli o tra imprese esercenti servici pubblici o di pubblica necessità e i loro dipendenti, c negli altri casi sìa soltanto facoltativa. Facoltativa, intendiamoci, solo nel senso che, per stabilirla occorre il consenso di am- - 351 - bedue le parti, ma una volta stabilita. Particelo 13 dice esplicitamente che essa diviene obbligatoria, come negli al¬ tri casi. Un problema gravissimo in questa materia è la deter- m inazione dei criteri secondo cui il magistrato del lavoro deve giudicare. Per 1 T interpreta zio rie dei patti esistenti, derivino essi da contratti collettiva di lavoro regolarmente stipulati, ovvero da nonne stabilite da Sindacati misti, ovvero da leggi o da consuetudini, non può esservi questione: valgono le, nonno ordinarie sulla applicazione e l'interpretazione, delle leggi o dei contratti. A questo punto anzi è opportuno notare che, ove un contratto abbia regolato i rapporti collettivi del lavoro, esso deve avere piena esecuzione, a meno che non so ne chieda esplicitamente la revisione, nei casi in cui ciò è ammesso. Invece la questione è assai più ardua nella ipotesi di deter¬ minazione di nuove condizioni del lavoro, sia che si tratti di rapporti già regolati contrattualmente, sia che si tratti di rapporti non regolati. Quando dalla pratica dei contratti collettivi e dalla giurisprudenza del magistrato del lavoro saranno sgorgate quello norme precise, che costituiranno il nuovo diritto del lavoro, a queste norme dovrà attingere il giudice i criteri por la sua decisione. Tali norme oggi non esistono, e allora bisogna pur dare, al magistrato qualche cri¬ terio che lo guidi nella decisione; e nessun criterio, a nostro avviso, può essere migliore di quello dato nell’ articolo 16, ÌI quale si richiama all’equità, fonte di applicazione, ma anche dì creazione del diritto. La magistratura del lavoro si pre¬ senta adunque come una magistratura di equità, esempio non nuovo nel nostro diritto, e non nuovo sopratutto nella stòria degli istituti giuridici. Non occorre ricordare la giurisdizione pel pretore romano, che fu sopratutto giurisdizione di equità, e. da cui sgorgò quel diritto pretorio od onorario, che fu la base del diritto romano e il monumento più insigne della sapienza giuridica di Berna. 1 V — 852 — A meglio determinare e precisare il concetto insito già nella formula « giurisdizione di equità » l’articolo 16 ag¬ giunge che il magistrato del lavoro giudicherà «contempe¬ rando gli interessi dei datori di lavoro con quelli dei lavo¬ ratori e tutelando, in ogni caso, gli interessi superiori della produzione ». Vi è infatti, in questa decisione del magistrato del lavoro, un elemento di interesse pubblico, che esso non può e non deve trascurare, perchè la contesa fra datori di lavoro e lavoratori non interessa i contendenti soltanto, in¬ teressa tutta la collettività nazionale, in quanto tocca l’as¬ setto della produzione. La società e interessata che si produca, e si produca a costi non eccessivi, tali cioè da consentire alla produzione italiana la concorrenza con quella straniera. Li qui l’obbligo fatto al giudice di elevarsi al di sopra della consi¬ derazione del puro interesse delle parti e di tener conto degli interessi superiori della produzione. Di qui la norma del 3° comma dello stesso articolo 16, che impone l’intervento, nel giudizio, del pubblico ministero, rappresentante dell’ in¬ teresse generale, il quale con le sue conclusioni veglierà a che la norma di legge sia scrupolosamente osservata. Le norme circa l’azione giudiziaria e gli effetti della sentenza emessa dal magistrato del lavoro, contenute nell’ar¬ ticolo 17, sono un corollario logico del principiò dell’unicità del Sindacato legalmente riconosciuto, della rappresentanza conferita ad esso di tutti gli interessati, e del valore ri¬ spetto a tutti dei contratti collettivi da esso stipulati. Si stabilisce, pertanto, nell’articolo 17, che l’azione per le controversie relative ai rapporti collettivi del lavoro spetta unicamente ai Sindacati legalmente riconosciuti, ed è fatta valere pure contro i Sindacati legalmente riconosciuti, ove esistano, altrimenti in contraddittorio di un curatore speciale nominato dal presidente della Corte d’appello. Quest’ultima norma intende di provvedere al caso, possibile, che non esi¬ stano Sindacati, contro cui si possa far valere l’azione in giudizio. — 358 Il Sindacato legalmente riconosciuto rappresenta in giu¬ dizio tutti i datori di lavoro e tutti i lavoratori della cate¬ goria, per la quale è costituito, entro i limiti della circoscri¬ zione territoriale che gli è assegnata (art. 17, 3° comma), e per conseguenza, le decisioni emesse in loro confronto fanno stato di fronte a tutti gli interessati. Il che importa necessa¬ riamente la loro pubblicazione, come pure stabilisce l’arti¬ colo 17 ultimo comma. Il disegno di legge si preoccupa altresì di assicurare l’ese¬ cuzione delle sentenze del magistrato del lavoro. Una tale necessità non è sentita in modo particolare per le ordinarie sentenze del giudice, per cui sono sufficienti le norme sull’ese¬ cuzione forzata. Non fu sempre tuttavia così, e l’istituto del¬ l’arresto personale per debiti, da non molto tempo scomparso dalla nostra legislazione (il Codice civile lo regolava ancora negli articoli 2093 e seguenti), dhnostra che, accanto alle norme sull’esecuzione forzata sui beni, si è ritenuto per secoli necessario assicurare l’esecuzione delle sentenze, mediante forme più energiche di costringimento della volontà. Si spiegano così le disposizioni dell’articolo 22, che all’applicazione delle norme ordinarie di legge sulla responsabilità civile e sulla esecuzione forzata, aggiunge la comminatoria di pene contro coloro, che rifiutino di eseguire le decisioni del magistrato del lavoro. VI. L’istituzione della giurisdizione del lavoro porta come conseguenza necessaria il divieto dell’autodifesa. E questo un principio fondamentale del diritto moderno, che il Codice penale consacra, ponendo fra i reati contro l’Amministrazione della giustizia, l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni, e che il Codice civile ribadisce, tutelando il possessore anche contro il proprietario (Codice civile articolo 695). Il divieto dell’autodifesa si estende naturalmente tanto, quanto si estende la giurisdizione del magistrato del lavoro, vale a dire, come stabilisce l’articolo 18, in tutti i casi, in cui quella giurisdizione è, per legge, o è divenuta, per con¬ senso delle parti, obbligatoria. In tali casi la serrata e lo sciopero sono puniti, secondo l’articolo 18, con pena pecuniaria, più grave per i datori di lavoro, meno grave per i lavoratori; alla quale si aggiunge, per i capi, promotori ed organizzatori, la pena restrittiva della libertà personale. Più gravemente, come è naturale, l’articolo 19 punisco lo sciopero nei pubblici servizi, e più gravemente ancora l’ar¬ ticolo 21 lo sciopero politico, che è vera causa di violenza pub¬ blica. L’articolo 20 configura come delitto colposo il fatto dei dipendenti dello Stato o di altri enti pubblici che, in caso di sciopero o di serrata in un servizio pubblico, non facciano quanto è in loro potere per ottenere la ripresa o la regolare continuazione del lavoro; disposizione resa opportuna dagli esempi che la storia di alcuni periodi della vita italiana ci of¬ fre di funzionari, che si fecero, o per malavoglia o per altro motivo, favoreggiatori, se non incitatori di scioperi. VII. Onorevoli deputati. Il presente disegno di legge che, in soli 23 articoli, regola in modo organico e completo una ma¬ teria nuova e che sembrava, per sua natura, ribelle ad una sistemazione, segna un passo gigantesco nella trasformazione dello Stato e nell’organizzazione della Società italiana. Esso — 355 — rappresenta la risoluzione di un problema, che affatica l’uma¬ nità da cento anni. L’interesse degli studiosi e degli uomini di Stato di tutto il mondo è stato destato dal solo annuncio della presentazione di questo disegno di legge, che voi ono¬ revoli deputati, esaminerete, ne siamo certi, con la piena consapevolezza della sua portata, che è immensa, e del suo valore, che è storico. _ 356 — legge sella disciplina giuridica DEI RAPPORTI COLLETTIVI DEL LAVORO. DISCORSO ALLA CAMERA (*) Debbo anzitutto un vivo ringraziamento ai colleglli della Commissione, al relatore ed a tutti gli oratori che mi hanno preceduto. La Commissione ha assolto al suo compito, non solo con diligenza, ma con profonda conoscenza della materia, e col proposito più sincero di contribuire agli intenti di pa¬ cificazione sociale e di restaurazione dello Stato, che hanno mosso il Governo a presentare questa proposta. n relatore onorevole Belloni, a cui mi piace dare un plauso per la bella e chiara relazione, ha illustrato i con¬ cetti fondamentali del disegno di legge in modo che non si poteva desiderare migliore. Questo disegno di legge ha avuto la ventura di consensi pressoché unanimi ed all’estero ha suscitato un interesse così vivo che deve lusingare il nostro amor proprio di italiani. Ancora una volta l’Italia torna ad essere maestra del diritto e faro nel cammino della civiltà. Ma se oggi noi siamo in condizioni di discutere ed appro¬ vare un disegno di legge come questo, ciò avviene perchè il clima storico lo consente. La legge non è che forma; essa non crea i fatti sociali, li regola. Occorre ohe la vita sociale (■*) Pronunciato nella tornata del 10 dicembre 1925. — 357 — 0 ff ra ] a possibilità di una determinata disciplina giuridica perché questa nasca viva e vitale. E pertanto il disegno di legge su! rapporti collcttivi del lavoro oggi e solo oggi può venire dinanzi al Parlamento, perchè oggi soltanto esistono le condizioni sodali e politiche per ima disciplina giuridica ed organica del lavoro. Non bisogna dimenticare che l’opera nostra di legislatori è stata preceduta dalPopera degli orga¬ nizzatori e dei propagandisti: a costoro deve andare la nostra riconoscenza. (Bravo !). L’antecedente logico e necessario del presente disegno dì legge è Raccordo del 2 ottobre stabilito a. Palazzo Tidoni tra la Confederazione dell’industria c la Confederazione delle cor¬ porazioni fasciste. Questo si deve ricordare. E ciò non sol¬ tanto per dare al disegno di legge il valore storico che in- dubbiamente gli spetta, ma anche per determinarne con esat¬ tezza la portata ed i limiti. Questa legge, come tutte le leggi, non ha nulla di asso¬ luto e di definitivo: aggiungo io stesso, non è perfetta. Essa segue faticosamente la ria che percorre il fenomeno sociale che vuol regolare, e come questo, ha le sue incognite e i suoi punti oscuri. — Io che ne sono stato 1’^tensore, sono il primo a ricono¬ scerlo e a confessarlo. Sì, onorevoli colleglli, noi facciamo un grande passo verso la sistemazione dei rapporti sociali, che un secolo e mezzo di evoluzione economica, politica e giu¬ ridica hanno reso necessaria; ma della strada per cui ci in¬ camminiamo noi conosciamo soltanto il primo tratto; nè possiamo dire ancora come si svolgerà in seguito. Nel nostro tentativo, si è detto, vi sono dei rischi. Ma in ogni grande impresa, in ogni iniziativa geniale, e sempre un elemento di rischio. Vi fu rischio nell^affrontare la guerra, vi fu rischio nella marcia su Roma. Ma non è il rischio che può fare indietreggiare il fa¬ scismo! E sopratutto intendiamoci; io nei rischi del nuovo ordinamento non comprendo affatto la possibilità di un ri- — B5S — torno al passato! (Approvazioni ), Vi è, infatti, qualche amico trepidante, il quale approva il disegno di legge ma condì- zìo natamente. Dice: si finché voi siete su quel banco e finche Benito Mussolini tiene il timone dello Stato. Ma, e poi ? Ri¬ spondo subito : il poi non verrà ! ( À.pprovazioni) . Da riforma ha molteplici aspetti, È véramente una di quelle leggi, che più che innovare, sovvertono. Ma in realtà, sovvertono su quello che era tre anni fa, non su quello che è oggi. Noi abbiamo già raggiunto una sistemazione nei rap¬ porti sociali, che è molto slmile, se non vogliamo dire iden¬ tica, a quella che la legge disciplina e consacra. Il nuovo assetto sociale che il fascismo ha realizzato e che il disegno di legge riconosce è in sostanza questo: dare un equilibrio stabile ai rapporti fra le categorie e le classi. Questi rapporti hanno subito nella storia antica e recente molte traversie, molte vicende; io ho cercato nella mia re¬ lazione di delincarne a larghi tratti lo svolgimento storico. Si è detto che nel rappresentare Bassetto dei rapporti so¬ ciali nelFepoca medio evale, sono stato ottimista. Mi si oppone anche: quel periodo è pieno dì lotte sociali ed è funestato da guerre civili e da dir sor dini. È vero; ma i disordini c le lotto sociali dei Medio Evo non erano dovuti all'assetto eco¬ nomico e sociale, bensì alla debolezza dello Stato, all'incer¬ tezza delTassetto politico. Perciò noi vediamo che io stesso sistema corporativo il quale a Firenze era fonte di lotte e di discordie, a Venezia regolava la vita economica garantendo a tutti una perfetta tranquillità, perchè a Venezia vigilava un forte Stato ed un Governo fortissimo. (Apprivazioni Commenti ). L’armonia che, si voglia o non si voglia, esisteva nei rap¬ porti sociali In quell’epoca venne meno coti la fine delle cor¬ porazioni. Questa fine fu dovuta, in parte, alio mutate con¬ dizioni deìFecotiomiu mondiale, conseguenza del sorgere della grande industria, ma In parte, anche, al rivolgimento politico prodotto dalla rivoluzione francese, che portò al Governo dello 359 — Stato la borghesia. Per la borghesia le corporazioni erano un impaccio, perchè ostacolavano l’acquisto da parte sua, della direzione della produzione, che essa riteneva, ed era effettiva¬ mente, necessaria, e del predominio assoluto sulle classi ope¬ raie, che parve ad essa, e forse era in quel momento, indi¬ spensabile. Non si accontentò pertanto la borghesia francese trion¬ fante nella rivoluzione di proclamare la notte del 4 ago¬ sto 1789 la fine delle corporazioni, essa volle ribadire questa abolizione con un divieto perpetuo di ricostituzione e con la legge 14 agosto 1791 vietò tutte le coalizioni sia operaie che padronali, «tutte le associazioni — dice la relazione preposta alla legge - nelle quali gli operai o i padroni si riuniscono per la tutela di loro pretesi interessi». Ma il modo stesso del trionfo della borghesia aveva in sè già racchiusi i germi della debolezza avvenire. La borghesia, che governava in nome della libertà, volle ignorare il fenomeno sindacale. Ma tale ignoranza produsse fatalmente un effetto grave ed inatteso, il giorno che ad essa si aggiunse lo sviluppo smisurato della grande industria e il moltiplicarsi delle masse operaie. L’agnosticismo dello Stato, che restava indifferente da¬ vanti alle miserie dei lavoratori, doveva indurre fatalmente, e condusse alla unione dei lavoratori e alla loro resistenza di¬ retta all’oppressione padronale. Fu questo, il fenomeno che si determinò nella prima metà del secolo XIX. E le organiz¬ zazioni potenti, le quali, in regime di libertà e di suffragio universale fiorirono, crearono ben presto una situazione per¬ fettamente inversa a quella che si era determinata dopo la rivoluzione. La stessa arma che la borghesia aveva imbrandito per affermare il suo dominio, finì per rivolgersi contro di essa e per minacciare non solo questo predominio, ma la stessa esistenza dello Stato. Egli è che l’equilibrio tra le classi, rotto dalla rivoluziono .francese, non era stato più ristabilito; e avvenne perciò che 3fi0 — le alterne vicende della vita economica e politica conducessero prima alla oppressione della classe operaia, poi a quella delle cl ass i capitalis tieh e, Squilibrio, questo, dannoso in sè, ma più ancora nello sue conseguenze politiche. Che da tale flusso o riflusso, da tali lotte incessanti derivò la disgregazione dello Stato, cioè H danno e l’oppressione di tutti. Fu La situazione, esistente in Italia negli anni che precedettero la marcia su Roma, lì fascismo ha avuto questo valore storico: di ristabilire 1 equilibrio fra le classi, di r>orsi fra le classi in una situazione rii arbitro e di moderatore, in modo da impedire che luna sopraffacesse l’altra, e che dalla lotta dell un a contro l’altra derivasse la debolezza dello Stato e la servitù e la miseria dei cittadini. Questo il valore storico del regime fascista nel campo somale, questo il valore storico nel campo so dale dell i legge die discutiamo, la quale non è pertanto legge antiprole fcaria, come non e legge anticapitalistica: è unicamente legge di equilibrio sociale. Ed, in verità, se dovessimo dare un giudizio sulla portata sociale del disegno di legge deducendolo dalla ac¬ coglienza che ad esso è stata fatta dalle varie categorie o dai vari gruppi sociali, noi dovremmo concluderne dio esso è piuttosto favorevole ai lavoratori che ai datori di lavoro, perchè è stato molto più bene accetto: alla classe operaia che non alla classe padronale. (Approvazioni). Perchè io non ho avuto che consensi nel campo dei lavo¬ ratori, consensi di lavoratori oscuri, ì quali hanno sentito veramente una liberazione in queste provvidenze legislative: t i nai m ente e finita la tutela dei demagoghi borghesi sopra i lavoratori; è finito Io sfruttamento politico degli operai. Questo regime è stato accusato di togliere tutte le libertà, ed è quello che restituisce la libertà a tutti. L’accoglienza, che il proletariato ha fatto al disegno di legge è la risposta migliore che noi possiamo dare agli oppo¬ sitori che nell’Àula e fuori llianno tacciata di antiproletaria. — 361 — L’onorevole Graziadei, il quale ha certo preparazione e cultura tali da poter discutere con competenza di questi fe¬ nomeni, ci ha obiettato sopratutto due cose. Ha detto in primo luogo che quando noi andiamo predicando la necessità di tutelare la Nazione contro le esorbitanze della difesa di classe, noi non facciamo in sostanza che un giuoco dialettico, perchè confondiamo la Nazione con la classe borghese, iden¬ tifichiamo gli interessi della Nazione con quelli della classe dominante, e forniamo alla borghesia un altro mezzo di oppressione contro il proletariato. La Nazione, dice l’onorevole Graziadei, come voi la con¬ cepite è pura astrazione. Come la critica moderna ha dimo¬ strato, la realtà non è la Nazione; la realtà sono le classi. È una opinione rispettabile certamente questa, ma non è, onorevole Graziadei, dottrina e pensiero moderno. È il pensiero di Carlo Marx; e non so come l’onorevole Graziadei, che è stato uno dei primi critici di questo pensiero, possa oggi ritornarvi in pieno. Siamo ancora nel campo di quel materialismo storico che la critica moderna ha completamente superato. Vi sono classi certamente, ma non ci sono due classi, ce ne sono molte, infinite. Ci sono, più che classi, categorie; gruppi, i quali si intrecciano continuamente e siffattamente che non possiamo dire dove l’uno cominci e dove 1 altro finisca. Ognuno di noi fa parte contemporaneamente di più classi, e non sempre è facile definire quale è quella che maggiormente determina la sua condizione civile ed economica. Noi intellet¬ tuali, ad esempio, siamo borghesi forse, ma siamo certamente, sopratutto lavoratori. E quindi il rappresentare il mondo e la vita e la storia come un eterno contrasto fra due classi fra loro antagoniste, è fuori della realtà, la quale ci dimostra invece che continui sono gli intrecci delle classi, ma sopra¬ tutto che gli uomini ed i gruppi, nelle loro azioni e nelle loro reazioni, non tanto sono spinti dai loro interessi materiali, quanto dai loro sentimenti, dalle loro idealità, dalla loro con- — 362 cezione della vita e della storia. Tutti questi elementi, essen¬ ziali nella vita dei popoli, il materialismo storico trascura e trascura la dottrina marxista; ecco perchè Marx può con* siderarsi ormai, definitivamente relegato in soffitta. {Ap¬ provazioni) . Vi è poi un’altra obbiezione dell’onorevole Graziadei. Egli ci accusa di contraddizione perchè mentre neghiamo l’auto¬ difesa delle classi, ammettiamo l’autodifesa delle nazioni. Nessuna contraddizione, onorevole Graziadei. Mentre, in¬ fatti, non v’ è alcuna organizzazione superiore alle nazioni, che possa far giustizia alla nazione, vi è una organizzazione superiore alle classi, che può far giustizia fra le classi. Nè basta. Appunto perchè la concorrenza e la lotta è la legge eterna dei rapporti tra le nazioni, la solidarietà deve essere la legge dei rapporti tra le classi nell’interno della nazione. Se, infatti, vi sono ragioni di contrasto fra le categorie, i gruppi e, diciamo pure, le classi, vi è una ragione intima di solidarietà che tutte le riunisce di fronte alle necessità della lotta e della concorrenza mondiale. Le ragioni della solida¬ rietà nazionale sono dunque prevalenti, e devono prevalere. La storia ci insegna che il mondo non è diviso in classi ed in gruppi, i quali in tutti i paesi abbiano interessi omoge¬ nei, ma è diviso in società, che sono organizzate in Stati, i quali sono tra loro in rapporti continui di concorrenza e di lotta per la vita, il dominio e predominio nel mondo. Ciò spiega la solidarietà, che esiste fra le classi di una stessa nazione, e il contrasto perenne che divide le classi di nazioni diverse. Tutta la concezione socialista è profondamente errata, antistorica, e contraria alla realtà, appunto per questo, che essa ammette la solidarietà internazionale delle classi e nega la solidarietà nazionale. Noi rovesciamo i termini del pro¬ blema, quale è stato posto fino ad oggi: alla lotta di classe nella solidarietà internazionale contrapponiamo la solidarietà delle classi nella lotta internazionale. i — 363 — Ed in verità, noi abbiamo, per lungo tempo, assistito alla lotta di classe, scatenata senza limite alFinterno delle Na¬ zioni, e alla predicazione di una pretesa solidarietà interna- nale delle classi, con cui si sarebbe realizzata, contraddizione assurda, la perpetua guerra interna, e la perpetua pace este¬ riore. In verità la teoria e la pratica socialista si risol¬ sero per i paesi poveri, esclusi dallo sfruttamento delle mag¬ giori ricchezze mondiali, nient’altro che in uno strumento di oppressione delle Nazioni più povere da parte delle Nazioni più ricche! Questo è stato praticamente in Italia il sociali¬ smo e il comuniSmo, cioè mezzo di sfruttamento economico e politico del popolo italiano, arma di predominio degli im¬ perialismi stranieri! (. Approvazioni ). E non minore del valore sociale è il valore politico della riforma che il presente disegno di legge realizza. Tutta la storia dell’umanità è piena della lotta tra il principio di organizzazione, rappresentato dallo Stato, ed il principio di disgregazione, rappresentato dagli individui e dai gruppi: anzi la storia dell’umanità e della civiltà non è che la storia di questa grande lotta: quando il principio delPorganizza- zione trionfa, tionfa la civiltà; quando il principio della di¬ sgregazione trionfa, si cade nella barbarie! La legge dei corsi e dei ricorsi storici, divinata dal nostro Giovan Battista Vico, non è altro che un’applicazione di questa legge più generale. Le società sono organismi che hanno un loro ciclo di vita, che nascono, si sviluppano, prosperano, decadono e muoiono; cosi come nascono, crescono, invecchiano e muoiono gli organismi umani. La storia si ripete, ed i cicli storici si ripetono appunto per questo, che la storia dell’umanità non e la storia degli individui, non è la storia dei gruppi o delle categorie o delle classi, è la storia delle Nazioni. E le Nazioni hanno il loro ciclo di vita. Quando prevale il principio dell’organizzazione, si ha lo sviluppo dell’organismo sociale, cioè lo sviluppo della civiltà di un popolo; quando prevale il principio della di¬ sgregazione, si ha la decadenza e la fine della civiltà. — 304 — Ora noi abbiamo assistito al ripetersi di queste fasi nella storia dell'umanità: l’Impero romano ha rappresentato il cul¬ mine della potenza organizzativa dello Stato. La fine doliliu- pero romano ha rappresentato il trionfo della disgregazione, che è durata molti secoli, e che non è ancora del tutto finita; siamo ancora in periodo di assestamento con vicende alterne di consolida mento e di disfa cimento. Dopo il Medio evo abbiamo avuto un periodo di riorga¬ nizzazione dello Stalo, giunto al suo culmine alla fine del setolo dee ini os et timo e ai principi del secolo de rim ottavo. ila il princìpio di disgregazione che domina tutto il Medio evo ha ripreso il sopravvento nella prima fase della rivoluzione francese, è stato sopraffatto dal risorgere del sentimento na¬ zionale nella seconda fase della rivoluzione e durante T Im¬ pero. è ricomparso di nuovo, dopo il crollo di Naploone, sotto la mite veste del liberalismo, invadendo poco a poco tutto l'organismo dello Stato e manifestandosi potentemente nella lotta delle classi c nella disgregatone a cui questa lotta ha dato luogo. Il fascismo inizia il periodo della ricostruzione e dei consolidamento dello Stato: qui è il compito storico del fa¬ scismo, e nel contributo che la predente legge reca alla rico¬ stituzione dello Stato, sta. il suo valore politico, che è grande. Questo disegno di legge, adunque, è una fase importante e decisiva del consolidamento dello Stato. L’Italia ha la glo¬ ria di aprire questo nuovo ciclo della storia deìFum&nità ; e il fascismo ha la gloria di essere Partefiee principale della nuova missione che I Italia si è assunta nel mondo. Nella legge che discutiamo, infatti, ancora, una volta si manifesta Fintima essenza del fascismo: il quale riassume in sè il principio della socialità. Il fascismo, o signori, è socialità, e il trionfo del fascismo è il trionfo del principio dell’organiz¬ zazione sociale. Ecco perchè il fascismo è un principio in sè eterno, contingente solo nelle suo manifestazioni attuali clic sono Italiane, schiettamente italiane. - 365 — La fase di consolidamento dello Stato, che il fascismo ha iniziato e di cui questa legge è uno dei momenti piu deci¬ sivi, si manifesta a noi nelle forme e nei modi, che 1 tempi consentono. . In ciò sta, appunto, l’originalità del nostro movimento; il quale vuol costruire lo Stato forte e far trionfare d prin¬ cipio di organizzazione, non basandosi sul privilegio di pochi, ma sull’inquadramento delle masse e su la loro partecipa¬ zione alla vita dello Stato. Tale necessità il fascismo ha sentito oscuramente un dai primordi della sua esistenza, e tale necessità oggi consacra nella sua legislazione. n Per la prima volta le masse entrano nello Stato e nella Nazione non già tumultuando e malcontente, ma serene Imte del posto che ad esse viene assegnato. Le masse entran nello Stato non per distruggerlo, ma per consolidarlo, per dargli la parte migliore di sè, come lo Stato da ad esse più alta tutela e il più grande riconoscimento. Nel triste periodo che l’Italia ha trascorso Pri-adeHa marcia su Poma e nel quale vivono ancora tonti alta pepo del mondo, per tutelare i loro interessi materiali e morato, non avevano le masse dei lavoratori altro modo anello di rivolgersi ai demagoghi. E i demagoghi si facevano pa gare lautamente i loro servizi. I miglioramenti ed il pià umano trattamento che le masse hanno ottenuto, esse lo hanno pagato ai tori socialisti, materialmente, moramente e P ol " a Per la prima volta oggi con questa legge viene garantita alle masse la tutela a cui hanno diritto la °* teressi materiali e morali, della loro istruzion e deUa loro educazione, senza chiedere ad esse in mezzo e strumento di dominio politico La sottrazione M e masse al governo dei demagoghi, la restituzione adj^a libertà di pensare politicamente come voglion , — 866 — infine della difesa sindacale dalla politica, ecco un altro ri- sultato decisivo di questa legge. Il sindacalismo, che noi consacriamo e riconosciamo e discipliniamo, non ha nulla di sovversivo, nulla di anti-statale, e ciò risponde pienamente alla natura delle cose, perchè in sè il sindacalismo non è nè sovversivo, nè antistatale, nè anti¬ nazionale, è un fenomeno necessario ed eterno, proprio di tutte le società e di tutti i periodi della storia. Non vi è in realtà alcuna ragione perchè al principio sindacale sia necessariamente connesso un determinato sistema politico o peggio un determinato sistema economico-politico come il socialismo. Si può e si deve dunque, e il fascismo l’ha fin dal principio compreso, operare finalmente la se¬ parazione tra sindacalismo e socialismo. Il socialismo ha verso le masse alcuni meriti ed io non voglio disconoscerli; ma ha molti e gravissimi torti, partico¬ larmente verso le masse italiane a cui, facendosi conscio od inconscio strumento degli interessi delle grandi potenze stra¬ niere egemoniche, ha sempre fatto dimenticare che vi è non soltanto un problema interno, ma anche un problema inter¬ nazionale della distribuzione della ricchezza. Eppure il problema della distribuzione internazionale della ricchezza è il solo importante e decisivo per le masse lavo¬ ratrici di un paese povero, come l’Italia. Se, infatti, noi riuscissimo a risolvere, come vogliono i socialisti, il problema della distribuzione interna del reddito nazionale, con la totale soppressione dell’extra-profitto del capitale e la sua attribuzione ai lavoratori, la nuova distri¬ buzione che ne deriverebbe, non aumenterebbe la retribuzione del lavoro che di una piccola percentuale, forse neppure il venti per cento. Le statistiche provano infatti, che, già nel¬ l’ordinamento economico attuale, la massima parte, più del¬ l’ottanta per cento del reddito nazionale, va ai lavoratori, e una piccola parte, meno del venti per cento, va ai capitalisti. Ma m realtà il piccolo vantaggio della diversa distribuzione del — 367 — reddito sarebbe largamente assorbito dal mutamento nella organizzazione della produzione. L’esperienza dimostra, e l’e¬ sempio della Russia è decisivo, che la sostituzione dell’orga¬ nizzazione collettiva all’organizzazione privata della produzione, ha effetti distruttivi. Il processo produttivo viene arrestato. In questa contraddizione tra il valore del risultato e i mezzi adoperati per conseguirlo, sta l’assurdo dei sistemi socialisti. 41 contrario è importante e decisiva per il proletariato di un paese povero, la questione della distribuzione interna¬ zionale della ricchezza. Vi sono paesi, le cui risorse naturali sono tali da consentir loro il godimento di un reddito quattro, cinque dieci volte maggiore di quello italiano. Sono 1 paesi in cui i redditi di tutti! cittadini, ed anche dei lavoratori, sono più volte superiori a quelli dei cittadini, ed anche dei lavoratori italiani. ' . Questo, soltanto questo, è il problema del lavoro in Ita¬ lia, il quale altro non è che un aspetto del problema nazionale italiano. . Aver fatto sistematicamente, con diversivi mutili e dan¬ nosi dimenticare questo problema al proletariato italiano, è la colpa storica del socialismo. Averlo posto chiaramente e nettamente alla coscienza degli operai d’Italia, e il merito indistruttibile del fascismo. (Applausi). _ La risoluzione del problema nazionale italiano sta nella più stretta solidarietà tra le classi e le categorie del popolo italiano. La legge sindacale, che abbiamo presentato, e un passo decisivo su questa via, ciò che equivale a dire sulla via del potenziamento della Nazione italiana nel mondo. Il valore sociale e politico del disegno di legge e dunque immenso. Esso segna la fine di un periodo storico e l’inizio di un altro; il passaggio dalla fase di sviluppo della mo¬ derna civiltà industriale, coi suoi squilibri e i suoi disordini, alla fase di sistemazione, in una armonica ed organica di- sciplina. — 368 — Qualche spiegazione ora std congegno tecnico della nuova legge. Affermo anzitutto, die la riforma ha un carattere totali¬ tario ed organico, che non consente emendamenti sostanziali. L’esperienza fatta all’estero in questa materia, V ho ricor¬ dato nella mia relazione e la Commissione lo ha. ribadito opportunamente, dimostra che le riforme parziali sono desti¬ nate a fallire. Occorre una riforma organica, che comprenda il riconoscimento o la disciplina giuridica dei sindacati, la disciplina dei contratti collettivi di lavoro, l’istituzione di un organo giudiziario per le controversie del lavoro, e infine, 0 divieto dello sciopero e della serrata. Sono quattro punti fondamentali, tutti e quattro necessari, tetti e quattro connessi. Se noi facciamo cadere una sola ma¬ glia di questa catena, cade il tutto. Non possiamo pensare soltanto alla disciplina dei sindacati, o solo alla disciplina dei contratti collettivi del lavoro, o solo alia magistratura del lavoro o solo al divieto dello sciopero e della serrata. Tutto è necessario e tutto è parte essenziale dei sistema. Cominciamo dal primo punto: la disciplina giuridica dei sindacati. Disciplina giuridica dei sindacati non vuol diro soltanto riconoscimene vuol dire tutto un sistema di norme che zie regolano la vita e il funzionamento. H riconoscimento giuridico dei sindacati, che conferisce ad essi la personalità giuridica deve necessariamente, a mio avviso, essere connesso con la unicità dei sindacati. Questa unicità è stata deprecata da molti durante molto tempo, ma e necessaria. Non possiamo concepire ima organizzazione dei rapporti collettivi del lavoro con una molteplicità di sinda¬ cati. Se il sindacato è, conio deve essere, rappresentante della categoria, della classe, ed organo giuridico del suol interessi, deve essere necessariamente unico. Il concepire desistenza di più sindacati esercitanti le identiche funzioni, in concorrenza tra loro, con gli stessi diritti e gli stessi doveri, è residuo di una mentalità arretrata c direi quasi medioevale. Nel me- - 369 — dioevo infatti, cioè in un periodo di disgregazione dello Stato, abbiamo assistito a fenomeni analoghi; coesistevano allora il comune del popolo e il comune della signoria. Ma oggi ci meraviglieremmo di vedere esercitare le funzioni co¬ munali da più comuni nello stesso territorio. Perchè la stessa cosa non deve valere per i sindacati? Se il sindacato è organo di diritto pubblico, non può essere che uno. Al più si può consentire (e siamo stati molto larghi nel farlo) che col sindacato legalmente riconosciuto, possano coesistere altri sindacati come pure associazioni di fatto. Tutto ciò è così semplice che fra qualche tempo ci stu¬ piremo che ci sia voluto tanto sforzo per comprenderlo. È importante sopratutto liberarsi dall’ idea che queste organizzazioni di carattere sociale debbano essere strumento di lotta politica e mezzo di ascensione di uomini e di gruppi politici. Il sindacato di diritto pubblico è invece un organo per sè apolitico. Gli uomini che lo reggono possono avere le loro opinioni politiche, ma il sindacato in sè non ha funzione po¬ litica. Insomma bisogna finalmente operare la separazione fra il sindacalismo e la politica. Anche su questo punto è bene però intendersi chiara¬ mente. Noi vogliamo la separazione tra il sindacato e la poli¬ tica di partito, non già fra il sindacato e il sentimento na¬ zionale o fra il sindacato e il sentimento religioso. Il culto della patria non è politica, è dovere di tutti gli italiani, come il rispetto e la pratica della religione cattolica, che è la religione dello Stato, non è e non deve essere strumento di politica, ma forma e necessità di vita. Il sindacato pertanto collaborerà con lo Stato nell’assol¬ vimento dei suoi doveri etici e sociali, per mantenere vivo il sentimento patriottico e religioso, perfetta la pace sociale, completa la solidarietà nazionale. Io credo che queste mie dichiarazioni soddisferanno l’ono¬ revole Cavazzoni. Sì, onorevole Cavazzoni, tutti i buoni cat- 21 — 370 — tolici potranno entrare nei sindacati legalmente riconosciuti, se saranno contemporaneamente buoni italiani. Essi non solo non vi troveranno nulla che possa repugnare alla loro co¬ scienza religiosa, vi troveranno, al contrario, l’ambiente piu adatto per la realizzazione di quegli ideali religiosi e sociali che la Chiesa cattolica propugna. Quanto alla struttura dei sindacati, nel disegno di legge, che il presidente del Consiglio ed io abbiamo avuto l’onore di presentare alla Camera, si faceva una espressa menzione dei sindacati misti, senza renderli in qualunque modo ob¬ bligatori, ma prevendendone la possibilità; la Commissione parlamentare ha creduto che questa menzione fosse superflua. Non ho difficoltà a consentire la soppressione, ma ciò non importa, lo dichiaro espressamente, esclusione dei sinda¬ cati misti. Il silenzio della legge non significa divieto; significa soltanto constatazione della realtà attuale, che an¬ cora non conosce questo tipo di sindacato. So bene che contro i sindacati così detti misti vi sono pregiudizi di ordine internazionale, ai quali, però, noi non possiamo certamente inchinarci; la legislazione internazionale è stata dominata dai principi della lotta classista, che siamo lieti di aver superato in Italia. Personalmente dichiaro che ho molta simpatia per i sin¬ dacati misti, e credo che in essi non vi sia alcun pericolo, ma molti vantaggi; sopratutto vantaggi di indole psicologica grandissimi, fra cui quello di rendere evidente l’intima soli¬ darietà che lega tutti i fattori della produzione. Perchè que¬ sto dobbiamo far comprendere a tutti, non solamente operai, ma anche industriali: che vi è una solidarietà assoluta fra 1 fattori della produzione, nel momento decisivo della vita economica, che è quello della produzione. Se nel momento della distribuzione sorgono contrasti, questi si possono risol¬ vere tanto più facilmente, quanto più profondo e vivo è lo spirito di solidarietà stabilito fra i fattori della produzione nel momento della produzione. — 371 — Poche osservazioni a proposito dei sindacati di dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici. Meditatamente il disegno di legge non si occupa dei Sindacati di dipendenti dello Stato, anzi dichiara che questi Sindacati non possono essere legalmente riconosciuti, e che in taluni casi gravi (quando si tratta degli organi più delicati, partecipi delPesercizio della sovranità), sono proibiti. E si comorende. Lo Stato può considerare necessarie le organizza¬ zioni su basi eguali e in perfetta parità di condizioni, fra gli industriali, i produttori, gli imprenditori, gli operai e gli altri lavoratori, perchè i rapporti fra gli uni e gli altri sono essenzialmente di diritto privato, sono rapporti fra eguali. I rapporti invece tra lo Stato e i suoi dipendenti sono di natura ben differente, non soltanto perchè lo Stato non si può porre allo stesso livello del cittadino che assume come suo funzionario o impiegato, ma anche per ragioni di natura etica e giuridica molto delicate. Infatti, mentre il privato nell’organizzare la sua azienda e nel trattare i propri dipen¬ denti, non ha giuridicamente obbligo di attenersi ad altro criterio che a quello del proprio interesse, lo Stato e gli altri enti pubblici, in quanto sono organismi etici, devono fare giustizia ai loro dipendenti. Ciò è tanto vero che, nel seno stesso dell*Amministrazione dello Stato e degli altri enti pubblici, sono stati creati orga¬ nismi per fare giustizia ai pubblici funzionari impiegati ed agenti; e tutta la legislazione delPultimo quarantennio in¬ torno alla giustizia amministrativa, con la conseguente costi¬ tuzione di speciali organi giurisdizionali, come la Giunta provinciale amministrativa, e la quarta Sezione del Consiglio di Stato, sono altrettante manifestazioni di questa peculiare esigenza della vita dello Stato, che lo Stato italiano ha pie¬ namente compreso e in parte soddisfatto. Dico in parte, perchè la legislazione italiana in materia di giustizia amministrativa, benché molto progredita, non è - 372 certo ancora perfette, e Qualche cosa c’è ancora da fare per rendere completa giustizia ni dipendenti delio Stato e degli altri enti pubblici. Io sono pienamente di questo avviso, ma non est ine locus. Occorre in altri termini ricordare che La disciplina dei rapporti tra Io Stato e gli altri enti pubblici e i loro dipendenti non può che far parte dello stesso ordi¬ namento dello Stato. Sono norme interne di organizzazione dello Stato e degli altri enti pubi dici, È in quella sede eh© il problema dei rapporti tra io S a o o i suoi dipendenti deve trovare la soluzione* La Commissione ha proposto dì intro¬ durre nel disegno di legge un emendamento cui quale si riserva ad un’altra legge, la disciplina ulteriore di tali rapporti. In questo senso e con questi Untiti io credo che Tem end a mento si possa accettar e. Come funziona, e cori quali garanzie, con quali controlli il Sindacato legalmente ii ono> iute: è questo l’ultimo punto della disciplina dei Sindacati, su cui devo intrattenere la Camera. 11 Sindacato deve necessariamente essere sottoposto al controllo dello Stato. Il Sindacato è un organo dello Stato, partecipa a funzioni dello Stato ed esercita perfino diritti inerenti alla sovranità, come quello di stabilire e percepire coattivamente imposte. Come si può concepire che un organo, il quale rappresenta non solo coloro, che vi sono iscritti, ma tutta la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, per cui è costituito; che stipula contratti collettivi per tutti gli ap¬ partenenti alla categoria, siano o non siano iscritti; che impone contributi anche a coloro i quali non ne fanno parte, si possa sottrarre al controllo dello Stato ? L’onorevole Laudilo ha censurato questo controllo e V ha trovato eccessivo e impaceiante. Il controllo è quello che oc¬ corre ed è limitato allo stretto necessario. Esso riguarda il riro- noseimento giuridico, la approvazione dello Statuto, la ratifica della nomina di taluni dirigenti, il bilancio, la possibilità di scioglimento delle amministrazioni. Ma si tratta, onorevoli - 373 — cóHegMt di creare una serie di organismi i quali amministre¬ ranno annualmente una somma che io valuto da 300 a 400 milioni di lire. Lo Stato non può nè moralmente, nè politi¬ camente rinunziare neanche ad un millesimo del controllo stabilito dal disegno di legge. Lo Stato non può ammettere, e Io Stato fascista meno che mai, che si costituiscano Stati nello Stato. L'organizzazione dei sindacati deve essere un mezzo per disei pi inare i sindacati, non un mezzo per creare organismi potenti eJ in controllati., che possano sovrastare lo Stato. (Applausi). Sulla disciplina, giuridica dei contratti collettivi vi è ben poco da dire. Il disegno di legge rappresenta un grande progresso sullo stato di cose esistente. Esso ammette reifica¬ rla del contratto collettivo di fronte a tutti gli interessati, siano o non sitato iscritti al sindacato. Si risolve cosi Palmosa questione del valore dei contratti collettivi, e si risolve in modo soddisfacente por la tutela delle classi lavoratrici. Il contratto collettivo, reso cosi efficace per la sua esten¬ sione, diviene efficace anche per la sicurezza della sua, appli¬ cazione. Perchè la legge impone ai sindacati di devolvere un decimo dello loro entrate alla costituzione di un fondo de¬ stinato a garantire l'esatto adempimento delle obbligazioni del sindacato. E vengo all 5 ultimo punto, che è quello su cui la discus¬ sione è stata piu vivace, la magistratura del lavoro. Non ripeterò ciò che ho dotto nella mia relazione. Per giungere definitivamente alla soluzione integrale del pro¬ blema delia giustizia nei rapporti del lavoro, non è suffi¬ ciente l'arbitrato obbligatorio, ma occórre la magistratura del lavoro, cioè la vera e propria giurisdizione. Credo che su questo punto non vi sia. stato dissenso apprezzabile. Invece un dissenso piuttosto grave si è manife¬ stato sul carattere e i limiti della giurisdizione della magi¬ stratura del lavoro. Il disegno di legge stabilisco ohe la giu¬ risdizione del magistrato del lavoro sia in ogni caso obbliga- — 874 — ioria t quando si tratti di applicazione dei contratti collettivi, qualunque sia la categoria di datori di lavoro o di lavoratori, a cui si riferiscono. Ti disegno di legge stabilisce ancora e ho la giurisdizione del magistrato del lavoro sia obbligatoria, anche nella formulazióne di nuovi patti di lavoro, quando si tratta di vertenze fra imprenditori di servizi pubblici o di pubblica necessità e i loro dipendenti, e quando si tratta dì vertenze fra proprietari o affittuari — in genere datori di Lavori aglieoli — e 1 loro dipendenti. Dimodoché dalla obbligatorietà della, giurisdizione del ma¬ gistrato del lavoro per la formazione dei nuovi patti sarebbero escluse V industria manifatturiera e quella commerciale. Questo stabilisce il progetto di legge. Io ho esposto nella relazione i motivi che potevano giu¬ stificare il trattamento parli.olsra fatto alFindustria io con¬ fronto della agricoltura. Se io dicessi che sono entusiasta della disonni in azione dirci cosa non rispondente a verità. (Commenti), Ma bisogna, quando si fanno le leggi, non soltanto tener presenti lo aspirazioni ideali e dottrinali bensì anche certe necessità contingenti. Ora, la diversità di trattamento fatta all'agricoltura e all 1 industria, ha qualche giustificazione. L’agricoltura, è un 1 industria, necessaria perchè essa è veramente essenziale alla vita della Nazione. Una sospensione del lavoro agricolo anche per brevissimo periodo, costituirebbe una vera iattura nazionale! Vi è poi la maggiore importanza della classe agricola, dovuta al suo maggior numero (essa rappresenta i nove de¬ cimi della popolazione) e al suo più grande valore politico. Già il Capo del Governo, notò la parte preponderante che il ceto agricolo ha nel fenomeno fascista, che esso definì essen¬ zialmente rurale. 1/ ingresso delle classi agricole nella vita politica, è un fatto decisivo della vita Italiana, Il merito del quale deve — 375 — riconoscersi alla guerra e al fascismo. Le classi agricole sono pertanto maturo per un esperimento sociale, come quello delia giurisdizione obbligatoria del magistrato del lavoro. Lo classi industriali, che non parteciparono al travaglio della guerra, che piu sì tennero lontane dalla rinascita fascista, si trovano in una condiziono di minor preparazione spirituale. D'altro canto, non si deve disconoscere, che la produzione Industriale non è una produzione di prima necessità come quella agricola; ed infine che essa in questo momento, si dibatte in difficoltà molto gravi, dovute a varie cause, ma sopratutto alla continua osci! la zio ne dei prezzi e dei costi. E allora noi abbiamo pensato che potesse in via transi¬ toria attendersi, prima di dichiarare obbligatoria per l’indu¬ stria la giurisdizione del magistrato del lavoro. Sarà attesa, credo, non molto lunga, che i fatti stessi si incaricheranno di abbreviare. Porche è naturale che, creata la giurisdizione della magistratura de) invero per l'applicazione dei patti esi¬ stenti, irresistibilmente la sua autorità si estenderà anche alle questioni che riguardano le nuove condizioni dei lavoro, e IV'seni pio magnifico dell’industria agricola, io sono certo, non sarà senza frutto anche per le classi industriali. {Ap¬ plausi — Commendi)* Onorevoli colleglli, questa legge, che voi vi preparate ad approvare, non è e non può e non vuole essere una legge completa. Essa si limita a stabilire punti fondamentali, apre una. via che sarà percorsa in seguito. Meditatamente noi non abbiamo voluto scendere in particolari^ ci siamo limitati a stabilire solo t pilastri della nuova organizzazione; il che ci ha consentito di fare una legge, la quale è elastica al massimo grado* Quello clic vi presentiamo è un edificio, dì cui le grandi Linee, i. muri maestri, sono al completo, ma in cui i partico¬ lari e gii accessori non sono ancora costruiti. Tutti gli adat¬ tamenti che l’esperienza rivelerà necessari sono dunque pos- — 376 — sibili. Al contrario di quanto si è detto, questa è una leggo thè lascia affli sviluppi futuri del sindacalismo piena libertà. Qualcuno di tali sviluppi si può fin da ogre-i delincare. Il sindacato, die fino a ieri non e stato clic un gretto stru¬ menta della lotta di classe e un tutore degli interessi mate¬ riali immediati, sia dei lavoratori sia degli imprenditori, diven- rera qualdie cosa di. più alto, di più bello e di piu nobile. A esso saranno affidati altri incarichi e altre funzioni, l'istruzione professionale, specialmente quella delle classi o- peraic, l’assistenza, l’educazione, la. previdenza od anche qual¬ che compito ulteriore di natura più delicata e difficile. Forse il sindacato si prepara ad aprirò nuove vie all’azione dello Stato* Lo Stato li a avuto talvolta, per certe sue necessità con¬ tinenti, specialmente in tempo di guerra, bisogno dì assumere 1 unzioni di carattere economico, I/espe rimonte è stato disa¬ stroso* E ciò non tanto perchè Io Stato sia per sua natura incapace di esercitare funzioni di organizzazione produttiva, quanto per la sua impreparazione tecnica. Quelle funzioni di carattere economico sono state affidate a burocrati presuntuosi e qualche volta ignoranti, sempre inesperti. (Approvazioni). Tanto ciò è vero che alcune funzioni di natura economica, che Io Stato esercita da molto tempo, m modo da esservi tecnicamente preparato, hanno oramai una conveniente si¬ stemazione. Valga per tutti Fesempio del monopolio dei ta¬ bacchi e delPeaereizio di Stato delle ferrovie. Ciò vuol dire che quando gli organi tecnici vi sono, la gestione dello Stato, se pure nou è Fidente, è capace di dare utili risultati. Or¬ bene, può venire il giorno in cui la Nazione sia di nuovo chiamata ad. organizzarsi unitariamente per un grande sforzo. Quel giorno i sindacati ci daranno gli nomini tecnicamente preparati. Ecco, dunque, un altro grande compito dei sin¬ dacati. Nè basta. Col nuovo ordinamento sindacale noi creiamo un focolare nuovo di attività e di vita nel seno della Nazione* — 377 — Attività fruttuosa e concreta, che allontanerà molli uomini intelligenti e capaci dalle lotte infeconde della politica par- tigiana. Nò è di pmo momento la possibilità die ora, c soltanto ora si apre, di costituire la rappresentanza politica dei sin¬ dacati. Rappresentanza che non sarà gretta tutela di inte¬ ressi particolari, ma mezzo di espressione di quelle capacità tecniche, che sono sì necessarie al buon funzionamento delle assembleo legislative* Debbo dire in ultimo qualche cosa dei rapporti tra ^or¬ dinamento sindacale, contenuto in questo disegno di leggo, e rordinamento corporativo, da taluno vagheggiato. Mei concetto dell'ordinamento corporativo tutti i citta¬ dini sono inquadrati secondo la professione che essi esercitano, di modo che si orca una organizzazione rigida e schematica senza alcuna possibilità di libero sviluppo. Noi crediamo che un simile artificiale inquadramento di tutta la popolazione non risponda allo condizioni attuali delia vita italiana. Meglio è partire da un dato di fatto esi¬ stente, dalla realtà, cioè dai sindacati; noi questa realtà svi¬ luppiamo, diamo ad essa nuovi aspetti, e creiamo i sindacati legalmente riconosciuti: se la vita dei sindacati diventerà cosi rigogliosa come crediamo, in modo che tutti coloro che sono degni di entrarvi vi appartengano effettivamente, ne risulterà un sistema die si avvicinerà al corporativo; ma se ne distinguerà sempre per un elemento essenziale* I membri dei sindacate, che avranno la direzione della vita economica del Paese e regoleranno i rapporti fra le classi, debbono infatti in ogni caso costituire ima élite di persone capaci, consapevoli, di sicura fede nazionale. II giorno in cui tutti i datori di lavoro, tutti i lavoratori italiani &- vranno questa capacità, questa consapevolezza e questa fede, allora, ni a solo allora, il sindacato diverrà, automaticamente , corporazione. 378 Onorévoli colleglli, io con chiudo. II fascismo doveva final¬ mente risòlverò la Questiono sodàle, e disciplinare il sindaca.- lisine. Era questo un impegno d’onore, che il fascismo aveva assunto per le sue stesse origini. Non è forse ancora il mo¬ mento di fare la storia interiore di quel complesso movimento politico e sociale die si chiama fascismo; ma certo, uno de¬ gli elementi fondamentali della nascita e dello sviluppo del fascismo è stato il movimento sindacale. Consentitemi a questo proposito, onorevoli colleglli, un ricordo personale. Già da molti anni io ho affermato la mia fede nel sindacalismo nazionale, strumento di pacificazione tra le classi, riconosciuto e controllato dallo Stato. In un discorso per la in agur azione dell’anno accademico all’Università di Padova, che tenni nel novèmbre 1920 , io ho affermato molte cose che oggi sono realtà e questo, fra Pal- tro. che rappresenta la sintesi di quella mia orazione, tua può essere anche la conclusione del presente discorso. -, Malgrado la gravità dei tempi e la crisi politica e sociale eh tutti ci turba, io ho fede nelFavvenire dello Stato, Lo Stato è la so¬ cietà stessa in quanto si organizza, cioè in quanto esiste c vive, perchè Forganizzazionè è la vita. Aver fede neH’awe- nire dello Stato è dunque aver fede nell’avvenire della so- ci età civile* è aver fede nell Avvenire della civiltà. Non si può credere che la moderna civiltà industriale debba essere eterna. Altre civiltà forse superiori, quella greco-rotm ami, quella egiziana, quella assiro-babilonese crollarono e crol¬ lerà fatalmente anche questa, perchè nulla vi è dì perpetuo a! mondo; ma se pensiamo che quelle civiltà durarono mil¬ lenni e questa è appena ni principio perchè sorta nel quin¬ dicesimo e sedicelimo se olo, con la fine dell’anarchia medioe¬ vale c il rinascimento delle arti e delle scienze, non possiamo immaginare che dopo pochi secoli sia già destinata a perire. Lo Stato dunque, dobbiamo averne fede, riprenderà nelle sue mani questo compito essenziale per assicurare come deve - 379 - la pace interiore. Quel giorno soltanto la civiltà moderna avrà superato la terribile crisi che la minaccia oggi nella sua stessa esistenza ». Onorevoli colleghi, quella fede è diventata volontà, quella volontà è diventata fatto, il fatto e diventato storia; rendia¬ mone merito al fascismo che è la storia stessa di questi ultimi tempi! (Applausi vivissimi e prolungati — Moltissimi deputati si congratulano con Vonorevole ministro ). - 380 — LEGGE SELLA DISCIPLINA POLITICA DEI RAPPORTI COLLETTIVI DEL LAVORO. DISCORSO AL SECATO (*) Onorevoli senatori questo disegno di legge ha avuto doppia fortuna: quella di raccogliere il consenso quasi una¬ nime del Senato e quella di trovare nell'Ufficio centrale e nel suo autorevole relatore un'illustrazione che non poteva de¬ siderarsi migliore* La relaziono del senatore Sehanzer con¬ tiene infatti una spiegazione precisa degli intenti clic mos¬ sero il Governo nel presentare le riforme e una interpreta¬ zione esatta delle norme giuridiche in cui la riforma è stata concretata. La relazione è pertanto il primo e piu organico commento del disegno di legge; essa resterà un documento di cui nessuno che si occuperà di questa materia potrà fare a meno; e anche la discussione che nel Senato è avvenuta mi è stata di grande conforto, perchè essa ha dimostrato che tutta la struttura organica del disegno di legge è stata perfetta¬ mente co ni presa, non solo, ma è approvata dal Senato* I discorsi dei senatori B eviene., Lanari, Zappi, Sode- rini t Chimienti e Passerini sono contributi importanti all illu¬ strazione del disegno di legge e anche il discorso de! senatore Loria, pure attraverso alcune critiche di cui mi occuperò tra breve, costituisce una adesione a certi concetti fondamentali {*) Pronunziato nella tornata dell 5 11 marzo 1G2G. - 381 - ilei disegno di legge della, quale io prendo atio con soddisfa¬ zione. Come è stato ben notato in questa aula il disegno di legge è prova della continuità del pensiero fascista, perchè l’idea di una sistemazione giuridica dei rapporti tra capi¬ tale e lavoro, di un inquadramento del sindacalismo nello Stalo era già nel programma fascista del novembre 1921; e no:i poteva essere diversamente perchè il movimento fascista è nato Spontaneo movimento di masso e non poteva non farsi energico ed equo tutore degli interessi delle classi lavoratrici. 71 valore di questo disegno di legge è pertanto triplice; politico, giuridico, e sociale. Dal punto di vista politico il disegno di legge rappresenta. la fine di un’èra cioè dell’agno¬ sticismo statali in materia dei conflitti del lavoro. Esso se¬ gna iti diritto, come già era avvenuto in fatto, il fallimento del metodo liberale; è stato rilevato giustamente e specialmente diti senatore Tanari. il quale no ha fatto personale esperienza, l’errore del li borali- me, che dava alle masse la libertà di muo¬ versi senza limiti, ma I abbandonava poi contemporaneamente allo sfruttamento padronale da una parte, allo sfruttamento demagogico degli organizzatoli socialisti, dall altra. Egual¬ mente queste legge sogna il fallimento del metodo democra¬ tico. Essa fa entrare finalmente le massa nella vita dello Stato; ma non alla maniera imperfetta e falsa della democrazia. La democrazia dava alle masse il voto, poneva quindi pratica- mente nelle loro mani le sorti dello Stato; ma le teneva fuori dello Stato, perchè le abbandonava allo sfruttamento politico. Non era tuia maniera efficace e sana di far partecipare le masse alla vite dello Stato, quella di dare ad esse un’arma for¬ midabile, senza avvicinarsi ad esse, senza comprenderle e senza tutelare i loro interessi, economici e morali. Il fascismo ha evitato i due errori; non già comprimendo le masse lavoratrici, distruggendo le loro conquiste od impe dendo ad esse di ottenerne di nuove, ma facendole entrare m pieno nella vita della Nazione e dello Stato, dando ad ease il senso della solidarietà nazionale, facendo ad esse compren- — 382 — dere che se il contrasto d’interessi fra le categorie è insoppri¬ mibile nel momento della distribuzione della ricchezza, invece è altrettanto insopprimibile la solidarietà fra le categorie nel momento della produzione. Il che è essenziale in un paese come il nostro che si trova in tanta condizione di inferiorità di fronte agli altri popoli, più fortunati. Il fascismo ha fatto comprendere alle classi operaie quanto fosse stolta quella conce¬ zione, per cui si pretendeva di scatenare nell’interno della Nazione una perpetua lotta, e di realizzare contemporanea¬ mente mori della Nazione la pace perpetua. Alle masse il fascismo ha mostrato che il segreto della loro salvezza e della loro prosperità, sta nella sempre più intima solidarietà all’interno della Nazione. ® finito ormai il tempo in cui lo Stato permetteva che nell’interno stesso dei suoi ordinamenti si creassero le forze destinate a combatterlo: tutte le forze che esistono nel paese devono essere dominate dallo Stato, il quale si deve porre so¬ pra cii esse come sovrano eid arbitro. Pertanto noi consideriamo questo disegno di legge come conclusivo di una fase della vita dello Stato; con esso si realizza la consolidazione dello Stato e il passaggio dallo Stato liberale democratico allo Stato nazionale. Giuridicamente non è minore l’importanza del disegno di legge. Esso chiude l’èra della autodifesa di classe, la quale da taluni è stata definita una necessità naturale. Ma se noi consideriamo l’evoluzione giuridica dell’umanità vediamo che vi furono epoche nelle quali anche i conflitti individuali si risolvevano con la forza individuale. In quell’epoca sem¬ brava fatale lo stato di guerra perpetua in cui la umanità vi¬ veva. Eppure quel periodo fu superato e lo Stato faticosamente si è affermato nei confronti degli individui e dei gruppi fa¬ miliari e ha cominciato prima a interporsi come paciere, poi come arbitro ed infine ha imposto la giurisdizione dei suoi giudici. A questo punto l’auto-difesa individuale divenne il¬ lecita e fu punita come un delitto. — 363 — Ed in verità, noi abbiamo, per lungo tempo, assistito alla lotta di classe, scatenata senza limite all interno delle Na¬ zioni, e alla predicazione di una pretesa solidarietà ìnterna- nale delle classi, con cui si sarebbe realizzata, contraddizione assurda, la perpetua guerra interna, e la perpetua pace este¬ riore. In verità la teoria e la pratica socialista si risol¬ sero per i paesi poveri, esclusi dallo sfruttamento delle mag¬ giori ricchezze mondiali, nient’altro che in uno strumen di oppressione delle Nazioni più povere da parte delle Nazioni più ricche! Questo è stato praticamente in Italia il socia 1 - smo e il comuniSmo, cioè mezzo di sfruttamento economico e politico del popolo italiano, arma di predominio degli im¬ perialismi stranieri! ( Approvazioni ). E non minore del valore sociale è il valore politico della riforma che il presente disegno di legge realizza. . u a la storia «'umanità è pian, dalla loti, tra d pnna.p.o d organizzazione, r.ppreaont.to dallo Stato, ad il pimap» diserogazione, rappraamt.to dagli individui a da. gruppi anzi la .storia dall'um.mtà « dalla «iviltà non a * 1* « »“ di questa grande lotta: ««andò il princp.o Mw»«- .ione trionfa, ti.nl. la «viltà: q.and. d P™«P» *"** .gregario,,, trionfa, .1 «ad. «.Ha barbar,. La l« d« co» a dai ricorsi storiai, divinata dal «atro G,.v.,, ***** non è altro ah, nn'.pplioazio.. idi ,««t. tati» P>»« La società «no organismi aha hanno «n oro " *' * naacono, si .«tappano, p«,.per.»o, decadono a C invecchiano e muoiono gli organismi come nascono, crescono, in gi ripeton0 appunto umani. La storia si ripete, e , , , de°li , , dell’umanità non e la scoria ae„i per questo, che a sten o delle categorie o delle individui, non e la stor E le Nazioni han no il loro classi, e la stona u dell’organizzazione, ciclo di vita. Quando prei avi . , sviluppo della . , , ., tipi l’organismo sociale, cioè io sviluppo ucuraziono di classe e la giurisdMone di Stato alla autodifesa di classe* piò meravigliare a prima vista che tanto calore di discus¬ sioni e di critiche si sia invece concentrato su quella, cho in fondo non era che la premessa della riforma, cioè sul pro- blema organizzativo. Ma si deve considerare che, in realtà. La riforma operata dal Governo fascista con la legge 3 aprile 1926. se fondamentalmente mira a risolvere il problema della lotta di classe mediante la collaborazione degli interessi e l’intervento della giustizia di Stato, contiene però in germe anche un'altra riforma, quella dell’organizzazione della .so¬ cietà italiana a base professionale* Non vi è dubbio che del due problemi affrontati dalla legge 3 aprile 1926 il più urgente era appunto quello che ne costituiva reggette principale: lussi curazie ne della pace so¬ ciale mediante la eliminazione dell'autodifesa di classe. Più urgente in realtà nel campo legislativo che nel campo pra¬ tico, porche se la legislazione italiana anteriore alia legge, ispirata tutta ai principi dell'agnosticismo liberale, lasciava giuridicamente libero il campo alla più. violenta c disordinata autodifesa di classe, reputata perfettamente lecita e legittima, dopo l'avvento del fascismo e dopo la diffusione e il consoli¬ damento elei sindacalismo nazionale, avvenuta per merito degli organizzatori fascisti, e specialmente dell’onorevole Rossoni, L'autodifésa di classe, nelle sue forme più Iricomposte ed anar¬ chiche* era di fatto cessata, e vi si era sostituito quasi do¬ vunque e quasi sempre il regime degli accordi, cioè della collaborazione. Il progresso era stato anzi tale in questo campo, che negli ultimi tempi si può dire che gli scioperi e le serrate fossero divenuti un cattivo ricordo degli anni tristi delFa narrili a. Dal punto di vista pratico, per tanto, il problema del- bel ir ni nazione dell’autodifesa di classe poteva anche apparire già risoluto. Si trattava, è vero, di un puro stato di fatto, connesso alle contingenze del momento pò litico e perciò stesso A è — 405 — instabile, bisognoso quindi di un toc .solidamente) legale e di una disciplina giuridica capace di rondarlo definitivo e indi- pendente dalla buona volontà dogli uomini. Ma suL terreno dei fatti in verità non vi era più questione: Fepoeà dell'autodi¬ fesa di classò appariva in Italia superata. Invece si apriva proprio in questo periodo un altro prò- ùlema: quello dell Organizzazione legalo delle classi produt¬ trici e della loro partecipazione, come tali, alla vita dello Stato. Problema questo che nè il liberalismo, nè la democrazia, nò lo stesso socialismo avevano mai posto, sembrando ad essi sufficiente il regime del suffragio universale indifferenziato, introdotto dalla rivoluzione francese, e ormai accolto senza contrasto in tutto il mondo civile. In verità, il sistema democratico dell'atomismo suffragi¬ sti co, che ignorava il produttore e conosceva solo il citta- dino. attribuendo a ciascun uomo come tale tutti i diritti, e livellando perciò tutti gli uomini sotto il commi denominatore del cittadino, se aveva potuto in uri primo momento servire a distruggere un 'organizzazione sociale e politica, come era quella del secolo XVTIT, sorpassata dalla evoluzione sociale ed econo¬ mica «lei tempo, non aveva avuto nessuna virtù ricostruttrice. Esso partiva da una concezione fondamentalmente erronea della v ita sociale, che disconosceva la natura organica della società, le differenze necessarie tra gli uomini, il loro diverso valore e la diversità dello funzioni a ciascuno affidato ne] complesso e multiforme meccanismo della vita sociale. Il giorno, in cui il sistema era stato condotto alle sue estremo conseguenze c aveva prodotto gli estremi danni, min arciandò di travolgere in una universale anarchia tutta la moderna ci¬ viltà, il problema di una riorganizzazione della società e dello Stato, non più sulla base deiEa tomismo individualistico della filosofia della rivoluzione francese, ma sulla base di una visione organica della società, si poneva nettamento. E, ri¬ stabilito oramai lordine sociale turbato da una lotta in com¬ posta durata cento anni, incominciava la fase della rieostitu- — 406 — rione dello stesso assetto sociale, con i suoi immancabili ri¬ flessi salpasse t-to politico dello Stato, "Putto ciò spiega a sufficienza come Pinteresse più grande della riforma realizzata con la legge 3 aprile 1926 si sia con¬ centrato sulla nuova organizzazione delle forze produttive, e come le piu Importanti discussioni, a cui abbia dato luogo il regolamento di attuazione della legge, si siano svolte appunto intorno alle disposizioni che disciplinano tale organizzazione. Il regolamento ha affrontato infatti anche il problema or¬ ganizzativo. Esso non poteva dimenticare la ragione fondamen¬ tale che determinò la leggo 3 aprile 1926, nè lo scopo essen¬ ziale che essa si proponeva: la fine dell'autodifesa di classo e la risoluzione pacìfica dei conflitti dei lavoro. Ma il regola¬ mento ha tenuto conto altresi dell'altro problema, la cui ri¬ soluzione costituisce tuttora un punto fondami ri tale della si¬ stemazione fascista della società e dello Stato: la organiz¬ zazione delle forze sociali dal punto di vista delle loro tun zio ni, e la loro inserzione nello Stato, Questo secondo pro¬ blema non è stato risoluto totalmente dal regolamento, nè lo poteva; nm è stato affrontato, od in parte anche «ri¬ soluto, se pure i principi posti in questa materia abbiano bisogno di ulteriori svolgimenti e di piu ampie applicazioni. Sarà questo il compito di altre provvidenze legislative: la sistemazione fascista è così profond amento innovatrice, che essa non può essere I opera uè di uri giorno, nè di un anno. Il regolamento intanto, tenendo presente i due problemi, quello principale della pacificazione sociale, e quello, per ora secondàrio, dèlia organizzazione delle forze produttive, ha creato una doppia organizzazione. Una pròna organizzazione, disciplinata nei due primi ti¬ toli del regolamento (artìcoli 1-42) è quella che io ho definito organizzazione verticale. Essa ha carattere strettamente sin¬ dacale, si riferisce cioè esclusivamente alia posizione che gli associati hanno nel processo produttivo. Si tratta perciò di una organizzazione di categoria, comprendente per ciascuna — 407 categoria solo datori di lavoro o solo lavoratori. I vari elementi dela produzione sono Qui considerati come titolari di interessi separati, e quindi eventualmente in contrasto. Sotto il punto di vista sindacale, l’organizzazione comprende associazioni uni¬ tarie o di primo grado, che sono gli elementi semplici di essa, e organizzazioni superiori, che comprendono più associazioni unitarie. Le organizzazioni superiori sono di secondo grado, quando vengono costituite direttamente da più associazioni unitarie; di terzo grado, quando sono costituite da più associazioni di secondo grado; di quarto grado, quando comprendono più as¬ sociazioni di terzo grado, e via dicendo. Le associazioni di secondo grado sì sogliono chiamare fe¬ derazioni ; quelle di tezzo grado o di grado superiore confede¬ razioni. Questa è appunto la terminologia adottata dal re¬ golamento, il quale ammette il riconoscimento delle federazioni, sia nazionali sia locali (articolo 41 primo comma); e delle confederazioni, sia nazionali sia locali (articolo 41 primo comma); e infine anche di confederazioni generali , sia nazio¬ nali, sia locali (articolo 41 quinto e sesto comma). La gerarchia pertanto tra le organizzazioni si stabilisce nel seguente modo. Più associazioni unitarie formano una federazione , la quale può essere locale (circondariale, pro¬ vinciale, regionale) o nazionale. In tale modo si riuniscono tutti i datori di lavoro o tutti i lavoratori di una determinata ca¬ tegoria, di una determinata circoscrizione (federazione cir¬ condariale, provinciale, regionale) o di tutta l’Italia (federa¬ zione nazionale). Non è affatto necessario che il raggrup¬ pamento degli elementi di una determinata categoria nelle circoscrizioni più vaste, e anche in tutta FItalia, sia fatto in via federativa; esso può avvenire anche mediante la costitu¬ zione di associazioni unitarie. È quindi ammissibilissimo che una determinata categoria sia organizzata provincialmente, regionalmente, e anche nazionalmente in una associazione unitaria. Il ricorrere alForganizzazione federativa o allorga- IfiH ii nizzazione unitaria c questione di tecnica sindacale, clic va rimessa di redola al prudente arbitrio degli organizzatori, e che potrà essere risoluta nell’ano e nollbiltro senso, secondo il carattere della categoria, la natura dei suoi interessi e il numero delle persone clic vi appartengono. Più federazioni si uniscono in una confederazione, la quale comprende perciò più categorie <11 datori e di lavoratori, i quali rappresenta no così una o pia categorie di impreso o an¬ che un determinato ramo della produzione. La confederazione può essere locale (provinciale, regionale) o anche nazionale. Nulla vieta che si formino sia confederazioni locali, sia con¬ federazioni nazionali, in modo che piu confederazioni pro¬ vinciali o regionali si riuniscano in una confederazione nazio¬ nale. È anche possibile che una confederazione nazionale com¬ prenda insieme federazioni e associazioni unitarie. La co ri¬ fodera zinne nazionale non può formarsi di regola che per de¬ terminati rami della produzione espressamente contemplati dal regolamento. Questo all'articolo 41 prevede il riconosci mento di tred! ì confederazioni nazionali, sci per i datori di lavoro, sei per i lavoratori ed una per gli esercenti una libera attività. Le sei confederazioni nazionali dì datori di lavoro o di lavo¬ ratori sono raggruppate secondo i sei principali rami di produzione economica: industria, agricoltura, commercio, tra¬ sporti marittimi ed aerei, trasporti terrestri e della naviga¬ zione interna, banche. Accanto alle dodici confederazioni na¬ zionali distinte per rami di produzione è prevista la costitu¬ zione di una tredicesima confederazione nazionale degli arti¬ sti e professionisti. Questo schema non è rigido, nel senso che 1 il regolamento ammette la possibiltia per l’avvenire del riconoscilocn to di alila 1 confederazioni nazionali, pur circondando tale ricono¬ scimento di particolari garanzie, in quanto richiede uno spe¬ ciale Regio decreto di autorizzazione da emanarsi, sentito ìJ Consiglio dei Ministri e il Con sigilo Nazionale delle Corpo¬ razioni far tìtolo 41 ultimo capoverso). - 409 — H regolaménto In ultimo prevede la formazione di Con- jedvrmicmi Generali. La Confederazione Generale può com¬ prendere tutti i datori di lavoro o tutti i lavoratori, quindi si può estendere a tutti i rami della produzione. La con federa¬ zione generale così come la confederazione semplice può es¬ sere locale o nazionale. Si risolve in tal modo il problema della organizzazione unitaria provinciale, comprendente tutte le organizzazioni provinciali sia di datori di lavoro, sia di lavoratori e con la loro riunione nella rispettiva confede¬ razione generale nazionale avente un proprio ufficio in ogni provincia. Anche questa è questione di tecnica organizza¬ tila, la cui finzione va rimessa in regola al prudente andino degli organizzatori; i quali potranno scegliere la forma pia accentrata della sola confederazione nazionale con uffici locali, ovvéro la forma piu decentrata delle confede- razioni generali locali riunite in una confederazione generale nazionale. II regolamento ammette due tipi di confederazioni gene¬ rali; ima per i datori di lavoro, ed una per i lavoratori e gli esercenti una libera attività* Essa vuole in tal modo rispet¬ tare lo stato di fatto esistente, quella che si suol chiamare la unità sindacale, che è stata realizzata per le varie specie di lavoratori. Ma anche questo schema non è rigido, perchè il regolamento (articolo 41, ultimo capo verso) prevede la pos¬ sibilità, ove se ne manifesti il bisogno, di un funzionamento futuro audio delle confederazioni generali, con le stesse ga¬ ranzie stabilito per il riconoscimento di altre confederazioni nazionali, oltre le tredici prevedute dal regolamento. Come si vede, alla organizzazione propriamente sindacale sono riservate le denominazioni dì sindacato o associazione sin¬ dacale, di federazione c confederazione di associazioni sindacali. Nel campo sindacale non apparo ancora la parola cor por a- 'Zwne. Ed è naturalo. La corporazione è Forganizzazione in¬ tegrale di tutti i fattori della produzione; il nome dì corpo- razionc pertanto non può essere applicato alle organizzazioni — -- ■ — 410 — sindacali, che raggnippano solo datori di lavoro o solo lavo¬ ratori. So bene elio nella pratica del sindacali sino fascista si è dato spesso il nome di « corporation e ad associ azioni che avevano in realtà solo carattere sindacale. L’aspirazione dot sindacalismo fascista, in realtà, è stata sempre per la corpo- razione integrale. Nel suo concetto la riunione di tutti i fat¬ tori della produzione, non soltanto realizzava le massime pos¬ sibilità della collaborazione nel campo dei conflitti del lavoro, ma costituiva la base migliore per la riorganizzazione sociale sulla base delle funzioni economiche. Ed io credo che one¬ sta tendenza sia giusta. In un mio vecchio scritto, pubblicato nell*Idea Nazionale settimanale dei 23 maggio 1914, io misi innanzi, credo per il primo, non solo l’idea della co ri grazio ne integrale, ma anche il nome ili corporazione. In quello scritto io dicevo: « e noi proponiamo addirittura di sostituire il nome nostro a quello straniero e di parlare addiritura di (orpora- zio ni. Le corporazioni, che furono travolte d allindi viti u aliamo della filosofia giusnaturalistii'à e ddileguali tarisni o il IL ri¬ voluzione francese, possono ben vivere nella concezione sociale de! nazionalismo italiano. Nelle corporazioni dunque, non l’as- - snida eguaglianza, ma la disciplina delle differenze* nelle cor¬ porazioni tutti i partecipi della produzione affratellati in una vera, opportuna e feconda fraternità di classe ». Ma le difficoltà pratiche delPorganizzazione intégrale di tutti gli clementi della produzione erano fino a ieri grandis¬ sime, e anche il sindacalismo fascista non è riuscito a vin¬ cerle, Esso dunque si è dovuto contentare, come auspicio o come programma, di dare alle sue organizzazioni sindacali il uomo dì corporazione* Ma La corporazione integrale è ri¬ masta in buona parte pura aspirazione. Doveva intervenire Io Stato, perchè tutti gli elementi della produzione accet¬ tassero di porsi sotto uidunica disciplina. E si comprende come TI dea di una organizzazione unitaria e di una disciplina unica spaventasse l datori di lavoro, quando la corporazione doveva di necessità realizzarsi fuori dello Stato, in uri regime di libertà pieno di pericoli. Il regolamento sindacale del 1® luglio 1926 ha vinto tutte le dubbiezze e dissipato tutti i ti¬ mori, organizzando la corporazione, non più come un’as¬ sociazione vivente fuori dello Stato, ma come un organo dello Stato. il titolo terzo del regolamento (articoli 42-47) è dedi¬ cato appunto agli organi di collegamento tra le varie asso¬ ciazioni sindacali, preveduti dall’articolo 3 della legge, che esso definisce in linee precise, e a cui dà il nome di corporazioni. • D’ora innanzi pertanto questo nome non potrà piu essere adot¬ tato dalle organizzazioni sindacali, e sarà riservato agli or¬ gani di collegamento fra le varie associazioni sindacali, che per ciascun ramo della produzione, o anche per una deter¬ minata categoria di imprese saranno creati presso il Ministero delle Cor por azioni. La corporazione, proclama l’articolo 43, non ha personalità giuridica, ma è un organo deH’amministrazione dello Stato. Essa è costituita con decreto del Ministro delle Corpora¬ zioni, ed ha una organizzazione molto elastica, che viene de¬ terminata volta per volta nello stesso decreto di costituzione (articolo 43 primo e secondo capoverso). Rimane dunque ben chiaro che la corporazione, per quanto organo dello Stato, non ha una complicata organizzazione burocratica, ma è go¬ vernata da un consiglio, formato dai rappresentanti delle va¬ rie organizzazioni sindacali riunite nella, corporazione ed e diretta da un presidente, scelto dal Ministro delle Corpora¬ zioni. Il presidente evidentemente non sarà, salvo casi cezionali, un funzionario; sarà a mio avviso, una perso lità di indiscusso valore e di grande autorità nel ìamo di pro^ duzione o nel gruppo di imprese, per cui la corporazione costituita. . • La corporazione, secondo il regolamento (artico o . può costituire per un determinato ramo della produzione per una o più determinate categorie di imprese. In ta si ammette la specializzazione della corporazione. pr ^ 412 — viste, per tento, la possibilità di costituire, accanto alle grandi corporazioni generali dell’industria, dell’agricoltura, del com¬ mercio, dei trasporti marittimi, dei trasporti terrestri, delle banche, anche corporazioni specializzate per determinare spe¬ cie di industrie o di commercio, o per determinate attività agricole; per esempio una corporazione dell’abbigliamento; una corporazione dell alimentazione, una corporazione del teatro. La corporazione ha carattere nazionale, dice l’articolo 42. Ma ciò non toglie che essa possa avere anche uffici locali, come prevede espressamente l’articolo 43. Tali uffici locali sa¬ ranno di regola provinciali e potranno trovar sode oppor¬ tuna presso il consiglio provinciale dell’economia. Si realizza, pei tal modo, accanto all’organizzazione ver¬ ticale sindacale, un’organizzazione orizzontale, corporativa. Tutte e due coesistono, l’una per la tutela degli interessi se¬ parati dei vari elementi della produzione, l’altra per la tu¬ tela degli interessi comuni di ciascun ramo della produ¬ zione e di ciascun gruppo di imprese. In questa duplicità di organizzazione si integra, realiz¬ zandosi, il doppio scopo a cui la legge 3 aprilo 1926 e il re- lativ o regotemento mirano; la risoluzione pacifica dei con- itti del lavoro e la organizzazione, entro lo Stato, delle forze della produzione. L’esperienza dirà se questo sistema, nel quale si realizza la concezione fasciste della società e dello Stato, risponde an- c e pienamente, come io credo, alle esigenze della vita sociale, economica e politica dell’Italia moderna. Una delle conse¬ guenze piu immediate, che ne deriveranno, sarà l’introduzione e a rappresentanza corporativa nei grandi organi costitu- ziona,i e lo Stato, e specialmente nel Senato. Ma altri svi- ^pr ancora avrà il sistema che il fascismo ha creato. Pre- crh tutti non e possibile, ma è possibile fin d’ora affermare uscire 6SS1 - n ° n S °'° ma tutta la società italiana usciranno rinnovati profondamente. INI) 10 E . Pag. 5 I. Le leggi di dipesa. L Leggo mille società secete. - Relazione sul disegno di * g& legge * 1 ‘ * * ‘ ' » 89 Sulle Associazioni Segrete - 45 Lo Associazioni Segréte | le Massosa ■ ■ M 2, Legge sui fuorusciti. — Relazione sui disegno ■% egg Modificazioni ed aggiunte alta legge 13 S 1U " gno im il. 555 sulla cit^dinanza, - Discorso * fi ( allo. Camera dei Deputati 67 Discorso al Senato del Regno . segno di legge - ■ • ' * SO Discorso alla Camera dei Deputati S 8 Discorso al Senato del Regno . 9 y 3 discorso «£ fenato de? * IL La Eie orma Costituzionale. legge . ■ ■ ■ Discorso alla Camera dei Deputati Discorso al Senato del Degno * 1.29 163 177 — 414 — % Legge Bulle attribuzioni e prerogativa del Capo del Go¬ verno, Primo Ministro Segretario di Stato* — Rei azione sul disegno dì legge * Dog. 195 Attribuzioni e prerogativa del Capo del Governo. — Discorso al Senato del Regno y 203 m. Là Riforma dei Codici. Relazione al disegno di legge : « Delega al Governo del Re della facoltà di emendare il Codice penale , il Codice di Procedura Penale, le leggi su ir ordi¬ namento giudiziario e di apportare nuove me* dilazioni e aggiunte al Codice civile „ . » 21J Discorso alla Camera dei Deputati t # , ,261 Discorso al Senato del Regno » 3 ^ IV. La Riforma Sociale. Legge sulla disciplina giuridica dei rapporti collettivi del lavoro* — Relazione al Disegno di legge. * * Discorso alla Camera dei Deputati * Discorso al Senato del Regno *«,,** La nuova disciplina del lavoro e lo Stato Corporativo . » 327 356 380 399